Stampa
Categoria: Saggi
Visite: 5674

© Paola Pavese

 

Premessa

Questo opuscolo è un’introduzione, non certo esaustiva, ad alcuni riferimenti teorici della pedagogia marxista e alla storia dei Pionieri d’Italia.

Ma è soprattutto un manuale, in cui ho immaginato una possibile organizzazione per bambini e ragazzi, a cui ho voluto dare un nome, che mi è sembrato bellissimo: Pionieri del Futuro. Per scriverlo ho seguito le orme di Gianni Rodari e del suo Manuale dei Pionieri, che a leggerlo pare anch'esso un esercizio di fantasia, basato su un qualche testo che l'autore pare avere sotto gli occhi. Ovviamente, fare esercizi di fantasia seguendo le orme di Rodari viene facile, direi che viene quasi automatico, ed è probabile che in più di un'occasione mi sia fatta trascinare dall'entusiasmo.

 Spero però di essere riuscita, almeno in parte, a mantenere quell'equilibrio tra immaginazione e realtà che è il segreto che Gianni Rodari racchiude e svela in ogni sua pagina, la formula per generare la spinta propulsiva, inesauribile, che permette la costruzione del futuro.

Certo, Rodari operava in un altro universo spazio-temporale, all'interno di un movimento di massa reale, di un partito comunista che diventava sempre più grande e complesso, mentre noi viviamo in un momento di grande frammentazione e confusione, in cui ogni punto di vista autonomo e di classe tende a smarrirsi. Sono consapevole quindi che l'esercizio di fantasia che state per leggere può sembrare senza speranze e fuori tempo.  Ma da qualche parte bisogna pur ricominciare e il mio contributo alla costruzione del futuro l'ho voluto dare così, partendo dall'inizio, dall'infanzia e dai ricordi che ho conservato, di quando ero piccina e credevo che il mondo sarebbe stato migliore perché noi bambini lo avremmo cambiato, visto che avevamo avuto la fortuna di crescere leggendo a scuola Il libro degli errori e Il pianeta degli alberi di Natale, mentre a casa ci aspettava Favole al Telefono.

Quando ho scritto questo libricino, lo devo confessare, l'ottimismo della volontà mi ha fatto immaginare che potesse essere l'inizio di un’avventura reale, che stava già iniziando ad accadere, giocata insieme a molti. A molti bambini, a molti ragazzi e a qualche adulto ancora in vena di inventare un Mondo Nuovo.

Ma non è successo, e dopo qualche tempo ho rimesso tutto quanto dentro un cassetto, aspettando tempi migliori, e continuando a collezionare tutto quello che riguardava i Pionieri, ogni domenica a Porta Portese dal mio spacciatore di ricordi e di sogni.

Dopo essere arrivata ad un congruo numero di spillette, libri in cirillico, manifesti e berretti, ho ripreso dal cassetto il mio libricino e ho pensato di dargli una nuova possibilità: a Donetsk, in Novarossiya, i bambini erano tornati a fare la promessa del Pioniere e la cosa mi aveva messo allegria.

In fondo, nell'unica riunione che la storia ricordi, i Pionieri del Futuro avevano voluto intitolare il loro reparto nascente a Che Guevara e avevano espresso il desiderio di diventare una cosa sola con tutti i Pionieri del mondo e di istituire il brevetto di Internazionalista Provetto.

Ho deciso allora di far diventare questo piccolo libro uno strumento per raccogliere fondi per i nuovi Pionieri di Donetsk, e di ristamparlo per questo.

E ho molta fiducia - e nessuna speranza - che sia anche l'occasione per dare una spinta al futuro, un Futuro Migliore, qui da noi e se non adesso il prima possibile, perché si torni a vedere nei bambini e nei ragazzi una risorsa e non un problema, una risorsa giocata sul fatto che chi nasce è portatore di un' alterità non solo individuale, ma sociale, di uno sguardo sul mondo che non è ancora quello che il mondo attuale cerca a tutti i costi di riprodurre per portare avanti quel gioco così ottuso che è il capitalismo, che in tutte le sue varianti ed i suoi intrecci ha come unico scopo quello di piegare la nostra natura e di renderci schiavi, sordi, muti e dimentichi della nostra comune umanità.

