Alessio Soma

 

La curatela di Alexander Höbel, che ha raccolto e arricchito con un corredo di note introduttive, i discorsi di politica internazionale di Enrico Berlinguer pubblicati nel libro La pace al primo posto. Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984), Donzelli Editore, aprile 2023, rende ora possibile ripercorrere le tematiche al centro della politica estera del PCI.

Da questo testo si evincono i principali punti di riferimento alla base del pensiero e delle azioni del noto Segretario, quali in particolare le critiche che egli mosse alle guerre di stampo imperialista: i  fatti del Cile nel 1973, il sostegno al popolo del Vietnam contro l’aggressione militare degli Stati Uniti, la difesa del popolo palestinese dagli attacchi di Israele, la condanna all’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979, rientrano tra i conflitti principali analizzati dallo statista sardo. Nel trattare queste vicende belliche, che Berlinguer non esita a giudicare come atti di prevaricazione contrari al diritto internazionale e al principio dell’autodeterminazione dei popoli, il segretario del PCI non indirizza le proprie accuse solamente contro l’Occidente e gli Stati Uniti, ma al contrario, dimostrando un’imparzialità di analisi e di pensiero non scontata, giudica negativamente anche le aggressioni e le ingerenze sovietiche a danno della sovranità di altri paesi. In particolar modo, la scelta del PCI di condannare apertamente l’attacco sovietico in Afghanistan[1] porterà ad un'incrinatura dei rapporti tra i comunisti italiani e il PCUS.

Ma la critica incondizionata di ogni forma di prevaricazione armata andava ben al di là del semplice riconoscimento del diritto dei popoli ad autodeterminarsi; uno degli obiettivi principali era quello di evitare la destabilizzazione dell’ordine internazionale, garantendo così la salvaguardia della pace nel mondo. Considerando quest’ultimo elemento come uno dei punti cardine della politica estera del segretario, è possibile analizzare criticamente una sua nota affermazione del 15 giugno 1976 in un’intervista rilasciata al giornalista Giampaolo Pansa: in essa Berlinguer affermava l’accettazione della presenza dell’Italia nel Patto Atlantico, valutando come più sicuro per il Paese, e per il PCI stesso, restare all’interno del blocco militare occidentale. Questa dichiarazione ha subito, e subisce ancora, numerose strumentalizzazioni, dettate nella maggior parte dei casi dalla volontà manifesta di demonizzare l’intera storia dell’Unione Sovietica a vantaggio degli Stati Uniti. Il lavoro meticoloso di Höbel, al contrario, ci permette di considerare e valutare tale affermazione nella sua complessità, grazie soprattutto al fatto che nel testo viene riportata l’intera intervista, con tanto di introduzione critica redatta dal curatore stesso. Dalla lettura dei testi è possibile comprendere come l’affermazione di Berlinguer fosse frutto principalmente di una severa valutazione dei rapporti di forza internazionali, i quali non avrebbero di certo consentito l’uscita dell’Italia dalla NATO senza colpo ferire. Il ruolo prioritario riservato dal politico sardo alla pace e al pacifismo fu la vera origine della dichiarazione rilasciata a Pansa; si potrebbe dire che esso fu un “atto forzato” dalla situazione contingente, certamente a sfavore di un’uscita immediata dalla NATO dell’Italia. A sostegno di questa tesi, riporto uno stralcio della dichiarazione di Berlinguer: Noi, infatti, riteniamo che, avendo proceduto particolarmente negli ultimi tempi alla distensione sulla base di un equilibrio di forze, il turbamento di questo equilibrio- quale sarebbe rappresentato inevitabilmente dall’uscita di un paese o dall’uno o dall’altro blocco- turberebbe il processo generale della distensione. Questa è la ragione fondamentale per cui noi pensiamo che l’Italia debba rimanere nel Patto atlantico[2].

Altro elemento interessante che si evidenza dalla lettura dei discorsi è riscontrabile nella valutazione di Berlinguer sul ruolo del pacifismo; quest’ultimo non veniva considerato soltanto come un meccanismo di difesa dell’umanità nei confronti della violenza bellica, ma anche come un tassello fondamentale per permettere lo sviluppo di tutta la società verso una via socialista. Con l’affermazione del socialismo, sosteneva il segretario, si sarebbe assistito ad un superamento del capitalismo e dell’economia di mercato, che con il proprio funzionamento legato al profitto continuava a vessare il proletariato ed il sottoproletariato. Riconoscendo i costi pagati dai cosiddetti subalterni, Berlinguer valutava anche il ruolo dei Paesi del Terzo Mondo, che avrebbero dovuto essere sostenuti economicamente nel proprio sviluppo dall’Occidente industrializzato, permettendo così l’affermazione di un benessere esteso a tutta l’umanità. Si riscontra in questa elaborazione teorica del politico, una ripresa del pensiero gramsciano, come dichiarato dallo stesso Berlinguer nel discorso tenuto al XIV Congresso del PCI:

Gramsci nota che la formazione di uno Stato italiano che avesse un segno di chiusura nazionalistica sarebbe uno sbocco ‹‹anacronistico e antistorico››, contrario a ‹‹tutte le tradizioni italiane, romane prima, cattoliche poi›› […] Per il suo passato –dice ancora Gramsci- ‹‹il popolo italiano è quel popolo che “nazionalmente” è più interessato a una moderna forma di cosmopolitismo››, e cioè alla rifondazione internazionalistica della comunità umana. In questo acutissimo rilievo di Gramsci può radicarsi l’idea che gli italiani sono fra i più interessati all’unificazione mondiale, alla pace, a un universalismo moderno[3].

