Andrea Vento

 

Determinanti i rischi di una guerra d’attrito e la crisi economica e di bilancio statale causate da quasi di tre anni di conflitti con sei fronti di guerra innescati dalla sua politica espansionistica e guerrafondaia.

Il conflitto iniziato il 13 giugno, con l’attacco a sorpresa israeliano contro l’Iran, che sembrava indirizzato ad un’ulteriore escalation a seguito del bombardamento statunitense dei siti nucleari di Fordow, Isfahan e Natanz del 20 giugno e la replica formale di Teheran contro la base Usa in Qatar, è invece sfociato nel sostanzialmente imprevisto cessate il fuoco della mattina del 24 giugno.

Decisiva è sicuramente risultata la determinazione di Trump nel perseguire tale obiettivo, quasi imponendolo alle parti. Nonostante l’importante risultato sia stato accolto subito con favore dai contendenti, una parte dell’opinione pubblica internazionale si è posta la domanda del perché Israele abbia accettato immediatamente la proposta. Con Tel Aviv che ha addirittura ordinato il rientro della flotta area che la mattina del 24 giugno si stava dirigendo verso l’Iran su decisa pressione dello stesso tycoon. “Israele, non sganciare quelle bombe. Se lo fai, è una grave violazione. Riporta a casa i tuoi piloti. Subito!” ha tuonato Trump sul social Truth e Netanyahu obtorto collo ha dovuto obbedire.

In questa prima parte del lavoro ci proponiamo di indagare le cause politiche e militari dell’accettazione del cessate il fuoco da parte di Israele, riservandoci di affrontare quelle economiche in un secondo tempo.

Netanyahu approfitta di una via d’uscita onorevole e la camuffa da vittoria all’opinione pubblica interna

Israele ha colto al balzo la trionfale dichiarazione rilasciata sempre via social da Trump, subito dopo il bombardamento, di aver “totalmente distrutto” i siti iraniani per cantare vittoria e accettare il cessate il fuoco. In realtà il successo sbandierato da Netanyahu risulta quanto meno mutilato e frutto di una guerra onerosa dal punto di vista finanziario, con circa 20 miliardi di $ spesi nel solo mese di giugno, e che ha costretto Israele a subire pesanti bombardamenti missilistici con gravi distruzioni di strutture militari, produttive ed edifici civili.

Infatti, se da un lato Israele ha colpito pesantemente le difese aeree iraniane, soprattutto col first strike iniziale a sorpresa, e vari siti militari e nucleari, oltre alla popolazione civile, dall’altro, dobbiamo rilevare che dei due obiettivi della guerra, il cambio di regime e la distruzione del programma nucleare, non è riuscito a conseguirne neanche uno.

Per quanto riguarda il cambio di regime a Teheran, obiettivo peraltro alquanto velleitario da raggiungere con i soli bombardamenti, ne è evidente il completo fallimento.

Mentre per la “totale distruzione” della capacità nucleare iraniana, un rapporto segreto dell’intelligence Usa sostiene che il programma atomico iraniano è stato solo rallentato, in primis perché i 400 kg di uranio arricchito sarebbero stati trasferiti in un luogo segreto nei giorni precedenti e, in secondo luogo, perché in base al rapporto della Defense Intelligence Agency statunitense “le bombe hanno sigillato gli ingressi di due siti ma non sono riuscite a provocare il crollo delle strutture sotterranee. Gli attacchi, condotti insieme a quelli dell’aeronautica israeliana, avrebbero causato danni da moderati a gravi alle installazioni di Fordow, Isfahan e Natanz, con Natanz particolarmente colpita. Tuttavia, la capacità produttiva dell’Iran non sarebbe stata del tutto compromessa”.

Infatti, secondo l’intelligence statunitense se prima del bombardamento l’Iran accelerando il programma avrebbe potuto realizzare un ordigno atomico in circa tre mesi, ora gliene occorrerebbero sei.

In pratica il programma nucleare militare iraniano non sarebbe in realtà stato distrutto, sempre ammesso che ciò fosse stato realmente nelle finalità di Teheran, come invece ha negato lo stesso presidente dell’Aiea Grossi, ma solamente danneggiato.

