Vincenzo Bello
Il libro di Eric Gobetti E allora le foibe? (Laterza, Roma-Bari, 2021) è un libro importante e coraggioso in questi tempi di revisionismo e ha l’obiettivo, evidente sin dalle prime pagine, di decostruire la retorica e la propaganda bipartisan, frutto di un tentativo di riconciliazione “post-ideologica” (dei post fascisti e dei post comunisti) e di un uso pubblico (politico) della storia volto a trasformare l’identità collettiva del Paese anche attraverso la rimozione dei crimini fascisti.[1] Una narrazione che, nel caso specifico, vede, da un lato, nei popoli slavi e nei loro partigiani degli esseri barbari e dediti alle più atroci violenze, dall’altro, negli italiani, le vittime innocenti di queste violenze. Siamo sicuri che le cose stiano realmente così?
Tentare di fornire una risposta a questa domanda è il compito di questo libro ed Eric Gobetti lo svolge con chiarezza, inquadrando gli eventi nel loro giusto contesto, contribuendo a diramare le nebbie del revisionismo storico e, dati alla mano, scrivendo un racconto fondato sui fatti, smontando le verità ufficiali di questi ultimi vent’anni, diffuse a tambur battente dai giornali, telegiornali, canali televisivi, fiction e partiti, dai post comunisti dei DS e PD fino ai post fascisti (ricordiamoci che la data del 10 febbraio, Giorno del Ricordo fu fortemente voluta da Alleanza Nazionale e istituita dal Presidente della Repubblica nel marzo del 2004). Un tema molto caro proprio agli ex fascisti, la cui reazione scomposta e minacciosa non si è fatta attendere e si è scatenata sui social ben prima dell’uscita del libro, evidentemente senza nemmeno averlo letto. Non a caso, il titolo del libro riprende il tipico refrain utilizzato dai sostenitori del nazionalismo italico per porre fine ad ogni discussione e silenziare l’avversario. A tal proposito, si veda anche la “recensione”[2] al libro pubblicata dal Il Giornale, che evita di entrare nel merito della questione limitandosi ad accusare l’autore di negazionismo e accostando al testo una foto di Eric Gobetti con pugno alzato e fazzoletto rosso al collo.
Già, chi sono i veri negazionisti? Chi è che offende la memoria di quelle vittime?
Il libro si apre affrontando questa domanda e lo fa mettendo in rilievo come negli ultimi decenni la prospettiva si sia praticamente capovolta e abbia posto gli studiosi seri e rigorosi, come coloro che hanno redatto il vademecum per il giorno del Ricordo, dal lato dei negazionisti, e gli autori di fiction, quali Il cuore nel pozzo e Rosso Istria, e la stessa TV di Stato, che queste fiction ha trasmesso, nel novero di coloro che propugnano la sola e “vera” verità, in pieno spregio di dati e fatti. L’autore mette in rilievo anche la mutata considerazione avuta nei confronti delle vittime: se ne Il cuore nel Pozzo le vittime vengono rappresentate come comuni italiani indifesi, in Rosso Istria si ha un’evoluzione qualitativa, le vittime sono dichiaratamente fasciste. Inconcepibile in una Repubblica fondata sui valori della Liberazione dal nazifascismo.
Allora è necessario partire dai dati e dai fatti ed è da questi che si dipana il racconto di Eric Gobetti. Nei nove capitoli del libro, l’autore affronta le due questioni portanti: le foibe e l’esodo.
Lo fa a partire dalla definizione geografica, e quindi politica, di quel confine, orientale per gli italiani, occidentale per croati e sloveni, perché è fondamentale capire innanzitutto dove siamo quando parliamo di foibe ed esodo. La prima “verità” che l’autore smentisce è quella secondo cui quei territori sono italiani da sempre; una “verità” che dimentica che l’Italia è una costruzione recente e che città come Trieste sono italiane solo a partire dal 1918. La lettura di nomi e cognomi, come quello di Guglielmo Oberdan (Wilhelm Oberdank), nome tedesco, cognome sloveno, identità italiana, ne è una delle prove, anche a testimonianza del carattere multietnico e multiculturale di questi territori, per secoli sotto il dominio austro-ungarico.
Il libro costituisce la chiave per confutare la verità ufficiale che rappresenta quella striscia di territorio come il teatro in cui, dopo l’8 settembre del 1943, il genocidio, la pulizia etnica di milioni di civili italiani indifesi è stata perpetrata dai barbari partigiani jugoslavi, tra le cui file, è giusto ricordare, militavano, in realtà, tra i 20000 e i 30000 antifascisti italiani. Ecco allora evaporare una seconda verità di comodo: parlare di genocidio è storicamente errato. Le motivazioni non furono etniche, ma politiche, perché i partigiani jugoslavi lottarono contro i fascisti, i nazisti e collaborazionisti, indipendentemente dalla loro appartenenza etnica. La stessa Norma Cossetto, che nella fiction Rosso Istria assurge a martire della violenza slava, era figlia di un funzionario fascista, attiva nel Partito Fascista e collaborazionista del nazifascismo e solo in quanto tale fu oggetto della violenza partigiana. Siamo in un territorio che aveva subito l’occupazione dello Stato italiano, sotto il governo Mussolini, che fu costretto a un'italianizzazione forzata delle proprie popolazioni e che dal 1943 al 1945 è stato sottoposto al dominio tedesco. Un territorio in cui dal 1942 vigeva la nota “circolare 3C” del generale Mario Roatta, una serie di disposizioni destinate all’esercito e aventi come obiettivo quello di combattere e spezzare l’appoggio della popolazione alla resistenza antifascista jugoslava, attraverso fucilazioni di massa, deportazioni, distruzioni di abitazioni e l’istituzione di veri e propri campi di concentramento, in cui vennero deportati circa 100.000 jugoslavi.
