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Giorgio Caredda * 

 

Accetto volentieri l’invito di strisciarossa a proseguire la discussione avviata da Piero Di Siena sugli Istituti culturali (qui il suo articolo).
Ho esaminato la documentazione intanto disponibile poiché ho trascorso buona parte della mia vita a studiare nelle biblioteche e negli archivi (italiani e di altri paesi europei) e mi sono spesso avvalso degli Istituti culturali inseriti in questa tabella. Si tratta di biblioteche e archivi a cui fanno ricorso abitualmente studiosi e ricercatori non soltanto italiani e certamente la quasi totalità dei miei studenti universitari.

Sono Istituti che conservano documenti necessari per conoscere la storia del nostro Paese e che hanno il dovere di funzionare come le biblioteche e gli archivi pubblici. Essi offrono un servizio gratuito e so bene che i contributi che lo Stato italiano versa possono coprire soltanto una parte di quanto essi spendono in personale, in gestione e valorizzazione dell’intero patrimonio archivistico e bibliografico che mettono a disposizioni di tutti.

C’è quindi una bella differenza tra questi Istituti e la Fondazione Corriere della Sera. Per sapere come il “Corriere della sera” commentò l’introduzione delle leggi razziali in Italia devi pagare un abbonamento. Se vuoi accedere a tutte le riviste e ai libri della Fondazione Luigi Einaudi di Torino o della Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma puoi farlo gratuitamente. Ciò vale per tutti gli Istituti che sempre più offrono anche online intere collezioni di giornali, riviste, libri e interi archivi.

Dando uno sguardo alla Tabella ministeriale (vedi link), mi pare che i dati esaminati da Di Siena siano inoppugnabili e che le sue considerazioni siano del tutto fondate. A ben vedere, il quadro mi pare anche più preoccupante. Sulla distribuzione territoriale si potrebbero soltanto aggiungere elementi in grado di rendere lo scenario ancora più fosco.

In merito alle risorse attribuite mi preme sottolineare che il Decreto giunto alle commissioni parlamentari non è corredato della documentazione che consente di capire per quali ragioni alcuni Istituti culturali ricevono di più e altri meno. Perché la Fondazione Ansaldo (di ex Finmeccanica) ha avuto il 223% in più, perché la Fondazione Corriere della Sera l’84% in più. Resta in ogni caso il dubbio di Di Siena sull’opportunità di finanziare questi “colossi” dell’industria, della finanza e dell’editoria, che invece di chiedere soldi allo Stato dovrebbero dare una mano a sostenere i beni e le attività culturali del nostro Paese. A p. 10 del Dossier degli uffici parlamentari (qui il link) si legge: “Non risulta allegato – come, invece, richiesto dalla L. 534/1996 – il prospetto riassuntivo dei dati preventivi e consuntivi relativi al bilancio e all’attività delle istituzioni culturali incluse nella tabella”.

Credo che questa omissione impedisca a chiunque di esprimere un parere nel merito. Gli uffici parlamentari hanno anche rilevato che la commissione ministeriale a cui è stata affidata la valutazione non ha neppure provveduto a stabilire “il punteggio minimo per accedere ai contributi” (p. 8). E – peggio ancora – che non è stato esplicitato nessun criterio nell’attribuzione delle risorse: “Tuttavia, dalla citata relazione, nonché dalla documentazione trasmessa, non è possibile evincere il punteggio assegnato a ciascun istituto” (p.12). Se così stanno le cose, o siamo di fronte all’arbitrio o di fronte a omissioni a cui bisogna ovviare.

I membri delle commissioni parlamentari chiamati a esprimere il loro parere possono accettare simili lacune? Se sì, potrebbero dare adito a dubbi molto più inquietanti rispetto a quelli già sollevati da Di Siena. Sono certo che in seno alla Commissione Cultura della Camera e alla Commissione Istruzione del Senato ci siano membri sensibili verso la storia e la cultura del nostro Paese e, in ogni caso, attenti al rispetto delle regole della nostra Repubblica. Toccherà a loro chiedere preliminarmente la documentazione prevista dalla legge e approfondire le ragioni di tante incongruenze che appaiono inspiegabili.

Ci sono molti aspetti di questa vicenda che mi paiono preoccupanti. Questa Tabella è destinata esclusivamente agli Istituti che conservano archivi, biblioteche e beni museali. Non prevede perciò contributi per teatri, ville, palazzi e musei veri e propri. Attraverso questa Tabella non si può dare sostegno al Teatro Lirico di Cagliari, alla Reggia di Caserta, alla Venaria Reale di Torino oppure al Palazzo dei Normanni di Palermo. Essa è pensata esclusivamente per gli Istituti culturali che conservano documentazione sulla storia contemporanea, moderna, antica e anche preistorica (ho visto un istituto che si occupa di studi preistorici di cui non ero a conoscenza).

La legge mi pare molto chiara circa la destinazione delle risorse. Si tratta di contributi fondamentali per la ricerca, per la formazione e per la conservazione di determinati beni culturali. Invece, scorrendo la Tabella, vediamo una miriade di enti che hanno poco a che fare con archivi, biblioteche e documentazione storica. Ciò pone innanzitutto un problema di sostenibilità: se si includono Fondazioni di Teatri e di Palazzi di quante risorse in più ci sarà bisogno per sostenere gli Istituti culturali che effettivamente ottemperano ai requisiti della legge e per i quali nacque la tabella? E perché domani non dovrebbe accedere a queste risorse il Teatro Lirico di Cagliari, il Petruzzelli di Bari e il San Carlo di Napoli, mentre adesso ne figurano soltanto tre? Speriamo che nessuno lo faccia e che tutti i teatri e musei restino nelle tabelle a loro destinate.

Devo aggiungere, infine, che ci sono troppi enti che paiono non avere i requisiti minimi per rientrare nella categoria di Istituti culturali. In assenza dei dati ministeriali si possono consultare i siti web che a norma di legge debbono contenere i dati sul patrimonio e sulle attività. Ci si imbatte in circoli culturali che dichiarano di possedere soltanto 4-5 mila libri, che non conservano documenti di nessun genere e che, tuttavia, percepiscono il doppio o il triplo delle risorse assegnate loro nello scorso triennio.
Analizzando tutti i dati disponibili su questi 210 istituti beneficiari di contributi pubblici, le domande e i dubbi di Piero Di Siena mi paiono più che legittimi.
Faranno bene i deputati e i senatori della Repubblica italiana a richiedere tutta la documentazione prevista dalla legge. Intanto, ci conviene attendere il loro parere.

 

* Docente di Storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma.

Fonte: https://www.strisciarossa.it/istituti-culturali-troppe-incongruenze-sugli-enti-finanziati/.

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