Per far sì che l’Occidente, ed in particolar modo l’Europa, contribuisse attivamente allo sviluppo proprio e dei Paesi meno sviuppati, Berlinguer auspicava nei propri scritti la nascita di una nuova realtà politico/ideale definita “eurocomunismo[4]”, che attraverso la strada della distensione e della cooperazione[5] creasse un’alternativa al modello liberale; quest’ultimo constatava Berlinguer, con il proprio egoismo personalistico seguitava a sfruttare le classi più deboli per il mantenimento della ricchezza nelle mani di pochi.

Tra le varie tematiche trattate negli scritti e nei discorsi, è degna di nota altresì l’opposizione del segretario all’escalation militare nonché alla proliferazione incontrollata del nucleare; in particolar modo dopo lo scoppio della guerra in Afghanistan nel ‘79, Berlinguer propose, dinanzi all’intero Parlamento italiano, un’alternativa concreta alla rottura diplomatica (che sarebbe potuta sfociare in un aperto conflitto nucleare) con l’URSS, e riguardo al riarmo in atto chiese di sospendere la produzione di missili Cruise di fabbricazione USA e SS-20 sovietici, almeno per sei mesi[6]. In questo modo il PCI diede nuovamente mostra di essere un partito comunista, ma equilibrato nel valutare il confronto tra NATO e Patto di Varsavia, ritagliandosi così un nuovo ruolo apertamente pacifista nel campo internazionale. Il Partito Comunista Italiano non era nuovo a denunce che riguardassero il pericolo delle armi nucleari per la stabilità del mondo intero. Come ricordato da Berlinguer nel proprio discorso al XV Congresso del PCI, Palmiro Togliatti nel 1954 (e poi, in termini simili, nel 1963) aveva già criticato tali armamenti con queste parole:

Eccoci così di fronte alla terribile spaventosa “novità”: l’uomo oggi, non può più soltanto, come nel passato, uccidere, distruggere altri uomini. L’uomo può uccidere, può annientare l’umanità… La storia degli uomini acquista una dimensione che non aveva mai avuto… E la pace, a cui sempre si è pensato come ad un bene, diventa qualcosa di più e di diverso: diventa una necessità, se l’uomo non vuole annientare sé stesso… Di fronte alla minaccia concreta della comune distruzione la coscienza della comune natura umana emerge con forza nuova[7].

A questo obiettivo della pace Berlinguer rimarrà sempre legato negli anni della sua segreteria, giungendo nel 1983 a partecipare in prima persona alla Marcia della pace ad Assisi per incontrare, oltre all’elettorato comunista, tutte quelle persone sinceramente interessate a mettere la pace, come indicato dallo stesso Höbel nel titolo del libro da lui curato, al “primo posto”.

In conclusione, credo si possa considerare questo testo non semplicemente una mera “raccolta” delle riflessioni e prese di posizione di Enrico Berlinguer (aventi senz’altro un valore storiografico), ma anche una testimonianza preziosa per il mondo attuale. Non si può non citare a tal proposito il conflitto russo-ucraino che, con la cobelligeranza dichiarata dell’Occidente e dell’Europa tutta (oltretutto mancante di una pars diplomatica efficace), rischia di trascinare il mondo intero nel baratro di una nuova guerra mondiale. Per questo motivo i discorsi e gli scritti di Berlinguer mantengono ancora oggi la loro rilevanza, per la creazione di una vera alternativa di pace.

 

[1] Giorgio Amendola, membro della Direzione del PCI, manterrà una posizione diversa dalla linea ufficiale del partito, dichiarandosi contrario alla condanna dell’invasione dell’Afghanistan da parte sovietica.

[2] Enrico Berlinguer, La pace al primo posto. Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984), a cura di Alexander Höbel, Donzelli Editore, Roma 2023, pag. 100.

[3] Ivi, pag. 78.

[4] Termine coniato dal giornalista Frane Barbieri poi adottato successivamente anche dal PCI stesso.

[5] Enrico Berlinguer, La pace al primo posto. Scritti e discorsi di politica internazionale, cit. pag. 105.

[6] Chiara Valentini, Berlinguer il segretario, Arnoldo Mondadori Editore, novembre 1987, pag. 207.

[7] Alexander Höbel, La pace al primo posto. Scritti e discorsi di politica internazionale, cit. pag. 131.

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