Manfredi Alberti *

 

Come ha affermato Plechanov in un noto scritto di fine Ottocento, le grandi personalità della storia sono tali nella misura in cui riescono a interpretare al meglio e con determinazione le forze e le tendenze in atto nella società, indirizzandole in modo coerente. L’inestricabilità del rapporto fra le biografie individuali e le forze collettive è particolarmente evidente nel caso del comunismo novecentesco, i cui grandi dirigenti hanno sempre avuto alle spalle un grande partito, una forza organizzata in grado di creare, nel contesto dato, virtuose sinergie fra i singoli e il gruppo di riferimento.

Sotto questo profilo non fa eccezione la vicenda del comunismo italiano, come si può evincere, da ultimo, dal rigoroso e documentato lavoro di ricerca di Massimo Asta, dedicato all’avventurosa vita di Girolamo Li Causi, uno dei dirigenti più popolari del Pci nella prima metà del Novecento, negli anni Cinquanta il candidato comunista più votato dopo Togliatti; un uomo capace di infiammare le masse non solo grazie alle parole, ma anche con il linguaggio del corpo (Girolamo Li Causi, un rivoluzionario del Novecento. 1896-1977, Carocci, Roma 2017, pp. 328).

Nato a Termini Imerese nel 1896, Li Causi si forma durante l’età giolittiana, osservando dal Sud l’incapacità dello Stato liberale di realizzare una reale inclusione dei lavoratori nella vita politica nazionale. Dopo aver ottenuto il diploma di ragioneria, si sposta a Venezia dove si iscrive alla Scuola superiore di commercio di Ca’ Foscari. Il suo approdo al socialismo avviene subito dopo le elezioni politiche del 1913, segnate da un avanzamento senza precedenti del Psi. Incontra allora il leader massimalista Serrati, di cui diviene il più stretto collaboratore. L’interesse di Li Causi per l’analisi economica si rivela sin dalla sua tesi di laurea, dedicata al nesso fra protezionismo, nazionalismo e guerra. Li Causi non è un comunista della prima ora: entra infatti nel Partito comunista solo nel 1924, mettendo però presto a frutto, anche dalle colonne dell’Unità, le sue capacità di analisi economica. Come molti oppositori del fascismo Li Causi è arrestato nel 1928. Inizia allora una lunga fase di carcere e confino: nelle diverse tappe della prigionia – l’isola d’Elba, Lucca, Civitavecchia, Ponza, Ventotene – ha modo di confrontarsi con altri antifascisti, tra cui Altiero Spinelli. Insieme a Pietro Grifone, suo compagno di partito e di prigionia nelle isole pontine, si dedica agli studi sul capitale finanziario in Italia, con un’attenzione particolare al ruolo svolto dall’Iri nelle politiche economiche del fascismo.

Dopo la caduta del fascismo Li Causi diventa un protagonista della Resistenza, essendo uno dei quattro membri della Direzione del Pci destinati al Centronord. In seguito, il suo partito decide per lui un impegno politico nella sua regione d’origine, la Sicilia, dove è chiamato a riorganizzare il partito e a coniugare l’autonomismo con la strategia togliattiana della democrazia progressiva. Il contesto siciliano si rivela presto quanto mai turbolento: nel settembre del 1944, mentre tiene un comizio a Villalba, Li Causi viene colpito da un attentato mafioso, riportando un danno al ginocchio che lo avrebbe reso per sempre claudicante. È solo l’inizio di una lunga strategia terroristica volta a colpire il movimento contadino in ascesa; il primo maggio del 1947 si consuma la strage di Portella della Ginestra, primo esempio di “strategia della tensione”. La drammaticità di questi eventi porta il Pci, sollecitato da Li Causi, a riaffermare il suo netto posizionamento contro la mafia e i poteri forti ad essa legati.

Oltre a svolgere un ruolo di primo piano nel partito a livello nazionale, dal 1945 al 1960 Li Causi è segretario del Pci siciliano, guidando il partito, tra successi e sconfitte, in anni cruciali per la costruzione di una cornice istituzionale democratica e per la conquista di basilari conquiste per i lavoratori. Nei mesi che vedono la definizione del ruolo della Sicilia come regione autonoma, Li Causi è tra i promotori dell’industrializzazione dell’Isola, contrastando al contempo il ruolo dei grandi monopoli privati, come quello elettrico. Pochi anni dopo, nell’ambito dell’approvazione della riforma agraria, si impegna per ottenere soluzioni più avanzate a tutela dei contadini senza terra. Alla fine degli anni Cinquanta, gestendo il controverso sostegno del Pci ai governi regionali di Milazzo, sarà tra i primi a trarne un giudizio fortemente negativo. Tra i suoi ultimi impegni rilevanti vi è infine la partecipazione ai lavori della Commissione antimafia nata nel 1962, di cui diviene un protagonista per un decennio, alla costante ricerca di soluzioni innovative ed efficaci.

Biografie come quella di Li Causi costituiscono un esempio di impegno politico in cui il rigore dell’analisi si coniuga con una passione e una vitalità inesauribili. Modelli che appaiono oggi difficilmente eguagliabili, in un tempo di inesorabile deterioramento della qualità dell’azione politica.

 

* Pubblicato in “il manifesto”, 31 luglio 2018.

 

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