Alessandra Ciattini, Marco Antonio Pirrone *

 

In questi ultimi mesi molto si è scritto e si è detto sulla pandemia, prodotta dal Coronavirus SARS-CoV2, che ha come esito il COVID 19[1] e che sta facendo morti in tutto il mondo, colpendo soprattutto quegli strati sociali che, per le loro stesse condizioni di vita, non sanno come difendersi.

Il libro ritorna sull’argomento, esaminando il gioco interattivo dei diversi fattori che stanno alle radici di questo drammatico fenomeno sociale e che costituisce un ennesimo avvertimento, dai più inascoltato, sulle reali condizioni del nostro pianeta e sulla possibilità che la vita possa continuare a riprodursi in esso.

All’interno dell’analisi di questi diversi fattori abbiamo voluto prestare una particolare attenzione alla dimensione economica, convinti che vi sia una stretta correlazione tra il modo di produzione capitalistico, la manipolazione della natura - e lo sconvolgimento degli assetti ecologici e della biodiversità che esso determina - e la genesi degli eventi pandemici. A questo proposito, non a caso, alcuni studiosi definiscono l’era attuale l’era del Capitalocene, ossia l’era del dominio e della diffusione del capitale sull’intero pianeta, con particolare attenzione proprio alle conseguenze sull’ecosistema di tale dominio.    

Per sviluppare al meglio questa impostazione e per connettere la sfera economica agli altri aspetti della vita sociale siamo ricorsi ai contributi di vari specialisti (biologi, virologi, medici, sociologi, filosofi, economisti, giuristi), dotati però di una sensibilità antiriduzionistica. Ossia capaci di focalizzare la dimensione di loro pertinenza senza offuscare le complesse relazioni tra questa e gli altri livelli della vita sociale.

Siamo partiti dalla dimensione medica, biologica ed epidemiologica, trattata nei saggi di Ernesto Burgio e Guillermo Folguera, i quali analizzano a fondo le condizioni sociali ed ambientali, in cui il terribile fenomeno della pandemia si è sviluppato, per poi diffondersi a livello planetario. Burgio nel suo saggio prova a fare un primo bilancio della pandemia In Italia, ragionando anche sui dati dell’intero pianeta e le scelte che fin qui hanno fatto diversi paesi per affrontarla. Inoltre, ragionando, attraverso considerazioni storiche e scientifiche, su come la pandemia da Sars-Cov-2 fosse annunciata da tempo e sia stata sottovalutata da molti paesi e attori istituzionali, politici e sociali, nonché affrontata in modi completamente diversi tra i paesi appartenenti al campo diciamo occidentale e quelli asiatici, invita a ragionare sull’importanza di tenere presenti le altrui esperienze soprattutto per evitare di trovarsi nuovamente impreparati “qualora il virus dovesse tornare a circolare anche in Italia con cariche virali alte a fine estate o in autunno”.

Folguera invece esamina, in particolare, la narrazione del fenomeno, fatta dai mezzi di comunicazione di massa, che prediligono la metafora dell’impatto, per sostenere in maniera surrettizia che il virus quale “nemico invisibile” o simile a un meteorite ci abbia improvvisamente colpito, occultando scientemente o no una riflessione sulle cause strutturali dell’evento. Questa narrazione rigidamente deterministica ed antidialettica non si pone la domanda fondamentale: come siamo arrivati a questo punto? E in questo modo mette da parte la storia, gli antecedenti, le avvisaglie, mettendoci nelle condizioni di aspettare inermi e impotenti quanto si abbatte su di noi.

La sezione successiva è, invece, dedicata al tema “La pandemia tra politica e società”, affronta questioni non nuove quali la possibilità di scomparsa della civiltà umana nel contesto della grave crisi ecologica ed ambientale, prodottasi in seguito all’affermarsi di uno spietato industrialismo, fondato su un sistema di produzione agroindustriale devastatore della natura, e su un consumismo del tutto irrazionale. Il primo scritto di questa sezione, i cui autori sono Aristide Bellacicco e Alessandra Ciattini, si sofferma anche sulla risposta data dalle autorità pubbliche alla crisi pandemica; risposta caratterizzata da un “autoritarismo emergenziale”, fondato su forme repressive e sulla colpevolizzazione del comune cittadino, la quale ha spezzato i già fragili legami di solidarietà sociale.

