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Categoria: Convegni
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Pubblichiamo qui alcuni abstract di studiosi marxisti prodotti durante il convegno "I ritorni di Marx", tenutosi dal 22 al 24 ottobre 2015 all' Hotel Diamante, Spinetta Marengo Alessandria.

Programma dell'evento

LA THEORIE DE L’ETAT DE MARX ET LA GLOBALISATION.

Le cas de l’Union Europeenne

I ritorni di Marx,

Allessandria, ottobre 2015

André Tosel

1. Esiste una teoria dello stato in Marx, ma non è una, non è univoca, non è completa. Di fatto ci sono due teorie. La prima è elaborata comme teoria generale dello Stato borghese fra 1840 e 1850; la seconda è contemporanea della critica dell’economia politica e rimane frammentaria. Se la prima tende a stare in dietro, non svanisse mai veramente. La seconda è feconda edencora ambigua, ma ha bisogno d’una ricostruzione

2. La prima teoria pone la stato in relazione con la società civile-borghese e le sue contradizioni, la sua scissione in classi opposte esterori l’una all’altra. Lo Stato è una forma astratta (il diritto), generale che domina dall’alto un contenuto concreto, i rapporti sociali della società civile. Lo stato  in generale è rappresentativo della totalità sociale e si legitima comme custode dell’interesse generale allorchè di fatto dissimula la sua funzione di strumento dell’interesse particolare della clase dominante. La stato è una potenza di dominio separata, necessaria per l’esistenza « alienata » della totalità sociale. L’interesse generale conclamato è dunque illusorio. Il proletariato si oppone di fuori a questa potenza perchè nella società costituisce una realtà altra e negata che non puo esistere veramente senza rivoluzionnare questa situazione. Questa teoria, identifica la politica e lo Stato. Alcune traccie rimangono dopo1850 e formano una specie di inconscio anarchista.

3. La seconda teoria non è più generale ma prende sempre più in considerazione, con realismo, le forme storiche dello stato e spostano la quistione della rappresentanza. Le forme storiche dello Stato debbono essere esplicate in rapporto al tipo di dominio che nasce dentro il processo immediato, dentro lo sfruttamento diretto del produttore. La consequenza di questo spostamento è che il proletariato non è il grande esterno, il grande negatore che ha sempre deconstruitto i rapporti sociali capitalistici. Il proletariatoè interrriorizato come parte del capitale, ma resiste. La forma dello stato dipende dal rapporto salariale, dalla divisione del lavoro, dal modo di uso delle macchine per aumentare la produttività del lavoro, dunque dal primato della sottomissione reale del lavoro al capitale. Lo stato concentra e rappresenta sotto una forma unificata ed universale il rapporte tutto insieme di dominio e di sfruttamento, e cosi stabilise la sovranità di questo rapporto come sovranità tout court. La seconda teoria presuppone une problematica storica della politica che sotto l’azione del proletariato si fa distinta dall’elemento statale. Il risultato si condensa come macchina complessa dello Stato. Il rapporto salariale potrebbe bastare al livello individuale per assicurare il potere del capitale. Ma il capitale è collettivo, integra delle forme divers e concorrenziali. Il capitale deve prendere una forma specificamente politica come poter collettivo- politico della classe dominante.

4. Lo stato è unità della classe dominante ma in un senso nuovo : produce anche questa classe unificando i gruppi eterogenei, le frazioni in concorenza. Cosi lo Stato produce l’unità della società intera. Ma è necessario di pensare la forma territoriale di questo processo. La pluralità dei mercati nazionali si combinava colla pluralità in movimento dei stati nazioni. La logica pura del capitale è concretizzata storicamente in questa pluralità. Marx pensa al limite il mercato mondiale la globalizzazione del capitale e delle sue forme, ma figlio del suo tempo non oltrepassa la forme stato-nazione.

