Giovanni Rota

 

L’Argentina naviga a vista tra dipendenza esterna e disillusione interna.

 La situazione alla vigilia del voto

Il 26 ottobre in Argentina sono previste le votazioni legislative per rinnovare metà dei seggi della Camera dei deputati e un terzo del Senato. Quella che, negli Stati Uniti, sarebbe definita un’elezione “di metà mandato”, nel Paese sudamericano si preannuncia come un vero e proprio plebiscito sul presidente Javier Milei, alle prese con il momento più difficile del suo mandato.

Ma, oltre al giudizio interno, su queste elezioni pesa un’altra ombra: quella di Donald Trump, sempre più coinvolto nella politica argentina e nel sostegno diretto al governo ultraliberista di Buenos Aires.

 

Un’elezione cruciale per il destino politico di Milei

Salito al potere alla fine del 2023 con la promessa di “far saltare il sistema”, Milei ha imposto un’agenda di rottura radicale, tagliando spesa pubblica, sanità, sussidi sociali, posti lavoro nel settore pubblico e pensioni. Dopo due anni di politiche iperliberiste e tensioni sociali crescenti, la sua popolarità è crollata di quasi venti punti.

La sconfitta di settembre nella provincia di Buenos Aires — dove i peronisti hanno vinto con un margine di 14 punti — ha trasformato il voto di ottobre in un test decisivo per la sopravvivenza politica del presidente.

Ma a rendere questa tornata ancora più significativa è il peso geopolitico che la crisi argentina ha assunto negli ultimi mesi.

 

L’asse Milei–Trump: ideologia, affari e potere

Il presidente argentino si è da subito definito un “soldato dell’Occidente” e un alleato naturale degli Stati Uniti. Fin dalla campagna elettorale del 2023, Milei ha espresso ammirazione per Donald Trump, definendolo “uno dei più grandi leader della storia moderna”.

Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca nel 2025, i due hanno costruito un rapporto di reciproco interesse: ideologico, mediatico e finanziario.

Secondo fonti vicine al ministero dell’Economia argentino, il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent, uomo di fiducia di Trump, ha negoziato un prestito straordinario di 40 miliardi di dollari per sostenere il peso argentino e consentire al governo di Buenos Aires di far fronte alle scadenze del debito.

 

Il responso delle urne

Il presidente argentino Javier Milei e il suo partito La Libertad Avanza hanno vinto le elezioni parlamentari intermedie di domenica 26 ottobre 2025, ottenendo il 40,72% dei voti a livello nazionale, mentre il fronte peronista–kirchnerista (Fuerza Patria) si è fermato al 33,92%,

L’affluenza, probabilmente a seguito del difficile clima sociale nel paese, si è fermata al 67,85%, la più bassa dal ritorno alla democrazia nel 1983.

Un successo parziale, dunque, in un Paese diviso e stremato dalla crisi sociale e valutaria, dove sei elettori su dieci recatisi alle urne non hanno sostenuto né ratificato le politiche del presidente iperliberista.

 

La vittoria di Milei: trionfo reale o apparente?

Nonostante la narrativa ufficiale parli di “vittoria storica”, l’analisi dei dati rivela che La Libertad Avanza ha perso circa 12 punti rispetto alle presidenziali del 2023 (quando Milei vinse con oltre il 52%).

Il suo 40,72% attuale non rappresenta un’espansione dell’elettorato, ma uno spostamento interno alla destra, con buona parte dei voti del PRO confluiti verso Milei.

In sostanza, il progetto neoliberista di destra — oggi incarnato dall’asse Milei–Macri — ha raggiunto il suo tetto massimo elettorale alle legislative.

Allo stesso tempo, l’opposizione rimane divisa e priva di una proposta alternativa coerente e convincente.

Il peronismo–kirchnerismo non riesce a riconquistare l’elettorato popolare, mentre Provincias Unidas (corrente centrista del peronismo costituita dai governatori di alcune province), con poco più del 7%, rappresenta una novità ancora fragile, sospesa tra federalismo e pragmatismo.

Accettabile il risultato della formazione del Frente di Izquierda che supera la soglia di sbarramento del 3%, attestandosi al 3,91%.

 

Trump, il finanziatore occulto

Dietro la vittoria di Milei c’è anche — e probabilmente soprattutto — la mano di Donald Trump.

Come rivelato da diverse fonti a Buenos Aires e Washington, il prestito straordinario da 40 miliardi di dollari concesso dalla Casa Bianca ha garantito la stabilità necessaria per evitare un collasso finanziario alla vigilia del voto.

L’analista Felipe Yapur, sul quotidiano Página/12, ha commentato:

“La vittoria di Milei è stata garantita da un aumento netto del debito estero di 40 miliardi di dollari inviati dalla Casa Bianca. Per ora ha superato il primo ostacolo, quello elettorale.”

Si tratta, dunque, di una vittoria finanziata e politicamente sostenuta da Washington, anche alla luce degli ulteriori 20 miliardi promessi dal tycoon ma solo in caso di vittoria di Milei, che considera Buenos Aires un perno strategico nella competizione globale con la Cina e per la visione internazionale di Trump rappresenta uno dei suoi capisaldi nel contesto nelle relazioni del subcontinente latinoamericano, insieme al salvadoregno Bukele.

Ma il prezzo per l’Argentina è altissimo: un nuovo aumento del debito estero e una dipendenza strutturale dal capitale statunitense e del Fondo Monetario Internazionale.

 

Un Paese in sofferenza, un presidente isolato

Sul fronte interno, la società argentina resta profondamente divisa e in sofferenza sociale.

La riduzione dell’inflazione era stata sbandierata come la grande vittoria di Milei ma da questa estate ha ripreso a crescere sommandosi alla disoccupazione crescente, ai tagli al welfare e al crollo del potere d’acquisto dei salari.

La “vittoria” elettorale, sulla quale ha influito la promessa di Trump che allontana lo spettro del default, non ha cancellato le tensioni esplose negli ultimi mesi né gli scandali di corruzione che hanno colpito la famiglia presidenziale e il suo entourage, anche se non sembrano aver influito nell’orientamento del voto.

Milei esce dalle urne rafforzato in Parlamento, ma probabilmente meno forte nel Paese.

Il risultato gli consente di resistere, non di governare serenamente.

 

Una vittoria in chiaroscuro

Il 27 ottobre 2025, la stampa internazionale parla di “sorpresa argentina” e di “grande vittoria libertaria”.

Ma, guardando oltre l’immediato, il quadro è più complesso: Milei ha vinto, sì, ma non ha ampliato il suo consenso ed è riuscito a consolidare il potere solo al prezzo di un debito crescente e di una fragile pace sociale.

Come scrive Yapur, “per ora ha superato il primo ostacolo, quello elettorale”.

Resta da capire se saprà superare il secondo — quello della governabilità.

Le elezioni del 26 ottobre ricordano che la storia non procede per salti, ma per contraddizioni e lente transizioni.

Ciò che oggi appare come trionfo, domani potrebbe assumere altri connotati, vale a dire un passo avanti per il potere personale di Milei, ma un passo indietro per l’autonomia e la giustizia sociale dell’Argentina.

 

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