Sergio Dalmasso

 

Guido Picelli è l'eroe delle barricate di Oltretorrente, a Parma, dove nell'agosto del 1922, le squadre fasciste, capitanata da Italo Balbo, subiscono una delle poche sconfitte sul campo.

Nato nel 1899, orologiaio, attore, interventista, partecipa alla guerra mondiale nella Croce Rossa, vi. Nel 1920 si oppone all'invio di militari italiani in Albania ed è arrestato. È allievo dell'Accademia militare. Nel 1921 è eletto parlamentare per il PSI. Nel 1922 passa al PCd'I, con la corrente dei Terzinternazionalisti. Nell'agosto 1922, è l'anima delle barricate parmensi, nella convinzione che l'unità (socialisti, comunisti, anarchici...) negli Arditi del popolo sia l'unico strumento per opporsi alla marea fascista.

Rieletto parlamentare nel 1924, per il PCd'I, è autore di un atto simbolico: l'esposizione, il 1° maggio, della bandiera rossa dalle finestre della Camera[1].

Più volte giudicato colpevole, sfugge all'arresto, in quanto eletto, ma nel 1926, decaduti i parlamentari di opposizione, è condannato a cinque anni di confino (le vacanze, secondo Berlusconi) a Lipari. Da Lipari fugge nel 1932 ed è esule, con la moglie Paolina, in Francia, in Belgio, in URSS.

Qui non trova le condizioni sperate: è escluso dalla Scuola leninista, dall'accademia militare, lavora come operaio in fabbrica, isolato nel clima drammatico di sospetto proprio dell'URSS dell'epoca.

Nonostante la fama di “eroe di Parma”, nonostante la programmazione di alcune sue opere teatrali, rappresentate in molte fabbriche, si sente emarginato e non valorizzato, soprattutto per l'esperienza militare maturata e nella guerra mondiale e negli Arditi del popolo, come testimoniano passaggi delle sue lettere e documenti emersi dall'archivio del Comintern.

Nel 1936 ottiene la possibilità di andare a combattere in Spagna. Nel passaggio a Parigi, incontra un esponente del POUM spagnolo che gli offre di partecipare all'organizzazione delle milizie della formazione di sinistra eterodossa. Sceglie, invece, le brigate Garibaldi, legate al partito. È forte, in lui, la speranza di potere ricostruire, contro il fascismo internazionale, quella unità di comunisti, socialisti, anarchici... che era presente nell'esperienza degli Arditi del popolo, purtroppo scarsamente praticata negli anni di ascesa del fascismo italiano.

Il 1° gennaio 1937 partecipa alla conquista di Mirabueno. Il 5, in uno scontro viene colpito a morte.

Il libro di Franco Ferrari[2], parmense, attento studioso di tematiche internazionali, tenta di ricostruire l'ultimo giorno della vita di Picelli e di rispondere a molti interrogativi, nati dopo la sua scomparsa.

Già negli anni '50, nel clima della guerra fredda, i dubbi sulla morte di Picelli sono usati per una forte campagna anticomunista. Nel 1953 è in Italia il generale Valentin Gonzales (el Campesino) che ha combattuto nella guerra civile sul fronte repubblicano. La sua testimonianza è netta: Picelli è vittima del “fuoco amico”, è ucciso dagli stessi comunisti che vogliono colpirlo per le sue posizioni eterodosse.

A distanza di anni, riprende questa tesi Giancarlo Bocchi, scrittore e regista, che, dopo Guido Picelli (Milano, Imprint, 2013), torna sul tema nel centenario delle barricate di Parma, con Chi ha ucciso Guido Picelli? (Milano, Imprint, 2023). Bocchi insiste sulle scelte non ortodosse di Picelli, sui suoi rapporti con settori anarchici e del socialismo di sinistra, ricorda le difficoltà vissute nell'esilio in URSS e gli scarsi appoggi ricevuti dal partito. Usando la testimonianza di Giorgio Braccialarghe, con lui al fronte, che parla di morte per una pallottola al cuore, alle spalle, avanza dubbi sulla versione ufficiale. La sua tesi è netta: il comunista parmense è vittima di Stalin. Il suo film Guido Picelli, un eroe scomodo passa su Rai storia, in seconda serata, il 3 gennaio 2017. La sua ipotesi è condivisa da Arrigo Petacco, autore di A Mosca solo andata. La tragica avventura dei comunisti italiani in Russia (Milano, Mondadori, 2013).

Ferrari, nel suo studio, ha un doppio merito. Quello di offrire una documentazione completa sul caso, dalle testimonianze ai documenti ufficiali, dagli articoli di giornale ai necrologi, dalle lettere della moglie ai discorsi “ufficiali”, quello di inquadrare la figura di Picelli nel clima del movimento comunista italiano fra gli anni '20 e '30, fra esilio, tentativo di presenza in Italia, bordighismo e trotskismo, rapporti contraddittori con le altre formazioni antifasciste, repentini cambi di linea dell'Internazionale.

Ancor più, davanti alle certezze di Bocchi che non si basano mai, però, su fatti certi, ma solamente su “indizi”, ipotesi, tesi che a volte sembrano precostituite, Ferrari offre un quadro complessivo sull'“eroe delle barricate” e sul “caso”, ribadendo e argomentando la tesi della morte sul campo, per mano nemica.

Ripubblica tutti i suoi precedenti studi sul tema, “in progress”, lettere inedite, gli articoli di Picelli scritti fra il 1932 e il 1936, in Svizzera e in Francia, articoli della stampa antifascista italiana e spagnola. Da non perdere le testimonianze di Grieco, Togliatti, Nenni, dell'anarchico Antonio Cieri, della moglie Paolina Picelli, gli scritti sui giornali comunisti e socialisti (anche sull'“Avanti” massimalista); da leggersi con La mia divisa. Scritti e discorsi politici di Guido Picelli (Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2021, a cura di William Gambetta). Per una lettura meno storica, la sua figura è centrale in Pino Cacucci, Oltretorrente, Milano, Feltrinelli, 2003 e in uno dei primi romanzi del parmense Alberto Bevilacqua, Una città in amore, Milano, Mondadori 1990 (prima edizione 1962).

 

[1] Cfr. Gabriella GALLOZZI, Quando la bandiera rossa sventolò su Montecitorio, in “l'Unità”, 28 settembre 2011; Giancarlo BOCCHI, La bandiera rossa sventola su Montecitorio, in “il manifesto”, 5 gennaio 2008.

[2] Franco FERRARI, Indagine su Picelli. Fatti, documenti, testimonianze, Lecce, Youcantprint, 2023.

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