5. Ma oggi dobbiamo pensare la realtà delle forme postnazionali comme l’Unione Europea che non é stato, non è federazione di stati, ma impone la sua sovranità come è definita dalla rete dei poteri finanzieri e politici. Come pensare allora questo spazio particolare che costituisce la trama privata effetiva della sovranità e dell’economia di mercato che è integrata dentro la formazione delle decisioni che hanno per esempio umiliato e colonizzato la Grecia ? Come pensare la costruzione europea neoliberale che si fonda sulla rottura della solidàrietà (che lo Stato welfarista poteva assicurare un poco), che impone la concorrenza sistematica tra individui e popoli e acutisce diversi nazionalismi ? In questo punto dobbiamo indicare i elementi di Marx utilissimi, ma anche produre nuove analisi. L’Unione Europea è un nuovo mostro che non ha encora ricevuto il suo concetto adequato. Possiamo presentare una ipotesi : l’U.E. è la combinazione di tre logiche. La prima sarebbe la logica dell’intergovernabilità, la seconda quelle della rappresentenza, la terza l’articolazione della sovranità des mercati come lobbying. LUnione Eurpoea è un quasi Stato senza popolo europeo che rappresenta i mercati finanzieri internazionali presso i popoli europei dove lo stato nazionale conserva una funzione ben concepita da Marx : la gestione delle forze lavoro transnazionli, frammentate, divise contra se stesse.

 

Stefano Petrucciani

Marx e la critica del liberalismo (abstract)

Nell’epoca caratterizzata dall’egemonia ideologica del neoliberismo e dalla crisi delle teorie politiche ad esso alternative, può essere utile rileggere alcuni aspetti della critica marxiana del liberalismo, per capire se essa può avere ancora oggi una sua validità e, soprattutto, per comprendere quali sono i suoi punti di forza e quali quelli di debolezza.

Ma il rapporto di Marx col liberalismo ha molte facce. Marx, in realtà, parte da posizioni decisamente liberali, come si vede negli scritti del 1842-43: battaglia per la libertà di stampa, contro la censura, difesa della laicità dello Stato. E una vena liberale resterà sempre presente nel suo pensiero. Già a partire dal 1843, però, Marx comincia a criticare il liberalismo, muovendo ad esso una serie di addebiti che si specificano e si approfondiscono nel tempo.

Il liberalismo – sostiene Marx – parte da una visione dell’uomo sbagliata e ideologica; considera gli individui come atomi separati e non come parti di un nesso sociale e cooperativo. Contro di esso Marx propone dapprima una diversa antropologia.

Non solo: il liberalismo, con la sua idea di individui irrelati e reciprocamente estranei, ma dichiarati liberi ed eguali, costituisce una sublimazione sul piano teorico della società di mercato dove, apparentemente, gli individui entrano in rapporti reciproci solo sul piano dello scambio, come compratori e venditori di merci e di forza-lavoro, ugualmente liberi e padroni di sé.

Ma la critica di Marx al liberalismo sembra essa stessa problematica perché, almeno secondo alcuni interpreti, si basa su un’antropologia “comunitaria” che è quasi il rovescio speculare di quella “monadica” liberale.

Al di là della sua discutibile antropologia, però, il Marx critico del liberalismo resta un riferimento fondamentale perché, a partire dai suoi testi ma andando anche oltre, si possono mettere a fuoco due grandi questioni che il liberalismo non vede (o ideologicamente occulta).

1. Il pensiero liberale e neoliberale non è in grado di esibire nessuna buona ragione a sostegno del suo assunto fondamentale, e cioè che lo Stato e la politica abbiano come primo compito quello di garantire la sicurezza, la proprietà e le transazioni di mercato, e non invece quello di operare per assicurare a ciascun individuo condizioni di benessere e di sviluppo umano.