 

Una nota

Il termine lavoro, che ho utilizzato spesso in questo opuscolo riguardo alle attività dei bambini, non va qui inteso nel suo significato etimologico, legato alla fatica, al travaglio, ma piuttosto con quello di portare a compimento un’opera, di agire una forza per ottenere uno scopo. È da notare come per opera si intenda il più delle volte, nella nostra lingua, il risultato del lavoro di un artista, che così tanto ha in comune con l'attività principale dei bambini, il gioco, come ci fa notare nelle righe che seguono, tratte da  A piccoli passi, Silvia Vegetti Finzi:

“Non c'è niente di più serio e più coinvolgente del gioco per un bambino. E in questa sua serietà è molto simile ad un artista intento al suo lavoro. Come l'artista, anche il bambino giocando trasforma la realtà, la reinventa, la rappresenta in modo simbolico, creando un mondo immaginario che riflette i suoi sogni a occhi aperti, le sue fantasie, i suoi desideri”

Lo specifichiamo perché è utile ricordare che con i Pionieri del Futuro sarebbe bello prefigurare insieme, adulti e bambini, una società dove gli esseri umani possano agire collettivamente la propria liberazione, attraverso una progettualità che si concretizza in un diverso rapporto con il fare e dunque con il lavoro, che non deve in nessun caso mettere in secondo piano il protagonismo dei bambini, le loro scelte e il loro specifico rapporto con la realtà.

Questo è il carattere principale della alterità della nostra scelta pedagogica.

Dunque, anche quando il lavoro dei bambini risulterà tenace, esso sarà sempre il risultato di una scelta, insieme individuale e collettiva; come ogni scelta di bambini sarà spesso seria, ma sempre manterrà intatta la sua qualità di gioco.

 

PERCHÉ I PIONIERI DEL FUTURO

I Pionieri del Futuro sono una nuova proposta pedagogica che si ispira all’Associazione Pionieri d’Italia e alle visioni pedagogiche di Anton Makarenko, di Lev Vygotskij, di Gianni Rodari e a quelle della parte migliore del movimento democratico che ha animato la scuola italiana tra gli anni ’50 e ’80.

Il voler esplicitare in maniera dettagliata queste scelte, nasce dalla  consapevolezza che il lavoro pedagogico non può essere neutro. Ogni scelta in questo campo poggia su una visione precisa dell’essere umano, scaturita dall’adesione o meno, anche inconsapevole,  al sistema di valori che permette all’assetto politico, economico e sociale di riprodursi - pur in tutte le sue necessarie e veloci mutazioni. E questi valori sono gli stessi che si pongono  alla base della forma in cui i legami sociali si sviluppano.

I Pionieri del Futuro propongono esplicitamente ai bambini di radicare le proprie convinzioni morali e le proprie azioni nella non sopraffazione dell’altro e nel rispetto e nella valorizzazione del lavoro, proprio ed altrui, ossia nell’impegno di ognuno a mettere a disposizione della vita e del proprio contesto sociale le capacità che va scoprendo in sé, e  a facilitare l’ espressione delle capacità altrui.

Da questo discenderà una diversa socialità, che svela, concretamente, l’illusione dell’individualismo e pone le sue radici in un agire collettivo che sappia rispettare le caratteristiche e le ricchezze individuali.

L'intento è quello di dare ai bambini la possibilità di sviluppare un pensiero critico, ossia libero, capace di guardare alla realtà con curiosità, ma saldo su alcuni principi imprescindibili all’autodeterminazione dell’ essere umano che come abbiamo già detto, ma giova ripeterlo, sono il rifiuto di ogni forma di sopraffazione e la valorizzazione del lavoro e della collaborazione come capacità collettive di progettare e realizzare i desideri e di affrontare la avversità.

I Pionieri del Futuro, così come li ho immaginati, saranno bambini che avranno la possibilità di vivere l’infanzia come un’avventura di cui essere protagonisti, collettivamente. Bambini che impareranno ad aver fiducia nelle proprie capacità di conoscere la realtà, di cambiarla e di immaginarne una nuova. Che avranno la possibilità di mettere in atto, concretamente, la solidarietà, così naturale nei ragazzini.

Un processo pedagogico, questo, che andrà a costruire una consapevolezza morale radicata nell’esperienza, nel gioco, nelle attività artistiche e sportive e dove il valore dell’amicizia, aperta, leale, concreta sarà vissuto pienamente, dove la solidarietà, la progettualità, il mettersi in gioco, il rispetto per le regole condivise e le responsabilità assunte in prima persona siano un’abitudine consolidata.

 

I NOSTRI MAESTRI Makarenko, Vygotskij, Rodari

“Chi fa sé non fa per tre, chi fa da sé fa solo per uno e tante volte non fa per nessuno”.