Un altro saggio di questa sezione, scritto da Davide Borrelli, sociologo sensibile ai problemi dell’università italiana, tratta la questione relativa alle ripercussioni che tale disastroso evento ha avuto sull’educazione superiore e sulla ricerca scientifica, le quali d’altra parte avevano già subito cambiamenti significativi in seguito alla penetrazione in esse dell’ideologia neoliberista, che ne ha svalutato il senso etico-politico a vantaggio dell’ottenimento di vantaggi immediati, di una miope competizione, di una meritocrazia vuota ed infondata. A parere di Borrelli tale “trasmutazione del modo di produzione della conoscenza”, basata su uno strettissimo vincolo tra ricerca e la sua applicazione limitata e profittevole, ha fatto sì che gli accademici e gli scienziati si trovassero impreparati a reagire alla pandemia, benché si trattasse di un evento annunciato.

Anche Cristhian Castillo, sociologo e dirigente politico argentino, si richiama al tema dell’arrivo annunciato della pandemia e del suo legame con lo squilibrato rapporto tra sistema economico-sociale capitalistico e natura, ormai frantumato dal cambiamento climatico e della continua distruzione delle specie naturali. Tuttavia, egli mette in evidenza che tale sciagura ha risvegliato le masse popolari, persino nella potenza imperiale, soprattutto dopo l’omicidio dell’afroamericano George Floyd da parte della polizia. Tra queste ultime e tra il personale sanitario in prima linea si sono avuti più decessi, nel disinteresse delle autorità, che si sono limitate ad inasprire le forme di controllo sociale. Inoltre, esse hanno ormai ben chiaro che l’acuirsi della crisi economica, dopo decenni di stagnazione e di indebitamenti, sarà ancora una volta scaricato sulle loro spalle, accentuando la povertà, la precarietà lavorativa, l’emarginazione.

Un altro contributo è quello di Osvaldo Coggiola, studioso latino-americano, intitolato “Crisi economica, fascismo e pande­mia in Brasile”, nel quale si analizzano in maniera dettagliata le terribili conseguenze prodotte dall’epidemia di COVID-19 sulla popolazione brasiliana, in larga parte costretta a lavorare ogni gior­no per potersi sfamare. Naturalmente – scrive ancora lo studioso latino-americaano – questa gravissima situazione si è generata in un contesto in cui il sistema di salute pubblica è stato precarizzato e devastato nel corso degli anni. Oltre a ciò la politica del fascista Jair Bolsonaro, eletto nel 2018 con l’appoggio dell’evangelismo conser­vatore e dei militari, non ha fatto che favorire i contagi e i decessi, in maniera analoga a quanto ha fatto Trump suo aperto estimatore.

Marco Antonio Pirrone, invece, conduce una riflessione sul Sars-Cov-2 quale epifenomeno del modo di produzione capitalistico ed in particolare della sua fase neoliberista. La pandemia, accelerando dinamiche e contraddizioni del capitale già preesistenti, è indubbiamente correlata agli aspetti più predatori del modo di produzione capitalistico, particolarmente nei confronti della natura e della biodiversità. Il saggio cerca anche di far riflettere su altri due aspetti emersi durante la pandemia: la gestione della pandemia, non solo in termini sanitari, è profondamente legata ai processi di individualizzazione, visti quali esiti delle trasformazioni sociali indotte dal neoliberismo; inoltre, il modo in cui si è affrontata l’emergenza sanitaria appare come un alibi per celare le ragioni della crisi economica capitalistica, precedente la pandemia, e la via per procedere ad una ulteriore accelerazione della ristrutturazione delle forze produttive, fenomeno ciclico e inevitabile del modo di produzione capitalistico.

