Sergio Ferrari *
Mentre l'assedio israeliano alla Striscia di Gaza continua a crescere, alla stampa internazionale è vietata una copertura diretta. In questo contesto di aggressioni militari, carenze imposte e disinformazione forzata, l'Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) ha chiesto che alla stampa internazionale sia consentito l'ingresso nella Striscia di Gaza, vietato da più di un anno.
L'agenzia ha ricordato che “il libero flusso di informazioni è fondamentale per la responsabilità durante i conflitti” e ha sottolineato che “Gaza non dovrebbe essere un'eccezione. È tempo che i media internazionali" entrino nella Striscia. Il divieto imposto limita tutti i reportage indipendenti, che “alimentano la propaganda, la disinformazione e la diffusione della disumanizzazione”, ha dichiarato il responsabile dell'UNRWA Philippe Lazzarini il terzo giovedì di aprile.
Allo stesso modo, Ajith Sunghay, capo dell'Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati, ha ricordato le difficoltà che i giornalisti hanno sempre affrontato in Palestina. In molti casi debitamente registrati, essi hanno subito assassinii, censure e detenzioni.
Secondo l'agenzia, tra il 7 ottobre 2023 e l'11 aprile di quest'anno sono stati uccisi 209 giornalisti e operatori dei media palestinesi, tra cui 27 donne. Sunghay ha affermato che "sia a Gaza che in Cisgiordania, diversi giornalisti palestinesi sono stati arrestati. Abbiamo registrato e ricevuto segnalazioni di maltrattamenti, forse equivalenti alla tortura, nei confronti dei giornalisti arrestati, oltre a inquietanti minacce di violenza sessuale nei confronti delle giornaliste" (https://news.un.org/es/story/2025/04/1538111).
Presa di mira sistematica della stampa
Secondo la Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ), la principale organizzazione mondiale dei sindacati e delle associazioni dei giornalisti, nello stesso periodo a Gaza sono stati uccisi almeno 171 giornalisti e personale dei media, molti sono stati feriti e altri sono scomparsi. Questo rappresenta un tasso di mortalità di oltre il 10%, molto più alto di qualsiasi altro gruppo professionale. L'IFJ lavora a stretto contatto con la sua organizzazione affiliata, il Sindacato dei giornalisti palestinesi, per verificare questi fatti in tempo reale e ha potuto adeguatamente documentare 157 di questi casi.
Come ha riferito Anthony Bellanger, Segretario Generale dell'IFJ, la gravità della repressione contro la stampa in questa regione particolarmente tormentata richiede un'intensificazione della denuncia. Nell'ambito delle attività della Giornata mondiale della libertà di stampa, l'IFJ sta organizzando un evento a Bruxelles, in Belgio, il 6 maggio, per chiedere la fine dell'uccisione di giornalisti in tutto il mondo e in particolare nelle zone di guerra più letali come Palestina, Siria e Yemen. L'organizzazione internazionale aggiorna costantemente il suo sito web con i dettagli delle vittime e da mesi promuove un Fondo di solidarietà per il sostegno diretto ai lavoratori della stampa gazawi (https://www.ifj.org/es/guerra-en-gaza).
Ricerca inconfutabile
Cinque mesi dopo la pubblicazione, nel giugno 2024, della prima parte del Progetto Gaza, la rete investigativa Forbidden Stories e i suoi media partner hanno lanciato una nuova collaborazione investigativa internazionale sulla guerra di Israele a Gaza. La rete concorda con la Federazione Internazionale dei Giornalisti e il Comitato per la Protezione dei Giornalisti sul fatto che quasi 170 giornalisti, uomini e donne, sono stati uccisi a Gaza a partire da ottobre 2023. A volte sono stati presi di mira dall'esercito israeliano, altre volte sono morti tra le altre vittime civili [come risultato] dei massicci bombardamenti che hanno devastato Gaza per molti mesi", afferma Forbidden Stories (https://forbiddenstories.org/fr/journalistes-tues-gaza-medias-internationaux-enquete/).
Circa 40 giornalisti di 12 media sono coinvolti in questa nuova ricerca collaborativa. “Questo lavoro collettivo ci ha permesso di raccontare nel dettaglio come i giornalisti che riprendono con i droni siano soggetti a persecuzione da parte dell'esercito israeliano”. Tra questi, Mahmoud Isleem Al-Basos, ucciso il 15 marzo in un attacco di droni israeliani a Beit Lahia mentre accompagnava un convoglio umanitario e che aveva filmato solo pochi giorni prima per il Gaza Project. Da parte sua, l'esercito israeliano ha dichiarato di aver preso di mira specificamente “terroristi” utilizzando un drone quel giorno, anche se non ha mai confermato queste affermazioni.
