Andrea Vento

 

Chiquita Panama licenzia anche i 1.600 lavoratori a tempo indeterminato. La formazione dello stato di Panama con storia del Canale interoceanico

Gli scioperi a oltranza e le proteste iniziate il 28 aprile scorso a seguito dell’approvazione della legge 462 di controriforma del Fondo di previdenza sociale, nonostante la dichiarazione dello Stato di emergenza nella provincia di Bocas del Toro, proseguono radicandosi in tutto il paese.

Chiquita Panama, la multinazionale statunitense proprietaria di varie piantagioni di banane che aveva già licenziato circa 4.800 braccianti giornalieri in sciopero, con l’approvazione del presidente di destra Josè Raul Molino, ha dato il benservito ai restanti 1.600 lavoratori a tempo indeterminato e dismesso la produzione nel Distretto di Changuinola della provincia di Bocas del Toro.

Come avevamo ventilato in precedenza, la dichiarazione dello Stato di emergenza ha in effetti aperto scenari dagli sviluppi imprevedibili con la crisi che va avvitandosi su se stessa senza che al momento si prospettino possibilità di risoluzione.

Infatti, agli scioperi e alle proteste di contrasto alla controriforma pensionistica portate avanti soprattutto da alcune categorie di lavoratori dipendenti, si sono aggiunti ampi settori sociali, trasformandosi in lotta popolare generalizzata. Tant’è che alla motivazione sindacale iniziale si sono sommate rivendicazioni contro: l’Accordo con gli Stati Uniti che permette lo schieramento di truppe nel paese per “proteggere” la zona del Canale, i nuovi invasi artificiali per l’alimentazione del Canale e la riapertura della miniera di rame “Cobre Panama” nella provincia di Colon a beneficio della multinazionale canadese “First Quantum Minerals Ltd”[1]. Ciò nonostante nel 2023 fosse stata emessa, a seguito di massicce proteste[2], una dichiarazione di incostituzionalità a carico della concessione di sfruttamento per l’ampliamento dell’attività estrattiva.

Il giornalista Giorgio Trucchi, corrispondente dall’ America Centrale, riporta in un suo articolo del 4 giugno[3], un’intervista all’ambientalista e anch’esso giornalista, Olmedo Carrasquilla, sulla situazione in corso nel paese, nel cui contesto ha dichiarato: “Panama sta affrontando una grave crisi sociale, economica e politica. E’ in corso uno sciopero a tempo indeterminato a cui hanno aderito varie sigle sindacali, studenti, contadini, popolazioni indigene, donne e giovani e la popolazione non organizzata in generale”. Prosegue Carrasquilla: “A queste richieste (quelle sopra enunciate, ndr) se ne aggiungono altre come ad esempio il miglioramento del sistema educativo, sanitario e delle infrastrutture stradali, la lotta alla corruzione e all’arricchimento di pochi privilegiati, alla povertà e alla disuguaglianza sociale”. Per poi concludere “Il governo non sembra voler cambiare il proprio discorso di odio. Noi invochiamo una pace con giustizia sociale, con rispetto per la natura e i diritti umani. Fermate la repressione subito”.

Mentre le proteste e gli scioperi si ampliano in termini di partecipazione e rivendicazioni, il presidente Molino rifiuta l’apertura di un negoziato e inasprisce la repressione di polizia, in un muro contro muro che non sembra al momento aprire spiragli di risoluzione negoziale.

 

    Il processo storico di fondazione dello Stato di Panama e del suo Canale

Dopo esser stato raggiunto per la prima volta da Cristoforo Colombo nel 1502 durante il suo ultimo viaggio, l’Istmo di Panama nel 1513 fu definitivamente conquistato dagli spagnoli e annesso al nascente impero coloniale, con il toponimo di Castilla de Oro. Nel 1514 venne inizialmente unito dal punto di vista amministrativo all’adiacente regione colombiana per poi divenire parte del Vicereame del Perù nel 1542. Infine, fra il 1717 e il 1819, costituì, insieme a Colombia, Ecuador e Venezuela, il Vicereame di Nuova Granada. Fino alla metà del XVIII sec. godette di una certa prosperità economica, oltre che per il commercio di schiavi provenienti dall’Africa, grazie alla coltivazione di banane, alle risorse del sottosuolo e alla posizione geostrategica che favoriva i commerci tra la Spagna e il Sud America. Successivamente, iniziò una fase di declino a seguito dell’esaurimento delle risorse minerarie e dei crescenti attacchi dei pirati inglesi.

La lotta contro la dominazione spagnola guidata di Simon Bolivar portò nel 1919 all’indipendenza del Vicereame di Nuova Granada, assumendo denominazione di Repubblica della Gran Colombia, della quale, dopo la promulgazione della Costituzione nel 1821, ne venne eletto presidente proprio “El Libertador”. Successivi contrasti emersi fra le varie oligarchie locali sfociarono, dopo la morte di Bolivar nel 1830, nella disgregazione della Gran Colombia e alla formazione di Venezuela, Ecuador e Repubblica di Nueva Granada (poi Colombia), della quale Panama costituiva la provincia più settentrionale (Carta 1).

