Andrea Vento

L'escalation del conflitto in Ucraina, provocata dall'invasione russa iniziata il 24 febbraio 2022, ha costretto analisti e studiosi a riprendere in mano il "dossier Ucraina", già in precedenza salito alla ribalta dopo il colpo di stato di piazza Maidan del febbraio 2014 ai danni del russofono Yanukovich. Il nuovo governo, a seguito dello spostamento a destra dell'asse politico e del riposizionamento geopolitico filoccidentale, finì per innescare, nei mesi successivi, la repressione della popolazione russofona dell'est del Paese da parte dei nazionalisti ucraini, l'annessione russa della Crimea e lo scoppio della guerra nel Donbass contro le auto-proclamate Repubbliche Popolari di Donestk e Lugansk. Una guerra terminata con gli accordi di Minsk 2 del febbraio 2015 che, nonostante la scarsa copertura mediatica occidentale, ha provocato gravi distruzioni e la morte di 13.000 civili ucraini di lingua russa.

Il Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati, che all'epoca aveva cercato di comprendere radici e sviluppi della crisi ucraina tramite l'analisi delle sue vicende geopolitiche e la pubblicazione di un'agile dispensa dall'eloquente titolo Ucraina, il boomerang delle sanzioni europee, aveva indagato il diverso impatto prodotto, sulle due aree geo-economiche occidentali, dalle sanzioni economiche imposte dagli Usa alla Russia, e, obtorto collo, adottate anche dai loro subordinati europei.

A conclusione della dispensa[1] avevamo anche provato ad elaborare una proposta di risoluzione del conflitto i cui principi, da un lato, avrebbe garantito sia i diritti della popolazione russofona che l'integrità territoriale dell'Ucraina, tramite la trasformazione della stessa in uno Stato federale e, dall'altro, il conseguimento dello "status" di neutralità del Paese, rispetto ai blocchi militari contrapposti, avrebbe risolto pacificamente il conflitto interno e, in prospettiva, evitato ulteriori sviluppi militari internazionali che, invece, si sono purtroppo verificati.

La geopolitica persegue il non agevole compito di studiare le relazioni internazionali, di analizzare le aree di crisi e di proporre indicazioni per la risoluzione diplomatica dei conflitti, tenendo in debita considerazione i diritti di tutti i popoli senza, peraltro, trascurare le esigenze di sicurezza e le specificità dei singoli Stati. Tuttavia, la logica unilaterale di potenza che sta dominando le relazioni internazionali dalla fine del Bipolarismo cerca pervicacemente di continuare a prevalere sulla prospettiva di un nuovo ordine mondiale basato sul coinvolgimento multilaterale che, invece, garantirebbe la partecipazione, quantomeno delle principali potenze mondiali e regionali, alla definizione degli equilibri internazionali.

A tal proposito, riproponiamo quanto da noi elaborato 8 anni or sono, da un lato, con il conforto generato dal fatto che la nostra proposta, seppur al netto delle contingenze geopolitiche ormai superate, risulta ancora oggi di calzante attualità per la risoluzione del conflitto. Mentre, dall'altro, non possiamo nascondere il rammarico per il quadro di risoluzione che si sta delineando a seguito dell'azione diplomatica degli ultimi giorni.

La risoluzione finale del conflitto, oltre alla neutralità militare dell'Ucraina, avrà probabilmente come orizzonte la spartizione territoriale del Paese con l'aggravante che a ciò si arriverà al termine di un aspro conflitto che avrà provocato decine di migliaia di vittime da ambo le parti, distruzioni e gravi sofferenze per i civili che, ancora una volta subiranno le conseguenze maggiori.

Inevitabilmente su questo aspetto, una volta definito il quadro negoziale dell'accordo che porterà alla fine della guerra, dovremmo chieder conto ai nostri leader politici: "forse gli stessi risultati si potevano conseguire evitando la guerra...?". Con una buona dose di sano pragmatismo geopolitico, probabilmente sì... ma in tal caso gli arsenali sarebbero rimasti pieni e non sarebbe scattata la corsa al riarmo, anche per il nostro Paese.

Andrea Vento - 31 marzo 2022

Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

 

Crisi ucraina: l'impervia via d'uscita 'finlandese'

I governi europei, dopo aver assecondato la spregiudicata strategia di Obama dell'allargamento della Nato sino ai confini della Russia, provocando un'escalation della tensione intereuropea come non accadeva dai tempi della Guerra Fredda, si trovano ora in difficoltà di fronte all'impasse di Washington che in questa fase sembra volgere le proprie attenzioni alle complesse questioni mediorientali. I leader europei dovranno cercare di risolvere la crisi Ucraina, apparentemente senza la 'guida' americana, con i limiti delle divisioni interne e, forse, privi di un preciso disegno strategico. Tuttavia, questo contesto rappresenta probabilmente l'occasione per iniziare ad affrontare i problemi con una dose di sano pragmatismo geopolitico, abbandonando gli azzardati progetti espansionistici disegnati oltreoceano.

Nell'immediato gli obiettivi primari sembrano rappresentati dall'attivazione di una azione politica e diplomatica finalizzata alla stabilizzazione della traballante tregua raggiunta il 5 di settembre a Minsk, fra Kiev e i separatisti del Donbass, e alla risoluzione della crisi delle forniture del gas a Kiev che Mosca ha sospeso da giugno, a causa di oltre 5 miliardi di $ di debiti non pagati, mettendo a rischio anche le importazioni dei paesi dell'Ue.