Gianni Rodari

 

Makarenko, Vygotskij, Rodari:

Tre figure diverse, per storia e interessi di ricerca, eppure legate da uno stesso filo conduttore: la ricerca, caparbia, che ha segnato le loro vite, di strade nuove nel rapporto tra adulti e bambini, strade che vedessero protagonisti i più piccoli, ma in cui mai gli adulti abdicassero al loro ruolo di educatori. E ancora, tratto distintivo di questi tre personaggi fu lo slancio leale nel coniugare la fiducia nel socialismo con quella  nell’essere umano e nelle sue capacità di generare un futuro migliore una volta abbracciata la scelta di una crescita collettiva e abbandonato l’ individualismo, che non è che l’illusione che l’individuo possa formarsi ed agire al di fuori o al di sopra del contesto sociale.

 

Anton Makarenko e la didattica del collettivo

Anton Makarenko fu protagonista di una straordinaria avventura educativa.

La necessità pratica di portare avanti l’esperienza educativa con i ragazzi di strada della colonia ‘Gor’kij’ prima e dalla “comune Dzerzinskij” poi,  durante il periodo, durissimo,  che seguì la rivoluzione d’ottobre, lo condusse ad immaginare ed attuare un nuovo metodo organizzativo nel processo educativo: la didattica del collettivo.

Alle pedagogie attivistiche, incentrate ancora sul singolo bambino e seguite in quegli anni in Unione Sovietica dalla Krupskaja, Makarenko oppose la forza del collettivo, luogo reale e non astratto della costruzione della personalità.

E’ interessante notare come le pedagogie attivistiche siano ancora alla base di tante pedagogie, alternative o meno, presenti nel panorama contemporaneo, e come queste ancora si muovano tutte nell’ambito di  una pedagogia che esalta l’affermazione del sé e l’espressione delle capacità individuali che Makarenko e poi Vygotskij hanno svelato essere il massimo dell’astrattezza ideologica, in quanto non si dà individuo che non agisca all’interno di un contesto sociale e che non abbia appreso gli stessi contorni della sua identità ed i mezzi per concepirla ed esprimerla dal contesto in cui è cresciuto e vive.

Anton Makarenko credeva nella forza propulsiva della felicità, della gioia e concepì il lavoro educativo come organizzazione di una felicità tanto più umana quanto non individuale, ma vera e piena perché condivisa e partecipata e proiettata in una prospettiva di trasformazione, dove il futuro si costruisce nell’azione comune e nel presente.

Una felicità, quindi, che costruendo il futuro, è qui e ora, nell’atto stesso di costruire, presente nel suo essere protesa nell’avvenire e concreta nell’essere espressione del lavoro socializzato del collettivo e così capace di sfuggire  alla trappola della ricerca di una felicità trascendente, così presente nella cultura del popolo russo.

Nel pensiero e nella prassi di Makarenko, perché questo progetto di felicità si attui, è però necessaria una pedagogia intenzionale, volta a formare la  disciplina condivisa che rende possibile il reale autogoverno collettivo. Questa disciplina non è affatto contrapposta alla libertà perché una libertà sostanziale e non formale non è assenza di legami, ma categoria sociale.

L’intenzionalità pedagogica, in Makarenko, non si sostanzia in una serie di regole astratte, di dogmi, ma in una prassi viva, dialettica, in continuo mutamento, forma della forza storica della prassi emancipatrice e liberatrice. Una forza che l’ uomo nuovo deve costruire insieme agli altri a partire dalle proprie condizioni materiali.

Un collettivo che si autodisciplina nella prospettiva di una felicità condivisa è dunque il lascito che Makarenko fece a tutti gli educatori   comunisti, una ricchezza che vogliamo rendere nuovamente viva nell’esperienza che ci accingiamo a costruire insieme a tutti i Pionieri del Futuro.

 

Lev Vygoyskij

Lev Vygotskij fu lo studioso sovietico che individuò nella Zona di Sviluppo Prossimale quelle potenzialità che nel bambino possono svilupparsi o meno e in misura variabile a seconda di quanto vengano stimolate dall’ambiente circostante, in particolare nel rapporto con le persone che gli sono vicine e che già hanno acquisito competenze in quello stesso ambito.

La peculiarità della pedagogia di Vygotskij è infatti quella di mettere in luce il rapporto tra educato ed educatore e il progressivo dispiegarsi delle potenzialità che andranno ad accrescersi progressivamente sino alla maturità del soggetto e ancora oltre. La sua non fu dunque una fascinazione verso l’infanzia, ma verso le potenzialità dell’essere umano. Questo gli permise di mettere in luce, con particolare evidenza, le responsabilità educative e il ruolo degli adulti, senza dimenticare quanto i ragazzi sappiano aiutarsi vicendevolmente.