Un indizio in tal senso potrebbe essere giunto dallo stesso Trump, il quale, se da un lato, smentisce pubblicamente il suo stesso intelligence ribadendo che “I siti nucleari in Iran sono stati completamente distrutti”, dall’altro, ha ventilato l’eventualità di un impegno prolungato in Iran da parte degli Stati Uniti, finalizzato al disarcionamento dell’attuale leadership della Repubblica Islamica. “Non è politicamente corretto usare il termine “cambio di regime”, ma se l’attuale regime iraniano non è in grado di RENDERE DI NUOVO GRANDE L’IRAN, perché non dovrebbe esserci un cambio di regime???? MIGA!!!” ha scritto sempre su Truth, sollevando non pochi dubbi sulla, più volte ribadita, effettiva “distruzione totale” dei siti nucleari.

Ulteriore risultato negativo per Netanyahu è rappresentato dalla decisione del Parlamento iraniano di mercoledì 24 di sospendere la cooperazione con l’Aiea con conseguente preclusione dell’accesso ai suoi ispettori ai siti iraniani in quanto “L’Aiea, che si è rifiutata di condannare anche marginalmente l’attacco agli impianti nucleari israeliani, ha messo a repentaglio la propria credibilità internazionale”, ha affermato il presidente dell’assise Bagher Ghalibaf. Alludendo anche alle accuse di trasmissione di informazioni riservate a Israele sui siti iraniani da parte della suddetta agenzia dell’Onu già sollevate nei giorni precedenti. Quindi, visti gli sviluppi, l’Iran ora potrebbe accelerare sul programma nucleare, vanificando gli effetti degli attacchi israelo-statunitensi.

Conclusioni

In sostanza, Netanyahu, che ha inizialmente imposto la sua agenda guerrafondaia a Trump coinvolgendolo nel conflitto, si è trovato costretto ad accettare il cessate il fuoco, da un lato, perché fortemente voluto da Trump fino alla quasi imposizione, e dall’altra, perché, infarcendola con dichiarazioni di vittoria, ha offerto un’onorevole via d’uscita nei confronti della propria opinione pubblica. Ciò in quanto Israele rischiava realmente di impantanarsi in una logorante guerra d’attrito, le cui sorti potevano non essere positive. Infatti, l’Iran ha mostrato una, probabilmente inaspettata, capacità di resistenza agli attacchi, anche a livello di fronte interno, e di contrattaccare colpendo, in modo regolare e prolungato nel tempo, Israele in virtù del livello tecnologico avanzato e della vastità del proprio arsenale missilistico, anche senza rifornimenti da parte dei suoi alleati. Mentre Israele con la popolazione rintanata dei bunker, le scuole chiuse e parte delle attività bloccate ma, soprattutto, senza continuativi rifornimenti di materiale bellico da parte statunitense, non avrebbe potuto resistere nemmeno qualche mese.

In definitiva la cosiddetta “guerra dei 12 giorni” si è conclusa senza né vinti né vincitori, nonostante i tre attori coinvolti mostrino apparente soddisfazione per lo sbandierato conseguimento degli obiettivi. Tuttavia, da un lato l’Iran, nonostante il pesante bilancio in termini di distruzioni e morti, ha sostanzialmente retto agli attacchi israeliani uscendo tutto sommato rinforzato dal conflitto, nonostante avesse già subito un ridimensionamento a livello regionale con la disarticolazione del cosiddetto “asse della resistenza sciita” da parte di Israele.

Dall’altra, Netanyahu che sta cercando di contrabbandare alla propria opinione pubblica l’esito del conflitto per una vittoria, che invece a detta degli analisti assume altri connotati[1], non ha alternative nel perseverare con le politiche guerrafondaie per restare alla guida del paese e cercare di rimandare sine die di fare i conti con i suoi guai giudiziari. Ragion per cui i palestinesi di Gaza continueranno a fungere da capro espiatorio per le sue politiche belliche che la Corte Penale Internazionale (CPI) del L’Aja ha definito crimini di guerra e contro l’umanità, spiccando a novembre 2024 un ordine di cattura a suo carico.

 

[1] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/israele-iran-chi-ha-vinto-e-chi-ha-perso-la-guerra-dei-12-giorni-212206#:~:text=Il%20confronto%20militare%20tra%20Israele,gi%C3%A0%20avvenuti%20ad%20aprile%20e

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