Vi è poi la questione dell’esodo, che la retorica pacificatrice nazionale vuole abbia colpito 300.000 italiani costretti “all’improvviso” a lasciare le proprie abitazioni per fuggire oltre confine. Ma la realtà è, come sempre, più complessa della propaganda. E allora si scopre che il processo di “esodo” ebbe luogo nell’arco di ben 15 anni, dal 1941 al 1956. È del 1954 la firma del Memorandum che prevede il passaggio di Trieste definitivamente all’Italia ed è dal 1954 al 1956 che un gran numero di profughi abbandona questi territori. Questo smentisce la tesi di un esodo forzato, perché agli italiani viene lasciata la possibilità di scegliere se restare o abbandonare quei territori. Cosa che non viene concessa ai non italiani.
Nell’articolo de “Il Giornale” sopra citato si scrive:
Sconcertante che un editore come Laterza si presti a un’operazione editoriale di questo genere con un titolo provocatorio e offensivo che per rispetto delle vittime delle foibe, dei loro parenti e di tutti gli italiani, andrebbe per lo meno cambiato.
Ma chi è che non rispetta le vittime? Chi ha strumentalizzato e continua a strumentalizzare queste drammatiche vicende per i propri scopi e in nome di una pacificazione nazionale sorvola sui fatti e i dati reali? O chi, come Eric Gobetti, ricerca, scava nelle viscere della Storia per riportare alla luce un quadro che sia chiaro, onesto e realmente rispettoso, diramando le nebbie della propaganda imperante?
L’Italia è un Paese in cui non si sono mai seriamente fatti i conti con il passato fascista, in cui, a differenza della Germania, non si è avuta una “Norimberga”, che sarebbe stata utile non soltanto a punire i colpevoli ma, soprattutto, a fare chiarezza sui crimini dell’Italia Fascista. È un paese in cui forte è stata la continuità tra Stato fascista e Stato repubblicano[3]. Un Paese in cui ci si ubriaca della retorica degli “italiani brava gente” e in cui dal 1990 in poi si è cercato di accantonare, se non di seppellire, oltre alla storia antifascista, gli stessi valori della Liberazione. Un paese in cui memoria e storia faticano a coabitare. È proprio in questo processo, infatti, che si inserisce l’istituzione del Giorno del Ricordo, in cui si sta sempre più sostanzialmente affermando la visione per la quale solo i partigiani sono carnefici, mentre i fascisti sono solo vittime.
Non deve sfuggire la vicinanza di date tra il 10/02, Giorno del Ricordo e il 27/01, Giornata della Memoria, dettata da una volontà di assimilazione delle due (ne è spia l’uso ossessivo dei termini genocidio e pulizia etnica anche in riferimento al 10/02) e la sua contrapposizione col 25 aprile, Festa della Liberazione. Dopotutto, questo sembra essere il Leitmotiv delle celebrazioni: “se i partigiani hanno una festa nazionale, anche i fascisti devono avere la loro”.
È necessario, quindi, riportare tutto al contesto, ai fatti. È necessario un fact checking (non a caso la collana Laterza, in cui è inserito questo libro, ha proprio questo nome) per evitare che il 10 febbraio si trasformi in una giornata dell’orgoglio fascista e per far sì che sia una data per ricordare i drammi prodotti dal nazionalismo, dal fascismo, dalla violenza ideologica, dalla guerra e dalla sconfitta militare di un Paese mandato al macello da una élite politica, militare ed economica che non ha mai pagato per le sue colpe.
Bisogna scavare intorno ai comportamenti, verificare atti, memorie, racconti, ascoltare e riascoltare le voci di coloro che stanno sulla scena[4]. Ed esattamente questo che fa il libro di Eric Gobetti.
Questo significa avere rispetto per le vittime e solo così, come ben dichiara l’autore, si può avviare un processo di riconciliazione nazionale che trovi le proprie fondamenta sul ripudio del fascismo.
[1] Sull’argomento si veda A. Hobel, La battaglia della Memoria in AAVV, Fascismo e Foibe. Ideologia e pratica della violenza nei Balcani, La città del Sole, Napoli.
[2] https://www.ilgiornale.it/news/politica/e-allora-foibe-linaccetabile-titolo-libro-che-offende-1913101.html
[3] Si vedano: Claudio Pavone La continuità dello Stato. Uomini ed istituzioni, in Claudio Pavone, Gli uomini e la storia, Bollati Boringhieri, Torino 2020; Davide Conti, Gli uomini di Mussolini, Einaudi, Torino 2017.
[4] Davide Bidussa, Scrivere di Storia. Su Claudio Pavone, gli uomini e la storia, in Claudio Pavone Gli uomini e la storia, Bollati Boringhieri.