Sabato Danzilli

 

Il volume di Costantino Avanzi Lenin e la dialettica. Teoria e prassi di un metodo rivoluzionario, recentemente pubblicato da Mimesis, ricostruisce in maniera analitica e rigorosa la centralità della dialettica materialistica nell’opera teorica e nella pratica politica di Lenin. Si tratta di un argomento già oggetto nell’ultimo secolo di una vasta mole di studi, volti a validare o confutare la “fedeltà” del rivoluzionario russo all’opera di Marx e al marxismo e a individuarne gli elementi di continuità o di novità.

Allo stesso tempo, tuttavia, anche da parte di studiosi interni al movimento comunista, molto spesso non si è riusciti a sfuggire a schematismi che hanno depotenziato la capacità euristica dell’opera leniniana. È pertanto importante la pubblicazione di un libro che, con la sua ricca documentazione bibliografica e con la sua chiarezza espositiva, può costituire una valida introduzione per navigare nel mare magnum della riflessione sui rapporti tra il marxismo e la dialettica.

È centrale nella ricostruzione del pensiero di Lenin compiuta da Avanzi la sottolineatura della continua presenza in Lenin del metodo dialettico, presente anche nella prassi politica concreta, la quale non è perciò mai scissa dall’analisi teorica. Come titola il primo paragrafo del volume la dialettica costituisce, ad avviso dell'autore, il “miglior mezzo di lavoro”, ovvero l’“arma più affilata” nelle mani del movimento socialista. In questo primo capitolo Avanzi ricostruisce in maniera sintetica ma efficace l’annosa questione del rapporto tra Hegel e Marx e tra dialettica materialistica e idealistica, evidenziando l’importanza sempre maggiore che ha avuto il filosofo di Stoccarda nell’opera di Marx ed Engels. Si tratta di una tesi contraria, ad esempio, a quella di Althusser, che individuava una rottura epistemologica nell’opera marxiana all’altezza dell’Ideologia tedesca. Nella ricostruzione di Avanzi, Marx non ha soltanto “civettato” con il lessico hegeliano, ma ha reiteratamente affermato che la dialettica di Hegel costituisce la forma fondamentale di ogni dialettica e che occorre unicamente liberarla dal suo guscio mistico. La dialettica di Hegel è per Marx uno strumento potenzialmente rivoluzionario in quanto è il presupposto scientifico alla base della scoperta di una contraddizione oggettiva tra le forze produttive materiali della società e i rapporti di produzione; contraddizione che culmina nel proprio necessario superamento. Sono affermazioni in linea con l’analisi della filosofia di Hegel sviluppata da Engels nel Ludwig Feuerbach, dove viene mostrato il carattere profondamente rivoluzionario del metodo hegeliano.

Nella ricostruzione che Avanzi compie del dibattito sul revisionismo vengono confutati una serie di “luoghi comuni”, tra cui la tesi di Colletti su un sostanziale accordo fra il tardo Engels e quegli autori, come Bernstein, che sostenevano il bisogno di una revisione del marxismo. Molto acuta è l’osservazione secondo cui il presunto carattere anti-deterministico del revisionismo di Bernstein finisca in realtà, eliminando il fine del socialismo, per rendere impossibile un progetto politico determinato, il quale difficilmente riesce a prendere forma senza un’analisi dialettica del reale. Non è infatti vero, come hanno sostenuto numerosi critici, che la dialettica “preordini” la realtà; piuttosto la dialettica è la rappresentazione (Darstellung) del movimento del reale. Essa è intesa infatti da Marx ed Engels, e anche da Lenin, come il metodo scientifico di analisi del mondo.