La parte dedicata alle tematiche economiche e del lavoro comprende tre saggi, il primo dei quali è stato scritto da Maurizio Donato, il quale esordisce con un’importante considerazione, tralasciata dalle riflessioni massmediatiche dedicate alla pandemia, secondo cui la crisi non è il frutto avvelenato offertoci dal COVID 19, ma lo sbocco violento di quanto accadde nel 2007-2008. Infatti, dai dati economici forniti dal FMI sul finire del 2019 non si ricavava un’immagine rosea della situazione globale che, in seguito al nuovo colpo ricevuto, andrà via via peggiorando in un clima di grande incertezza, perché è difficile prevedere quali altri aspetti della vita sociale saranno coinvolti dalla crisi. Un elemento rilevante di questa devastante crisi è dato dal fatto che, a causa dello stretto legame produttivo tra le diverse regioni del mondo e dato l’imporsi del blocco della circolazione delle merci e dei trasporti internazionali, sono state spezzate le catene del valore, attraverso le quali gli investimenti ricavano la loro remunerazione, mentre il settore finanziario ormai predominante sembrerebbe aver subito meno danni.

Lo scritto di Carla Filosa si concentra sulle trasformazioni già avvenute e in fieri dell’attività lavorativa nello scenario di una grandiosa crisi di sovrapproduzione che richiede importanti interventi per garantire la continuità e la consistenza dell’accumulazione capitalistica. Un primo dato interessante è individuato nell’aumento del lavoro da remoto, che – secondo alcuni dati – in Italia coinvolgerebbe ora l’80% dei lavoratori (prima della pandemia erano il 31%). Altre trasformazioni significative riguardano l’inarrestabile perdita di valore delle vite dei lavoratori sempre più sfruttati, precarizzati, trattati come bestie (si veda il caso dei rumeni impiegati in Germania nella macellazione degli animali) in seguito a quel processo in base al quale la nozione di persona non è più applicata in maniera universale, ma solo ai settori privilegiati della popolazione. Inoltre, correttamente la Filosa sottolinea come il lavoro da remoto, nelle sue varie forme, costituisca una riedizione del lavoro domestico, in cui salta ogni distinzione tra tempo lavorativo (incrementato a parità di salario).e vita privata, si fomenta il non rispetto dei ritmi biologici a vantaggio di quelli lavorativi per incrementare la produttività, si isolano i lavoratori che si troveranno soli ed «inermi di fronte all’eventuale e sempre facile arbitrio datoriale».

Anche per Francesco Schettino la crisi non è il frutto avvelenato offertoci dal COVID 19, ma la conseguenza immaginabile di quanto si produsse nel 2007-2008.

La sezione dedicata ai tanto dibattuti rapporti tra pandemia e diritto contiene due scritti interessanti: il primo è della costituzionalista Alessandra Algostino, nota per il suo attivismo politico, e riflette sulla stessa nozione di stato d’emergenza e sui suoi limiti costituzionali; questione oggi ancora alla ribalta, giacché esso è stato prorogato dal governo in carica, riaccendendo il dibattito tra i favorevoli e i contrari alla sua instaurazione, e sospendendo così ancora una volta diritti fondamentali dell’individuo. Dopo aver sottolineato che i limiti allo stato d’emergenza stanno nel fatto che esso deve essere temporaneo, rispettare certe forme e certi equilibri istituzionali, ragionevole e proporzionale all’obiettivo di tutelare la salute minacciata dal COVID 19, La studiosa italiana analizza criticamente le decisioni prese, la loro attuazione e soprattutto le modalità con cui si è attribuita loro forza di legge.