2. La società di mercato che il (neo)liberalismo vagheggia è, oltre che indesiderabile, illusoria, perché – e questo è un punto che neppure Marx vede adeguatamente – la soddisfazione dei bisogni sociali, anche e soprattutto nella tarda modernità, passa in larghissima parte per ciò che mercato non è, ovvero da un lato per lo Stato e dall’altro per i legami familiari o di solidarietà. Perciò la pretesa della mercatizzazione integrale distrugge (paradossalmente) le basi sociali che rendono possibile il mercato stesso

 

 

Jacques Bidet
Il neoliberalismo di fronte i suoi soggetti

Presento qui alcuni temi di un libro da uscire nel marzo 2016, in versioni francese e italiana: Le Grand Récit du Neolibéralisme (titolo provvisorio).
Presuppongo un approccio "metastructurale", che analizza la modernità in termini di una strumentalizzazione della nostra ragione sociale,compresa nella sua dualità mercato-organizzazione. La classe dominante include cosi due forze sociali, i capitalisti e i "dirigenti-competenti", di fronte a l'altra classe, quella fondamentale o popolare. La struttura di classe moderna ha quindi una forma triangolare, dando luogoa vari "regimi di egemonia", vale a dire di articulazioni tra queste tre forze, secondo diversi tipi di alleanza o di opposizione. Ne consegue una nuova periodizzazione della storia moderna, che articola le mutazioni strutturali di questa figura e quelli del sistema-mondo. Il neoliberalismo appare così come un nuovo regime di egemonia, dove i capitalisti occupano una posizione schiacciante in correlazione con l'emergere di uno Stato-mondo nel tessuto del Sistema-mondo. Ma non rimuove la struttura triangolare della società moderna, che resta con tutto il suo potenziale oggettivo e soggettivo.
Questo è, al mio parere, ilcontesto in cui si deve affrontare la question del "suggetto sotto il neoliberalismo". La sociologia critica ha fondate ragioni per descrivere un "soggetto neoliberale" assoggettato nelle nuove forme di organizzazione del lavoro, sia per interiorizzazzione della logica del profitto sia dalla distruzione del rapporto salariale, sostituito da un supposto "partnership". Ma il soggetto moderno si costruisce in un spazio più ampio, di fronte alla molteplicità contraddittoria di questo nuovo regimeglobaledi egemonia. Dall'approccio metastructurale resolta un capovolgimento della figura althusseriana dell "interpellazione": il soggetto viene interpellatoda tutti i lati di questo triangolo strutturale, in modo contraddittorio, e a tutti i livelli della sua esistenza sociale: classe, Stato-nazione e Stato-mondo. Solo in questa concettualità, insieme locale e universale, strutturale e sistemica, può apparire il potenziale del soggetto ordinario.

 

Abstract intervento Roberto Finelli

Le scienze psicoanalitiche propongono una definizione di libertà e di società, nella loro originalità profondamente estranea alla tradizione antropologica e politica del marxismo. In questa il valore dell’individualizzazione e della differenziazione del singolo è sempre stata sacrificata al valore della socializzazione e dell’eguagliamento dei diritti, lasciando in tal modo la questione della soggettività individuale sempre nelle mani egemoniche del consumismo liberista. Ripartire per una riformulazione della politica dai valori e dalla tematica del «comune» senza riproporre, in modo radicale, la questione dell’individuazione appare essere un ritorno al passato più che un’apertura al futuro. Del resto la fissità di una distinzione insuperabile, ontologica, tra bisogno e desiderio appartiene solo alle artiglierie fumose del lacanismo. Tale distinzione registra in effetti la riduzione reale, costantemente operata dal capitalismo, della forza-lavoro alla riproduzione solo biologica del proprio sé. E’ possibile, invece, che una nuova stagione egemonica storico-sociale si possa aprire proprio nel passaggio da un’antropologia della penuria a un’antropologia del riconoscimento, a un’antropologia cioè della mediazione tra bisogno e desiderio. Ma come concepire istituzioni della politica che dalla rappresentanza, ormai decaduta definitamente a rappresentazione, trapassino a istituzioni delriconoscimento? E come concepire una pratica di produzione economica che includa ed integri nell’economia politicala produzione del riconoscimento e dell’economialibidica?

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