Lenin è infatti ben conscio fin dagli scritti giovanili che nell’attacco portato alla dialettica in virtù di un “rinnovamento” dell’analisi teorica è in gioco una profonda partita politica e in questa partita prende posizione in maniera decisa: se volessimo sintetizzare all’estremo la sua opera potremmo dire proprio che essa è consistita in un’applicazione geniale del metodo dialettico in maniera mai “dogmatica” alle condizioni reali della Russia del suo tempo. Già se prendiamo in esame Che cosa sono gli “amici del popolo”? del 1894, vediamo come la polemica condotta contro il populismo russo consiste nello smentire le accuse di dottrinarismo rivolte ai socialdemocratici. La concezione materialistica della storia, genialmente individuata da Lenin, contro Michajlovskij, nel primo volume del Capitale, non è mai uno schema astratto in cui ingabbiare il reale, né è un ideale normativo, come proposto dal socialismo neokantiano. La concezione materialistica della storia si fonda invece sull’analisi di una società determinata, in tutti i suoi antagonismi, ricostruendo le contraddizioni che l’attraversano. Le parole d’ordine della lotta politica devono basarsi secondo Lenin sulla rappresentazione di questa lotta come lotta contro un determinato rapporto di produzione. A ciò si collega in maniera stretta un problema tutt’altro che secondario, ossia che le forme di questa lotta, e l’organizzazione del partito rivoluzionario, devono essere modellate anch’esse nelle modalità determinate dalla prassi politica concreta.

Questi spunti sono ampiamente sviluppati dall’autore nel secondo capitolo del volume. Particolare spazio è dedicato alla polemica di Lenin con il socialismo neokantiano e con l’empiriocriticismo. Tale interesse è giustificato dall’enorme portata politica della disputa a cui Lenin si dedica in Materialismo ed empiriocriticismo (1909). Se il neokantismo socialista di un Cohen o un Vörlander era un fenomeno essenzialmente accademico tedesco, e per questo erano inizialmente sfuggiti a Lenin i legami sempre maggiori tra essi e le tendenze riformistiche della SPD, dopo la sconfitta della rivoluzione del 1905 e la feroce repressione zarista, si era determinato anche nel movimento russo un arretramento che aveva portato molti studiosi a cercare risposte in strumenti di analisi esterni al marxismo.

Particolarmente pericolose per Lenin, in quanto foriere di un rinnegamento degli stessi presupposti materialistici del marxismo, erano le tendenze che cercavano di coniugare con il marxismo la filosofia di Mach e Avenarius. Com’è noto, infatti, un “cedimento” teorico verso l’empiriomonismo, come proposto da Bogdanov (il principale bersaglio polemico dell’opera), avrebbe significato per Lenin un ritorno all’idealismo in quanto avrebbe messo in discussione la capacità della mente umana di rispecchiare correttamente il mondo esterno, punto fondamentale per Lenin, sulla scia di Engels, di ogni gnoseologia storico-materialistica.

Estendendo la ricostruzione storiografica al neokantismo socialista, Avanzi mostra come in gioco vi sia qui la concezione del materialismo dialettico come scienza; scienza dei nessi oggettivi del reale e non raccolta di mere intuizioni immanenti alla coscienza soggettiva. Per i neokantiani il socialismo è invece essenzialmente un’etica, un ideale normativo verso cui indirizzare la propria azione. In tal senso Vörlander accomuna Kant e Marx, mentre Cohen definisce addirittura il pensatore di Königsberg come il fondatore del socialismo tedesco. Come ricorda Avanzi, l’approccio di Lenin a queste discussioni in apparenza di esclusivo carattere filosofico è determinato dalla consapevolezza che la filosofia è un’altra forma della lotta politica, della lotta di partito e che in tal senso la lotta contro una filosofia “reazionaria” come il neokantismo, oltre a non essere affatto priva di conseguenze sulla “pratica” politica, viene a sua volta da quest'ultima influenzata.

Quanto appena detto vale anche per i Quaderni filosofici e per le corpose glosse alla Scienza della Logica hegeliana in essi contenute. L’autore fa notare che si tratta del primo corpo a corpo diretto di Lenin con Hegel, fino ad allora conosciuto indirettamente dalle opere di Marx e soprattutto del tardo Engels. Per Avanzi anche in questo caso l’interpretazione della grande logica hegeliana è fortemente debitrice verso l’opera di Engels (in particolare verso l’Anti-Dühring), e, come per Marx ed Engels, così anche per Lenin, parallelamente alla presa di distanza dal carattere idealistico della dialettica hegeliana, avviene il riconoscimento sempre maggiore dell’importanza e della genialità del metodo. Lenin arriva a individuare nella Scienza della logica una fonte della concezione materialistica della storia. Egli arriva inoltre a definire la necessità di uno studio in senso radicalmente materialistico di Hegel, fondamentale per l’esposizione di una logica che tenga insieme gli opposti, la parte e il tutto. Hegel è lo scopritore della logica che descrive le contraddizioni della società capitalistica, della storia e della società. Per Lenin Hegel ha infatti individuato nella Logica le categorie della prassi umana, che sono le stesse della realtà oggettiva. È pertanto fortissimo nei Quaderni filosofici, e non potrebbe essere altrimenti date le considerazioni sopra svolte, l’accenno anti-kantiano: il continuo riferimento alla gnoseologia, alla possibilità di una teoria della conoscenza che non sia limitata all’elemento soggettivo.

