Francesco Barbagallo

 

La strage di oltre cinquantamila palestinesi, di cui ventimila bambini, in risposta all’uccisione di milleduecento giovani ebrei ha aperto gli occhi alla comunità internazionale, dopo mezzo secolo di silenzi intorno alla creazione di uno Stato colonizzatore sionista sull’intero territorio dell’antica Palestina. Questo processo è stato ricostruito in numerosi libri dallo storico israeliano Ilan Pappé, tra cui La prigione più grande del mondo. Storia dei territori occupati (Fazi Editore), e recentemente dalla storica ebrea italiana Anna Foa ne Il suicidio di Israele (Laterza).

Nel 1947 l’ONU aveva assegnato il 54% del territorio palestinese al nuovo Stato di Israele. Già nel 1948 la pulizia etnica compiuta da milizie israeliane con gli incendi e la distruzione dei villaggi palestinesi assicurò a Israele il controllo d  el 78% del territorio palestinese. La guerra del 1967 assicurò all’esercito israeliano guidato da Moshe Dayan l’occupazione del restante 22%. Iniziava così la storia dei Territori Occupati (Cisgiordania e Gaza), che saranno annessi a Israele de facto, ma mai de jure; e saranno esclusi da qualsiasi negoziato di pace. I palestinesi non sono mai diventati cittadini di Israele per non mettere a rischio la maggioranza ebraica all’interno dello Stato. Quindi dal giugno 1967 un milione e mezzo di palestinesi sono diventati a tutti gli effetti degli apolidi, privi di diritti civili e umani e “detenuti di un mega-carcere”. All’inizio del XXI secolo sono diventati cinque milioni. Intanto mezzo milione di coloni ebrei si è insediato in vaste aree dei Territori Occupati.

Lo storico israeliano Pappé ha chiarito come l’occupazione della Cisgiordania e di Gaza sia l’unico caso di una occupazione militare perenne e non transitoria, e ha distinto tra due modalità carcerarie operanti da circa mezzo secolo nei Territori Occupati. La prigione “a cielo aperto” ha concesso ai palestinesi una limitata autonomia e possibilità di movimento e di lavoro; ma si trattava in realtà, scrive Pappé, <di partecipare a un moderno mercato degli schiavi, fatto di lavoratori privi di diritti sociali e assicurazione sanitaria, senza sindacati e diritti dei lavoratori>. La prigione “di massima sicurezza”, che veniva adottata dopo proteste e rivolte, ha sottoposto i palestinesi a <una dura politica di punizioni, restrizione e, nel peggiore dei casi, all’esecuzione capitale>.

La prigione a cielo aperto ha funzionato dal 1967 fino allo scoppio della prima Intifada nel 1987. Il modello più duro del carcere di massima sicurezza fu imposto dal 1987 al 1993 quando la pressione internazionale costrinse Israele a ripristinare la prigione a cielo aperto, che durò fino al 2000, e fu presentata come un “processo di pace” sotto la guida degli Stati Uniti. Intorno al 2006 il sistema carcerario operante nei Territori Occupati della Cisgiordania e di Gaza riprese a funzionare secondo i criteri della prigione di massima sicurezza. In questo contesto l’Autorità Nazionale Palestinese ha avuto poteri di scarso rilievo, esercitati comunque sotto il controllo dell’esercito israeliano occupante.

La ‘ebraicizzazione’ dei Territori Occupati con il costante insediamento di soldati e civili sionisti sulle terre dei palestinesi ha fatto seguito alla massiccia espropriazione di case e terre palestinesi avviata a Gerusalemme già dal 1967. Questa operazione militare di pulizia etnica fu presentata come una ‘pianificazione urbanistica’, che definiva nuovi spazi verdi, insediava quindici colonie ebraiche definite nuovi quartieri, ordinava l’abbattimento di edifici palestinesi, concedeva licenze edilizie per enormi agglomerati ebraici, modificando profondamente la struttura demografica della già palestinese Gerusalemme Est. Il mondo cosiddetto civile ha dimenticato che per la Convenzione di Ginevra del 1949 “è illegale colonizzare una terra occupata o trasferire su quella terra una popolazione non indigena”.

La resistenza palestinese iniziò nella primavera del 1968 con una serie di attacchi terroristici di al-Fatah contro obiettivi civili in Israele; quindi iniziarono i dirottamenti aerei cui seguirono i bombardamenti israeliani delle basi palestinesi in Giordania e in Libano. Intanto si espandevano le colonie sioniste, sostenute dai governi laburisti, nei Territori Occupati. <E ogni blocco di colonie -scrive Pappé - era circondato da una recinzione elettrica e da mura che chiudevano i coloni al loro interno, ma che combinate tra loro rinchiudevano i palestinesi in decine di mini-prigioni>. La installazione dei checkpoint avviata nel 1993 consolidava la strategia di de-palestinizzare Gerusalemme e separarla sempre più dalla Cisgiordania, che gli israeliani persistevano a chiamare coi nomi biblici di Samaria e Giudea.

Già nel 2007 il 40% della Cisgiordania era sotto il dominio diretto di Israele che aveva consolidato la presenza militare mediante barriere, basi dell’esercito e aree militari interdette ai palestinesi definite cinicamente riserve naturali. Intanto nel 2005 Gaza, lasciata al governo di Hamas, anche per colpire l’Autorità Nazionale Palestinese, diventava per gli israeliani un obiettivo militare, cui veniva imposto un embargo economico e che iniziava a reagire col lancio di missili rudimentali su Israele. A fine 2016 nella Cisgiordania vivevano già 400 mila israeliani all’interno di 121 insediamenti ufficialmente riconosciuti dal governo di Tel Aviv; quasi altrettanti ebrei si erano già insediati a Gerusalemme Est.

Oggi la Cisgiordania è diventata una sorta di groviera dove le città e i villaggi palestinesi sono separati continuamente dagli insediamenti dei coloni sionisti. La colonizzazione ebraica dei Territori Occupati ha reso sostanzialmente impossibile la costituzione di un pur minimo Stato palestinese. Di fronte a questa vergogna il mondo civilizzato ha finora taciuto nella massima ipocrisia. È giunto finalmente il momento di prendere atto del disegno sionista, perseguito da tutti i governi israeliani, di eliminare la presenza del popolo palestinese dal territorio dell’antica Palestina. Bisogna impedire al governo di Netanyahu di portare a compimento questo tragico processo di colonizzazione e distruzione.

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