In questa ottica il Vertice Euroasiatico del 15 ottobre di Milano ha fornito l'occasione per riportare ad un tavolo negoziale, dopo il gelo dei mesi scorsi, Putin e Poroshenko insieme ai leader comunitari per far riprendere le trattative dirette fra le due controparti. L'accordo raggiunto a Bruxelles il 31 ottobre fra Russia e Ucraina, con la mediazione della Ue, attraverso il rimborso da parte ucraina di 3,1 miliardi di $ entro la fine dell'anno e la riattivazione delle forniture, forse apre uno spiraglio per la risoluzione definitiva della crisi ucraina in forma pacifica e condivisa. In tale prospettiva sono confortanti le prime dichiarazioni di Federica Mogherini, appena assunta la carica di Alto Segretario dell'Ue per gli Affari Esteri, con le quali ha definito suo "principale compito personale" la costruzione del dialogo fra Russia e Ucraina e la fine della "guerra delle sanzioni".

In mancanza dell'intransigente 'tutela' di Washington e sospinti da un possibile clima di disgelo la diplomazia comunitaria forse riuscirà a valutare con maggiore attenzione le dichiarazioni rilasciate dall'ex presidente della Commissione Europea Romano Prodi al "Forum Ambrosetti" di Cernobbio ad inizio settembre: "Il conflitto in Ucraina è anche colpa europea per aver sottovalutato la Russia. L'Ucraina non può essere né russa né europea. O ci convinciamo che è un ponte tra l'Europa e la Russia, o va a finire male." Prodi ha poi concluso: "L'Ucraina nella Nato non ci deve entrare. Perché non si mettono le dita negli occhi a nessuno".

Probabilmente la via di uscita dalla crisi non può prescindere dal riconoscimento alla Russia dell'attuale ruolo di potenza mondiale emergente, che a Washington alcuni si ostinano ancora a negare, e dei legami storici, etnico-culturali ed economici che legano Mosca a doppio filo all'Ucraina, o quantomeno, a parte di essa. Non è certamente seguendo gli Usa nello scontro frontale con Mosca, disconoscendole lo 'status' geopolitico che ha riconquistato ma, aprendo trattative diplomatiche paritarie fra Bruxelles, Kiev e Mosca per ricomporre le molteplici linee di frattura, dalla questione delle Repubbliche del Donbass alle forniture energetiche, che attraversano attualmente l'est europeo.

Per il conseguimento di un assetto geopolitico europeo, stabile e condiviso, l'unica strada percorribile passa probabilmente attraverso la concessione dell'autonomia delle Repubbliche Popolari di Donestk e di Luhansk, nell'ambito della futura Repubblica Federativa Ucraina, uno stato cuscinetto, fra Ue da un lato e Unione Euorasiatica[2] dall'altro, che non solo ricomponga le tensioni ma che faciliti le relazioni fra i due blocchi. Potrebbe delinearsi in tal modo un nuovo equilibrio geopolitico che riporterebbe l'Ucraina a rivestire, seppur con funzioni diverse, il ruolo che fu della Finlandia ai tempi della Guerra Fredda. Non un'anacronistica funzione di separazione di sfere di influenza, bensì quella di futuro 'stato ponte' fra est e ovest europeo; due aree legate da profonde relazioni storiche e, oggi, da un forte interscambio finanziario e commerciale che fa perno sulle risorse energetiche e minerarie da un lato e sulla tecnologia e l'ingegno creativo dall'altro.

Lontano dalle pressioni statunitensi gli europei, nel loro insieme, sono in grado di trovare una soluzione che, non solo allontani gli spettri della guerra ma, che garantisca anche la ripresa del processo di cooperazione politica e di integrazione economica, già avviato da quasi un ventennio fra la parte occidentale e quella orientale del Vecchio Continente.

Il problema di fondo è che questa prospettiva non coincide con le strategie di Washington di espansione della propria sfera di influenza tramite l'ampliamento della Nato e l'entrata in vigore del TTIP, il Partenariato Transatlantico sul Commercio e sugli Investimenti, sul quale qualche resistenza inizia a manifestarla anche il governo tedesco.

Andrea Vento, 2 novembre 2014

 

[1] Per scaricare la dispensa https://scienzaepace.unipi.it/index.php/en/issues/2020/item/286-crisi-ucraina-il-boomerang-delle-sanzioni-europee.html

[2] Il progetto di integrazione post sovietico inizia con la nascita dell’Unione doganale nel 2010 e dello Spazio economico comune nel 2012: uno mirato alla graduale eliminazione degli ostacoli doganali, l’altro volto a creare uno spazio di libera circolazione delle persone, merci e servizi. http://www.ispionline.it/it/articoli/articolo/russia-eurasia-europa/le-direttrici-della-politica-estera-russa-11275

Il 1° gennaio 2015, entrerà in vigore il Trattato che istituisce l’Unione economica euroasiatica. Essa prenderà il via nella forma di quattro Stati: Russia, Bielorussia, Kazakistan e Armenia http://italian.ruvr.ru/2014_10_31/279473519/

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