La parte più originale del volume è quella costituita dal terzo e dal quarto capitolo, dedicati rispettivamente a “Categorie del conflitto di classe nella Russia prerivoluzionaria” e a “La dialettica tra socialismo e capitalismo dopo la rivoluzione d’ottobre”. In questi capitoli l’autore si dedica alla ricostruzione dell’uso degli strumenti dialettici nell’attività più strettamente pratica e politica di Lenin. Avanzi mostra molto chiaramente come l’indagine filosofica sulla logica hegeliana sia alla base dell’analisi leniniana dell’imperialismo e dei nessi reali della società europea e mondiale negli anni Dieci, del ruolo del parlamentarismo nella società borghese, del carattere determinato della negazione della società capitalistica e della centralità del partito nello svolgimento dell’azione politica. Solo il partito può infatti per Lenin essere il luogo dell’elaborazione teorica e dell’azione pratica. Questa concezione è presente sin dal Che fare? ma si arricchisce nei quaderni preparatori al testo sull’imperialismo di annotazioni relative alla riflessione hegeliana sulla categoria di “popolo”. L’esperienza storica immediatamente davanti agli occhi di Lenin era quella in cui decenni di rivendicazioni, scioperi, rivolte anche di notevole entità non avevano prodotto risultati adeguati e soprattutto avevano dimostrato l’incapacità del “popolo”, inteso naturalisticamente, di giungere spontaneamente alla consapevolezza dei propri interessi di classe. Per tale ragione occorreva per Lenin dotarsi di un partito costituito come un’organizzazione preparata praticamente e teoricamente al rovesciamento del dominio della borghesia. Questo non significa, come mette giustamente in rilievo Avanzi, che per Lenin ci sia una “prevalenza” della teoria sulla prassi politica, che anzi per Lenin la lotta politica concreta è indubbiamente più efficace alla maturazione della coscienza di classe. Nel capitolo finale, dedicato, come detto, all’opera leniniana successiva alla Rivoluzione d’Ottobre, emerge ancora una volta come la dialettica sia in Lenin sempre uno strumento di analisi politica della “contingenza” e mai uno strumento di “previsione” dell’accadimento storico. Questo è piuttosto evidente se analizziamo l’elaborazione di Lenin sullo Stato. Quando si tratta di difendere la “patria socialista” prima dal pericolo tedesco e poi dalla controrivoluzione bianca osserviamo un netto mutamento di prospettiva rispetto alle posizioni prerivoluzionarie, alla luce della mutata funzione dell’apparato statale nel nuovo stato della lotta di classe. Anche in questa parte del volume, con un ricco uso della bibliografia primaria e secondaria, l’autore dimostra l’estrema coerenza e originalità dell’opera leniniana. Il rivoluzionario russo è guidato dalla consapevolezza che la negazione del capitalismo implica una conservazione-superamento, ossia in termini hegeliani un’Aufhebung da realizzarsi sempre a partire dall’“analisi concreta della situazione concreta”. Non è dunque un caso se l’ultimo paragrafo del volume, in cui Avanzi traccia un bilancio dei primi anni dell’esperienza sovietica e del “socialismo reale” nel suo complesso, si intitoli “Superamento del comunismo utopistico e trionfo della dialettica”; un titolo che ben evidenzia la presa di posizione dell’autore contro le tendenze messianiche che spesso hanno caratterizzato il movimento comunista e che si rivela forse adeguato a riassumere l’opera leniniana nella sua interezza.

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