Il saggio di Fabio Marcelli, specialista in diritto e relazioni internazionali, si sofferma invece sulle debolezze strutturali del sistema dei rapporti tra gli Stati, accentuate dalla sempre più arrogante politica estera degli Stati Uniti, che per l’inesistenza di un apparato sanitario universale ed efficiente in quel paese, insieme al Brasile, alla Gran Bretagna, non appare in grado di bloccare il contagio. Inoltre, dato che le vittime appartengono alle fasce marginali della popolazione, come gli amerindiani, scrive Marcelli, sembrerebbe che il virus sia usato dai loro leader inizialmente negazionisti anche per una sorta di pulizia etnica interna. In questo difficile ed inedito contesto, che avrebbe dovuto stimolare la collaborazione internazionale per far fronte alla pandemia, purtroppo è stato disatteso l’esplicito invito del Segretario generale delle Nazioni Unite a una tregua nelle guerre e nelle sanzioni che impediscono agli Stati colpiti di reagire in maniera adeguata. Tale rifiuto è stato dettato dalla volontà di dare priorità agli interessi egemonici rispetto al bene universale e indivisibile della salute.

A parere di Andrea Catone, studioso della società cinese contemporanea, la pandemia scatenata dal propagarsi del virus, rappresenta «un punto di svolta nella storia mondiale», fronteggiata dai diversi Stati con due modalità di comportamento profondamente diverse. La prima presenta un carattere regressivo - come nel caso degli USA di Trump e del Brasile di Bolsonaro, dove si sono anteposte le esigenze economiche e il mantenimento dei livelli di profitto alla salute della popolazione, i cui settori più vulnerabili ed esposti hanno continuato a lavorare senza mezzi di protezione. Tale atteggiamento, accompagnato dalla sottovalutazione, se non dalla negazione del fenomeno, ha fatto crescere il numero dei contagiati e dei decessi. L’altro approccio al tragico evento è scaturito, invece, dalla difficile decisione di bloccare le attività economiche e sociali, mettendo al primo posto il diritto alla salute dei cittadini. Naturalmente quei paesi che erano dotati di un forte ed universalistico sistema sanitario hanno potuto dare una risposta più efficace e più rapida al pericolo incombente a differenza di quei paesi che, per ragioni economiche ed anche ideologiche, non hanno mai voluto sviluppare questo indispensabile strumento difensivo. Inoltre, nei prossimi anni a venire e nel probabile riemergere di fenomeni pandemici, come sottolinea l’autore, è da considerare lodevole l’atteggiamento della Cina aperto alla collaborazione internazionale e allo scambio di informazioni su farmaci e vaccini, opposto a quello adottato da Trump, che ha deciso la fuoriuscita degli Stati Uniti dall’OMS e che insiste nella sua politica anticinese.

Il libro contiene, dunque, articoli che si riferiscono a specifiche realtà nazionali, quali l’Argentina (Castillo), il Brasile (Coggiola), la Cina (Catone) già menzionati, il Vietnam (Chinappi), la Repubblica di Cuba (Zapponi); le condizioni di questi ultimi tre presentano tratti differenti che è assai utile comparare con la situa­zione dell’Unione europea.

Lo scritto di Giulio Chinappi, profondo conoscitore del Vietnam, è dedicato a come questo paese ha combattuto con successo il diffondersi della pandemia, fatto riconosciuto dalla stessa OMS. Tale esito positivo viene attribuito alla rapidità con cui si è affrontato il contagio e alla libertà concessa alle autorità locali nel trovare le soluzioni adeguate ad ogni specifico contesto, procedendo immediatamente all’isolamento dei contagiati; decisione che ha impedito all’epidemia di propagarsi. Il momento critico si è registrato lo scorso 20 marzo con 85 casi positivi, ma nonostante ciò, grazie alle misure adottate cui si sono aggiunti l’uso di mascherine, il rispetto della distanza di due metri, l’impiego di test appositamente predisposti, ha evitato le forti restrizioni da noi sperimentate delle attività economiche e sociali. Benché alcuni settori economici sentiranno le conseguenze del fenomeno pandemico (come l’esportazione di alimenti), nel complesso il Vietnam sembra destinato a continuare nella crescita, sia pure ridimensionata, anche grazie alle politiche di cooperazione con gli altri paesi del Sud-Est asiatico.

Nelle parole di Elena Zapponi, nella fase della pandemia appena iniziata, Cuba accoglie i suoi visitatori con un significativo cartello in cui c’è scritto: «Bloqueo, el genocidio más largo de la historia», il cui evidente riferimento polemico è costituto dalla politica statunitense verso l’isola caraibica incrudelita da Donald Trump. Se per certi aspetti, a un livello superficiale l’incidenza del bloqueo non si coglie, eppure nella vita quotidiana sono state elaborate colorite espressioni che indicano in maniera ironica le difficoltà sperimentate dai cubani sin dall’esordire della Rivoluzione del 1959, quali per esempio la cosa está mala, la cosa está difícil, a Cuba todo escasea temperate da un lieve ottimismo Ya tu sabes, eso lo resolvemos. Il pezzo della Zapponi, che si reca spesso all’Avana per le sue ricerche, si distingue dagli altri contributi presenti nel volume per il fatto che il suo obiettivo è piuttosto quello di ricostruire un certo clima, una certa atmosfera, in cui per esempio il celebre Malecón, su cui si rifrangono le spumose onde dell’oceano, costituisce un suscitatore di sogni e di emozioni. Se, da un lato, il governo sottolinea in maniera puntuale l’andamento dell’epidemia ed invita a continuare la battaglia, varie pubblicazioni si burlano maliziosamente dei disastri che stanno avvenendo nel potente impero vicino, i quali portano alla ribalta le condizioni disperate cui sono state gettate le masse popolari statunitensi dal capitalismo spietato di quel paese.

Lo scritto di Dario Barbieri, posto in chiusura del libro, venato di un’amara ironia, prospetta due modi diversi di leggere la crisi scatenata dal COVID19; entrambi sono implicitamente o esplicitamente espressi nei vari saggi e prefigurano uscite diverse dalla crisi. Barbieri ha il merito di fare la summa delle varie catastrofi che si sono rovesciate sul nostro sventurato paese, senza tralasciare il ruolo svolto in questi decenni da celebri trasmissioni televisive, distintesi per il servilismo, il cattivo gusto, per il presentare come analisi politiche vuoti e inconcludenti discorsi da bar. Con un certo e comprensibile scetticismo ipotizza che la lezione che il malefico, ma per certi aspetti benedetto, virus ci ha dato, rivelandoci tutte le insensatezze compiute, potrebbe sollecitare i nostri governanti a riscattarsi, rompendo con il passato apportatore dell’Era covidica.

Concludendo questa breve rassegna, auspicando che stimoli alla lettura dei saggi qui raccolti, registriamo un fatto importante, riportato da vari giornali: il Governo Conte si oppone alla pubblicazione degli atti del Comitato tecnico-scientifico, decisa e poi sospesa dal Tar del Lazio, su cui si sono fondate le misure di confinamento e di controllo del contagio, sostenendo che essa recherebbe un «danno concreto all’ordine pubblico e alla sicurezza». Naturalmente a nostro parere tali documenti debbono essere resi pubblici e diventare oggetto di un’ampia riflessione, se si vuole che i comuni cittadini abbiano la sensazione, purtroppo ormai incrinata, di trovarsi in buone e sagge mani[2].

 

* Saggio introduttivo al volume omonimo, PM edizioni, 2020. Per info e richieste di acquisto, https://www.pmedizioni.it/contatti/; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

[1] Ricordiamo che la dizione corretta sarebbe “la” COVID 19, dato che la D sta per disease, termine che in inglese significa malattia. Purtroppo è ormai invalso nell’uso comune l’uso del maschile, confondendo la malattia con il virus che inizialmente fu chiamato 2019-n-CoV o nCoV-2019 e poi SARS-CoV-2. Per tale motivo abbiamo preferito nel testo lasciare la dizione diventata, appunto, di uso comune.

[2] https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/07/31/coronavirus-governo-contro-la-pubblicazione-degli-atti-del-comitato-tecnico-scientifico-danneggerebbero-lordine-pubblico/58.

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