Ma di più, Vygotskij fu lo studioso che più di ogni altro mise il bambino all’interno del suo contesto sociale e l’uomo nel suo contesto storico, evidenziando come la formazione stessa della coscienza e le possibilità linguistiche di concepirla ed esprimarla siano atti possibili per l’essere umano sono all’interno del contesto sociale e di come questo contesto sociale muti costantemente.

La raffinatezza e la profondità della sua visione, dei suoi studi e delle sue sperimentazioni - sempre lontana da ogni tentazione puramente deterministica e meccanicistica -  non si astrasse mai dal momento storico che stava vivendo e dall’impegno che assunse nella costruzione concreta del socialismo. Il suo impegno lo portò a spaziare, fin dove fosse necessario, tra arte, psicologia e pedagogia, seguendo le tracce che potessero svelare i meccanismi del linguaggio  e  del pensiero per poi utilizzare quella chiarezza nei compiti concreti che l’Unione Sovietica doveva affrontare nell’educazione del popolo.

La sua acutezza lo portò a vedere possibilità e a distinguere così sottilmente, che non tutti furono in grado ed ebbero il tempo, in quegli anni convulsi, di valutare appieno il suo apporto alla causa sovietica. Restano però i suoi scritti. A noi il compito di farli nuovamente vivere, nell’orizzonte politico e umano che lui scelse: la costruzione del socialismo.

 

Gianni Rodari: un intellettuale comunista

Non è facile parlare di Gianni Rodari,  perché Gianni Rodari è stato molte cose ed ha inciso profondamente non solo nella cultura italiana, ma nella storia personale di milioni di bambini degli anni ‘50, ‘60, ‘70’ e ‘80, in Italia e nel mondo.

I suoi libri, che ancora possiamo trovare diffusissimi in tutte le librerie italiane, sono alla base di un modo differente di intendere il rapporto tra adulti e bambini e tra i bambini e quel circolo virtuoso che lega la letteratura per l’infanzia con la vita sociale e la creatività di ognuno.

Tutto questo è stato possibile non solo grazie al grande talento di uno scrittore, uno dei maggiori dell’Italia del ‘900, ma grazie alla scelta che Rodari fece di militare nel partito comunista. La sua adesione risale al 1944 e lo vide militante attivo nella lotta partigiana, poi funzionario e giornalista in varie testata legate o vicine al partito.

La sua adesione al progetto comunista visse dentro la storia del Partito Comunista Italiano, dentro ai suoi slanci e alle sue contraddizione e agli attriti. Fu un’adesione leale e che tenne uniti il riserbo e una rara autonomia intellettuale.

Non era facile essere un intellettuale comunista nel partito comunista italiano, come non è mai facile essere un intellettuale e militare in un partito comunista, perché la lucidità della visione di alcune contraddizioni si deve coniugare al senso di responsabilità e alla consapevolezza delle grandi opportunità che un partito comunista regala alla creatività umana, per la sua capacità non solo di analisi della realtà, ma di organizzazione, di ricaduta reale, tra le masse popolari, di ciò che è possibile realizzare.

Gianni Rodari riuscì in questo difficile gioco di equilibrio.

Riuscì lì dove fallirono Vittorini e Calvino e soprattutto dove fallirono tanti intellettuali organici al partito, che non seppero mantenere viva la creatività, troppo preoccupati com’erano nel mantenere la loro sfera di influenza, il loro posto nel calderone di un’egemonia culturale comunista che fu più forma che sostanza e che si liquefece con straordinaria velocità nella parabola discendente che vide il PCI trasformarsi in PDS e liquidare l’esperienza comunista.

Non fu il solo, certamente. Ma fu forse quello che seppe mantenere un’influenza più duratura sulla cultura italiana, proprio grazie alla sua scelta di occuparsi di quella letteratura minore che era la letteratura per l’infanzia. Perché occuparsi dell’infanzia permette ad uno scrittore di proporre ai suoi lettore - fin dai loro primi anni di vita - un rapporto peculiare tra lo strumento linguistico e la realtà.

Lo strumento linguistico è per l’essere umano il più potente mezzo di  creazione e di analisi del reale. Attraverso la parola noi nominiamo la realtà, facendola nostra, pezzo per pezzo e nelle sue relazioni. E sempre attraverso la parola noi possiamo dare intelligibilità ad ogni possibile cambiamento. Tutto ciò che attraverso altre funzioni immaginative possiamo intuire, prende  una forma per noi più chiara attraverso la parola, acquista lucentezza. Tanto più quando la parola mantiene la sua capacità di creare immagini. Quando parole e immagini restano legate, si ricrea sempre la possibilità di dare concretezza al cambiamento, di dare una nuova possibilità al futuro, e questo insegnò Rodari ai suoi piccoli lettori; questo era l’intento dei suoi giochi di parole, della sua Grammatica della fantasia: “svelare tutti gli usi della parola a tutti” voleva dire insegnare a immaginare mondi differenti, servendosi di quei ponti che legano le immagini - fatte di visioni, di suoni, di emozioni, di ricordi  -  e le parole con la realtà e le sue potenzialità di sviluppo e cambiamento.

Le tecniche surrealiste che Rodari utilizzava e di cui scrisse con tanta generosità nella Grammatica della Fantasia, erano volte a questo scopo. Non erano solo un gioco e non erano un gioco come un altro. Erano il modo che Rodari trovò perché i meccanismi della creatività umana, rivolti ad un cambiamento sociale collettivo e radicale, potessero sopravvivere ad una fase così contraddittoria come fu quella della seconda parte del secolo scorso, nel mondo ed in Italia.

Furono parte del lascito che Rodari consegnò nelle mani di un’intera generazione e che è ancora vivo. Quel misto di allegria e di fiducia nella nostra capacità di costruire un mondo nuovo insieme agli altri,

che riemergere quando torniamo a leggere le sue filastrocche.

Ed è un mondo che può nascere perché basato su alcuni capisaldi morali, che Rodari tornò sempre ad evidenziare e che sono gli stessi che noi proponiamo: schierarsi contro la sopraffazione dell’uomo sull’uomo, contro lo sfruttamento, l’ignoranza e contro l’arroganza più grande: quella delle guerre, dell’imperialismo.

Gianni Rodari mantenne sempre fede a questa scelta, esprimendola nei modi più adeguati ad una realtà che cambiava e che gli proponeva spazi differenti d’azione. Anche per noi la sfida è questa: trovare la forma adeguata al presente per dare forza alle nostre convinzioni.

Ma Gianni Rodari, per noi che ci apprestiamo a dar vita ai Pionieri del Futuro, è ancora qualcosa di più: fu l’autore del Manuale del Pioniere e si occupò dell’Associazione Pioniere d’Italia dirigendone il giornalino. Resta dunque uno dei nostri punti di riferimento più prossimi e originali, una fonte di ispirazione preziosissima e continua.

 

L’ASSOCIAZIONE PIONIERI D’ITALIA

Storia dell’Associazione Pionieri d’Italia

da un testo di Marcello Argilli

L’emblema dell’API era una quercia con sette stelle, a ricordo dell’eccidio dei fratelli Cervi e del loro esempio

1945-49

Nell’impetuoso sviluppo del movimento popolare e operaio conseguente alla Lotta di Liberazione, all’abbattimento del fascismo e alla lotta per la Repubblica, i ragazzi costituiscono in varie zone d’Italia dei primi nuclei organizzati. E’ un movimento spontaneo, che assume varie denominazioni: Piccoli Garibaldini, Speranze d’Italia, ecc. A Reggio Emilia so verifica per la prima volta un collegamento organico del movimento infantile e di quello dei giovani e degli adulti, sulla base di un serio impegno e chiare prospettive. Al villaggio Pistelli, alla periferia della città, il 14 maggio 1947 sorge l’Associazione Pionieri d’Italia. Quasi contemporaneamente ne sorge una nel rione Santa Croce, a Firenze. L’API comincia a collegare i vari gruppi, offre loro una direzione, un orientamento generale. li aiuta a inserirsi nel mondo degli adulti.

1949

Si costituisce ufficialmente l’organizzazione nazionale dell’API con funzioni centrale e provinciali (segretario generali Carlo Pagliarini). L’API si pone, come superiori momenti ideali, entro i quali operare, la lotta per la democrazia, la ricostruzione del Paese, la Costituzione, l’emancipazione operaia. Organizzata in reparti, Comitati provinciali, Consiglio nazionale, è aperta a tutti i ragazzi dai 7 ai 15 anni. Il reparto comprende ragazzi ragazzi che abitano nella stessa località (villaggio, quartiere, strada). La direzione del reparto elegge un suo comando e svolge attività sportive, ricreative, culturali.

1950

Prima riunione del Consiglio nazionale API. I ragazzi iscritti sono 123.00. Esce il settimanale Il Pioniere, diretto da Gianni Rodari.

1951

L’API è presente in tutte le province italiane salvo 5. I tesserato salgono a 171.00, dei quali 138.00 pionieri e 33.000 Falchi rossi, un’organizzazione ispirata dal Partito Socialista, federata all’API. A Bologna, per esempio, i tesserati sono11.000, con una trentina di filodrammatiche, una trentina di gruppi di traforisti, 15.20 di ricamatrici, 10  di disegno, 40balletti, 60 squadre di calcio, e numerosi gruppi di staffette, i pionieri cioè che si incaricano di diffondere il loro settimanale, che ha ormai raggiunto le 70.000 copie settimanali. Da parte conservatrice e clericale si scatena un’offensiva contro l’API, con falò del settimanale e denunce di dirigenti, i quali, trascinati in Tribunale, per subire processi assurdi, sono assolti.

1954

Gli iscritti all’API assommano a 153.480, dei quali 13.850 Falchi rossi. I 139.630 pionieri sono così distribuiti: 86.740 al Nord, 28.890 al Centro, 24.050 al Sud.

1956-57 L’API si impegna sempre più a confrontarsi con la scuola e ad elaborare una piattaforma pedagogica e didattica di ispirazione socialista.

1960

Il PCI scioglie l’API a causa di difficoltà economiche che allora attraversava, e anche per una discutibile valutazione di cosa rappresentava il movimento dei Pionieri. L’API cessa di esistere come organizzazione nazionale, con una direzione centrale: sussistono, dove ne hanno la possibilità, le organizzazioni provinciali.

1962

Il settimanale Il pioniere cessale pubblicazioni.

1977

Organizzazioni di Pionieri sono attive a Bologna, Carpi, Reggio Emilia, Pavia, Gorizia, Livorno, Ventimiglia ecc.

 

I Pionieri e il Partito Nuovo

Studiare la storia dei Pionieri è come studiare un microcosmo nel quale ritrovare vicini, e quindi più facilmente comprensibili, tutti gli elementi che agitarono il movimento comunista italiano tra gli anni che seguirono la seconda guerra mondiale e i primi anni ’60. Anni importanti, perché furono quelli che delinearono e videro la messa in pratica di una strategia che ancora non ha finito di dipanare i suoi effetti.

Anni in cui alcune opzioni furono accantonate e altre portate avanti. Molte volte ci siamo trovati a pensare che il periodo più proficuo in cui andare ad indagare la politica, la società e la cultura italiana per provare a riannodare i fili del nostro impegno siano proprio quelli.

E allora, studiare una realtà concreta, con una sua storia, con dei protagonisti di grande valore, come furono innanzi tutto Gianni Rodari, ma anche Marcello Argilli, Claudio Pagliarini, Dina Rinaldi, ci potrà essere di grande aiuto. Vedremo sotto i nostri occhi riaccendersi vicende reali, vive, nelle quali le scelte strategiche del PCI segnarono le vite e l’impegno di molti. Approfondendo ciò che fu l’esperienza dei Pionieri  in Italia nel secondo dopoguerra, ci andremo a confrontare, inevitabilmente, con quelle che furono le conseguenze dell’apertura verso il mondo cattolico del partito nuovo di Togliatti.

L’esperienza dei Pionieri, fin dal suo inizio fu segnata dai motivi che avrebbero poi portato alla sua fine, che furono due, strettamente collegati tra loro. Il primo fu che la dirigenza del partito non volle credere fino in fondo a questo progetto, il secondo che questo progetto fu ostacolato con tutti i mezzi, leciti e illeciti, dalla Chiesa Cattolica.

Il rapporto tra PCI e chiesa cattolica, l’apertura di credito che Togliatti diede alla cultura cattolica, fu un asse fondamentale della democrazia progressiva, uno degli assi strategici di quel partito nuovo che si propose di  ricostruire e gestire il Paese insieme agli altri partiti democratici. La democrazia progressiva mirava a riformare lo stato borghese tramite conquiste successive, migliorando gradualmente le condizioni di vita della classe lavoratrice e occupando in maniera via via più ampia posizione di potere, non solo negli organi legislativi, ma in tutti gli apparati statali e nella società nel suo complesso. Una politica dettata da molti fattori, nazionali e internazionali e che poneva la necessità di una mediazione di lungo periodo con la borghesia, borghesia si raccoglieva in quegli anni, nei suoi interessi e nella sua ideologia, in grande misura, intorno alla Chiesa Cattolica.

Ma c’era una dialettica interna al Partito e una capacità delle masse di organizzarsi intorno al PCI, che premeva in una direzione di maggiore conflittualità e indipendenza rispetto alle compatibilità borghesi e questa autonomia si espresse anche con l’esperienza dei Pionieri.

Il lavoro con i più giovani e il loro protagonismo entrò da subito in conflitto con l’attività  svolta dalle parrocchie, perché diverse e inconciliabili erano le proposte educative e morali in campo. I ragazzini che si organizzarono intorno al Partito Comunista furono un’alternativa ad un modo  principalmente cattolico di crescere, che vedeva  – e che vede ancora – il desiderio di gioco, di partecipazione e di socialità incanalati in un modo ben preciso, dove le parole d’ordine della morale cattolica di posporre il bene dell’umanità ad un regno che non è di questa terra sono assimilate, dove al posto del protagonismo di instilla l’umiltà, il perdono per i mali ricevuti e una solidarietà umana indistinta.  Dove, in ultima analisi, si controlla e si dirige il senso comune, come i tratti profondi della personalità di ognuno, verso atteggiamenti che non mirano certamente alle assunzioni di responsabilità sociali volte ad una conflittualità di classe.

La possibilità che i bambini potessero crescere assimilando un diverso orientamento morale, fu considerata negli ambienti cattolici un pericolo talmente grave da scatenare una reazione violentissima. Questo avvenne in special modo nel Veneto, in una zona dove da sempre la lotta di classe si era espressa con accenti anticlericale. Furono scritti, da sacerdoti, libelli in cui si calunniavano pesantemente i giovani dirigenti dell’A.P.I. Li si accusò di istigare i bambini a comportamenti licenziosi e si arrivò ad un processo che portò all’assoluzione dei ragazzi, ma che minò l’esperienza dei Pionieri. Nel resto d’Italia nelle parrocchie si bruciavano le copie del giornalino dell’associazione e le opere di Gianni Rodari. Lo stesso Rodari subì in quel periodo la scomunica vaticana.

Quando poi si profilò la possibilità di un primo governo di centro-sinistra, la Federazione Giovanile Comunista Italiana decise che era arrivato il momento di chiudere l’esperienza dei Pionieri, cedendo alle pressioni degli ambienti clericali. Il Partito Comunista decise di optare per un impegno nella riforma della scuola, decise insomma di dare, anche in questo settore, seguito alla politica della democrazia progressiva, scelse la trasformazione progressiva, ma ovviamente parziale, di una delle istituzioni centrali dello Stato, e scelse di farlo abbandonando la possibilità di organizzare autonomamente i più piccoli, abbandonando la possibilità di avere una sua autonoma proposta educativa. Lasciò che solo alla Chiesa Cattolica fosse riservato il privilegio di organizzare capillarmente sul territorio, grazie alla rete degli oratori, le attività extrascolastiche dei ragazzini, mentre all’interno della scuola l’impegno dei docenti e dei genitori comunisti, di sinistra e laici dovette sempre misurarsi con la persistenza dell’insegnamento della religione cattolica e con il permanere nei programmi e nei testi scolastici di un substrato morale legato al cattolicesimo.

Certamente la strada dell’impegno nella riforma della scuola dette i suoi frutti, grazie anche all’impegno incessante che Gianni Rodari e moltissimi insegnanti legati al partito comunista profusero in questo progetto. Ma la subalternità dei comunisti in questo ambito si è delineata negli anni. Alla mancanza di una coerente visione di classe sulla scuola, mai come oggi evidente, si è sommata la perdita di quegli strumenti pedagogici, teorici e di prassi, che solo un’organizzazione autonoma avrebbe potuto tenere vivi.  Recuperarli e aggiornarli al presente è il compito che ci  assumiamo.

 

Il giornalino del Pioniere e la polemica Jotti-Rodari sul fumetto

Negli anni ’50, in Italia, si accese la polemica sul fumetto e anche  Nilde Jotti prese posizione al riguardo, con un articolo su Rinascita. Ne citiamo un passo:

“si dice che i fumetti piacciono ai bambini ed è naturale, appunto, perché la mente del bambino è primitiva. (…) Il fumetto afferra la mente attraverso poche immagini e sostituisce una serie violenta di queste immagini alla ricerca dei particolari, di una logica e di un processo discorsivo”.

L’articolo divenne famoso perché fu l’origine di una polemica interna al PCI. Gianni Rodari si sentì chiamato in causa e inviò una risposta che fu sì pubblicata, ma con una postilla, che venne attribuita a Togliatti, che respingeva le tesi di Rodari:

non ci sentiamo di condividere la posizione del Rodari (…) non metteremo in fumetti la storia del nostro partito o della rivoluzione

e che concludeva con una critica ai giornali di sinistra che pubblicavano fumetti  e che venivano distribuiti  attraverso “reti proprie propagandistiche”.

E qui  il riferimento al Pioniere, organo dell’A.P.I., diretto da Gianni Rodari è chiarissimo

Se dunque Nilde Jotti, deputata di Reggio Emilia, ossia della patria dell’organizzazione dei Pionieri, è lontana da ogni idea di protagonismo infantile, e in questo erede della cultura cattolica in cui si è formata, Togliatti rincara la dose richiamando all’ordine Rodari in relazione ad una ulteriore politicizzazione dell’organizzazione dei Pionieri e del suo organo di stampa.

Questo, sebbene il Pioniere di Rodari avesse trovato, in quell’uso progressivo della fantasia peculiare di tutta l’opera rodariana, la giusta cifra per affrontare insieme ai bambini temi politici e sociali, senza ricorrere all’ indottrinamento ideologico. Più che la rivoluzione russa a fumetti, venivano pubblicate le storie di Cipollino, un ortaggio che trova il coraggio e l’allegria per opporsi al potente Pomodoro.

Fu con queste storie, dove la fantasia assurge al suo ruolo di capacità di prefigurare un futuro differente e migliore, per il quale lottare, che Rodari divenne famoso, prima in Unione Sovietica e nei Paesi dell’Est e solo dopo in Italia.

Forse, proprio quest’enorme apertura di credito verso Rodari da parte dei sovietici rese possibile che l’esperienza dei Pionieri andasse avanti ancora un po’. Forse pensava a questo e a quanto invece la sua figura di autore fosse relegata alla serie B della letteratura per l’infanzia, quanto scrisse in una lettera ad Arpino, nel suo solito stile ironico e lieve:

«Mi viene da ridere ogni volta che apprendo notizie del monumento equestre o pressappoco che mi viene quotidianamente innalzato  nell’Unione Sovietica».

Fortunatamente Rodari ha poi posto solidissime radice anche in Italia, seminando nel cuore di molti la necessità di tornare sempre ad immaginare un futuro migliore e a lottare per costruirlo, collettivamente.

Ma per farlo dovette cercare altre strade, perché quella prima esperienza con i Pionieri, come sappiamo, finì troppo presto.

 

Filastrocca de Il Pioniere

Che cos'è? Un carabiniere?

Un brigante col trombone?

Un ginnasta o un pizzardone?",

"Ma la smetta per piacere!

Lei non sa che sia Il Pioniere?

E' il giornale dei ragazzi, per il qual tutti andran pazzi.

Un giornale? Un giornalissimo,

per il mondo giovanissimo,

Lei potrà vederlo tosto: uscirà la fine d'agosto.

E se non è troppo distratto ora le spiego com'è fatto."

"Sarà dei soliti giornaletti,

con le parole nei fumetti...",

"Avrà i fumetti, questo è pacifico,

però sarà un giornale magnifico: sei romanzi d'avventure,

con bellissime figure

e ogni sorta di personaggi, pellerossa, indiani,

selvaggi,

bianchi, negri, così così, e perfino uomini di...".

"Che uomini?". " Ahi! Non mi strappi il braccio

perfino uomini di ghiaccio.

Foreste vergini città sepolte,

navi corsare a vele sciolte...

Per riposare di tanti strapazzi

ha personaggi buffi e pazzi: Candido, Sambo,

Cipollino,

Pero Pera che suona il violino,

Palatina e il sor Pomodoro

che tiene molto al suo decoro".

"io protesto, se lei permette

la cultura dove la mette?".

"Nel Pioniere, non abbia paura,

c'è posto anche per la cultura

La Storia d'Italia in poesia...".

"La storia in versi? Mamma mia!".

"Non c'è ragione di temere:

l'ha scritta Alberto Cavaliere.

Poi, spiegata per filo e per segno,

ecco la scienza, tutta in disegno.

Poi lo sport: un manuale a fumetti

per diventar calciatori perfetti,

la vita di Coppi romanzata in otto puntate raccontata.

E dopo Coppi, naturalmente,

Bartali e tutta quell'altra gente".

"Quanta roba, poffarbacco!

Batterà tutti per distacco".

"Caro Signore, lei deve sapere

che proprio questo è un Pioniere il primo in tutto, il più coraggioso

il più giusto, il più generoso,

primo a scuola, già si sà,

e nell'amare la libertà".

"E quando arriva? Tardi o tosto?".

"Gliel'ho già detto: a fine agosto!"

(pubblicata su Noi Donne, 3 settembre 1950)

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.