Carta 1: la carta storica della Gran Colombia fra il 1819 e il 1824, con ripartizione in province

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Nel corso del XIX sec. Panama acquisì nuova centralità commerciale grazie alla penetrazione britannica nell’area caraibica e ai vari progetti di taglio dell’istmo, il primo risalente addirittura al 1829 da parte inglese. Dopo vari proposte si arrivò al 1881 con l’inizio del tentativo francese di realizzazione del canale interoceanico promosso da Ferdinand de Lesseps, già realizzatore del Canale di Suez, che fallì definitivamente, nel 1889, per i costi esorbitanti e vari scandali di corruzione. I francesi fondarono quindi una nuova società nel 1894 che di lì a poco, di fronte alle difficoltà di realizzazione dell’opera, entrò anch’essa in crisi finanziaria.

Gli Stati Uniti che da tempo premevano per la realizzazione di un collegamento interoceanico, dopo aver minacciato di realizzarlo in Nicaragua, nel 1901 ottennero dal governo della Colombia il permesso per la costruzione del canale attraverso l'istmo di Panama e la sua gestione per 100 anni.

Nel gennaio del 1903 il governo della Colombia e degli Stati Uniti sottoscrissero il nuovo Trattato Herran-Hay, ma, a seguito della mancata ratifica, decadde nel settembre dello stesso anno. Di lì a poco scoppio una rivolta armata appoggiata dagli Stati Uniti che portò all’indipendenza di Panama dalla Colombia il 3 novembre 1903 e all’emanazione della costituzione l’anno successivo.

Il neo costituito stato centroamericano entrò nella sfera di influenza statunitense, divenendone, al pari di Cuba, una sorta di Protettorato. Pertanto Washington ebbe gioco facile a riscattare per una cifra corrispondente a 200 milioni lire i diritti della società francese e ad ottenere in uso perpetuo una striscia di territorio per la realizzazione del canale, dietro un indennizzo immediato di 10 milioni di dollari e, dopo nove anni, di una sorta di affitto pari a 250 mila dollari annui.

I lavori per la costruzione del canale ripresero nel 1904 per terminare, dopo una modifica del progetto iniziale che introdusse le chiuse, nel 1914, allor che il 15 agosto, con il passaggio della nave Ancon, venne aperto alla navigazione. Tuttavia, l’inaugurazione ufficiale del Canale avvenne solo al termine della Prima Guerra Mondiale il 20 giugno 1920. Per la realizzazione della nuova via d’acqua lunga 81,1, km, gli Stati Uniti sostennero una spesa complessiva corrispondente a 2 miliardi di lire dell’epoca

Il controllo della “Striscia del Canale” ha dato, successivamente vita ad un lungo contenzioso fra i due paesi, poi risolto tramite i trattati Torrijos - Carter del 1977 che ne prevedevano la restituzione a Panama il 31 dicembre 1999, come poi avvenuto.

Da allora i pedaggi delle navi in transito hanno rivestito importanza fondamentale per l’economia del paese, visto che da quel momento costituiscono la principale voce di ingresso di valuta pregiata per le casse panamensi.

L’espansione del traffico marittimo mondiale innescato dalla globalizzazione e l’incremento del tonnellaggio dei cargo porta contanier ha indotto il governo panamense ad elaborare un progetto di ampliamento del canale, poi approvato tramite Referendum popolare, con il 78.6% dei voti, il 22 ottobre 2006. I lavori iniziati l‘anno successivo si conclusero nel 2016, consentendo così il transito delle navi cosiddette “Neopanamax” aventi dimensioni massime di 294 m. di lunghezza, 32,3 m. di larghezza ed un pescaggio di 12,04 m.

Dalla fine del 2023, a seguito di una lunga siccità indotta dai cambiamenti climatici che ha ridotto il livello dell’acqua del Canale, il traffico dei mercantili è stato temporaneamente ridotto del 36%, con una perdita per le casse statali stimata fra i 500 e i 700 milioni di dollari annui.

Proprio per ovviare alla carenza idrica, il governo panamense ha varato il progetto dei nuovi invasi artificiali per alimentare le acque del Canale, la cui contrarietà è divenuta un ulteriore punto programmatico della piattaforma di rivendicazioni della lotta popolare in atto nel paese.

Sin dal momento del suo secondo insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump, ha avanzato rivendicazioni sulla “Striscia del canale” minacciando di riprenderne il controllo nel caso le navi statunitensi non vengano esentate dai pedaggi di transito. Inoltre, ha esercitato forti pressioni per indurre la vendita a società statunitensi dei due porti posti agli imbocchi del Canale, Cristobal sull’Atlantico e Balboa sul Pacifico (carta 2), posseduti dalla società Ck Hutchinson di Hong Kong, lamentando un presunto “controllo cinese sul canale”.

Carta 2: carta geografica del canale di Panama con i 5 porti lungo il suo percorso

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Il video pubblicato da Giorgio Trucchi riporta due momenti della repressione contro le mobilitazioni sociali a Tolé (Chirqui) e a Ipeti (Danén) https://youtu.be/EGrA9jWWIOg?si=ZYZU1WraR48mSVYN

 

[1] https://first-quantum.com/English/our-operations/default.aspx#module-operation--cobre

[2] https://www.osservatoriodiritti.it/2023/10/18/panama-attivita-mineraria/

[3] “Repressione a Panama (con video). Cresce la mobilitazione di ampi settori della società” di Giorgio Trucchi

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