Basato sull'analisi di documenti inediti provenienti da vari ministeri israeliani, Forbidden Stories descrive la strategia messa in atto dal governo israeliano per promuovere e difendere la propria impunità davanti ai tribunali internazionali. E per accusare di terrorismo alcuni giornalisti palestinesi o le organizzazioni che li difendono. La rete sostiene che “poiché uccidere il messaggero non ucciderà mai il messaggio, continuiamo il lavoro di questi reporter usando i droni per filmare le rovine”. Questa era, infatti, la missione assegnata a Mahmoud Isleem Al-Basos, pochi giorni prima della sua morte. Grazie a lui e alle nuove tecniche di realizzazione dei modelli sviluppate dall'ONG Bellingcat (partner della rete di ricerca), sono state realizzate carte aeree 3D interattive dei quartieri di Al Shati e Jabalia, per visualizzare da vicino e in modo inedito l'entità della distruzione.
La seconda parte del Programma Gaza comprende anche la storia di Fadi Al-Wahidi. Paralizzato nel suo letto d'ospedale, il reporter racconta il giorno in cui è stato gravemente ferito vicino al campo profughi di Jabalia mentre indossava il suo gilet identificativo “Press”. Lui e i suoi colleghi sono convinti che si sia trattato di una sparatoria intenzionale da parte dell'esercito israeliano: "Ancora oggi sento i proiettili che rimbalzano sulla porta e sui muri accanto a me. È stato un tentativo di assassinio mirato. È stato un colpo diretto", racconta il reporter.
E racconta come Hosam Shabat sia stato ucciso il 24 marzo da un drone israeliano mentre viaggiava su un'auto con il logo di Al Jazeera. "Indosso un gilet da giornalista e un casco. Cerchiamo sempre di essere identificati come giornalisti, in modo che l'esercito di occupazione non abbia motivo di attaccarci", ha spiegato Shabat a Le Monde nel giugno 2024, nell'ambito del Progetto Gaza. Consapevole del pericolo, ha lasciato un messaggio di testimonianza ai suoi cari. È stato pubblicato su X dopo la sua morte. Il giornalista 23enne ha scritto: "Per Dio, ho fatto il mio dovere di giornalista. Ho rischiato tutto per dire la verità e ora finalmente trovo la pace". In conclusione, ha chiesto a chi ha letto il suo messaggio di “continuare a raccontare le nostre storie”. Questa è l'essenza stessa del Progetto Gaza".
Di male in peggio
All'inizio di aprile di quest'anno, una dichiarazione congiunta di sei agenzie delle Nazioni Unite - tra cui la stessa UNRWA, l'agenzia per l'infanzia dell'UNICEF e l'Organizzazione Mondiale della Sanità - ha rilasciato una dichiarazione sulla situazione della popolazione della Striscia di Gaza. Secondo le agenzie, più di 2,1 milioni di persone sono ancora una volta intrappolate, bombardate e malnutrite, mentre cibo, medicinali, attrezzature essenziali e carburante si accumulano e rimangono bloccati ai punti di passaggio. Solo nella prima settimana dopo il crollo del cessate il fuoco (19 marzo 2025. ndt), più di 1.000 bambini sono stati uccisi o feriti, un numero record negli ultimi dodici mesi.
Il sistema sanitario, parzialmente funzionante, è sovraccarico. Le forniture mediche e traumatologiche essenziali si stanno rapidamente esaurendo, minacciando di annullare le conquiste faticosamente ottenute nel mantenimento di un sistema sanitario efficace. Allo stesso tempo, i 25 panifici sostenuti dal Programma alimentare mondiale durante il cessate il fuoco sono stati costretti a chiudere a causa della carenza di farina e gas da cucina.
Le sei istituzioni delle Nazioni Unite riconoscono che questa breve interruzione del conflitto “ci ha permesso di raggiungere in 60 giorni ciò che bombe, ostacoli e saccheggi ci hanno impedito di raggiungere in 470 giorni di guerra: la consegna di rifornimenti vitali a quasi tutte le aree di Gaza”. Aggiungono che, sebbene abbia offerto un momento di tregua, le affermazioni secondo cui ora c'è cibo a sufficienza per sfamare tutti i palestinesi di Gaza sono lontane dalla realtà sul campo e i prodotti di base sono estremamente scarsi.
Concludono: "Stiamo assistendo ad atti di guerra a Gaza che dimostrano un totale disprezzo per la vita umana. Nuovi ordini di sfollamento israeliani hanno costretto centinaia di migliaia di palestinesi a fuggire ancora una volta, senza un posto sicuro dove andare. Ora che il blocco israeliano di Gaza è stato inasprito per due mesi, chiediamo ai leader mondiali di agire con fermezza, urgenza e decisione per garantire il rispetto dei principi fondamentali del diritto internazionale umanitario".
Mentre i titoli dei media di tutto il mondo traboccano di notizie su diverse questioni, la situazione a Gaza è diventata un letargo quotidiano. Una guerra di aggressione che è diventata “istituzionalizzata” e senza la presenza della stampa internazionale sul campo a volte non sembra nemmeno esistere.
* Traduzione a cura del Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati.