Carla Filosa

 

Al posto dell’occhiello, la citazione di una parte finale della poesia di B. Brecht, intitolata Messaggio[1] viene qui riportata all’inizio di queste brevi osservazioni sull’andamento della pandemia in atto, data la stretta attinenza ai problemi che ognuno di noi sta vivendo, quotidianamente assillati da informazioni contrastanti, in un disorientamento forse non voluto e comunque di impianto istituzionale assolutamente nuovo.

 Fosco Giannini

 

In questa fase segnata, come questione centrale, dalla crisi sanitaria (una crisi, anticipando la tesi di fondo di questo articolo, che trova la propria causa non tanto nella trasmissione del virus da parte dei pipistrelli – moral suasion consueta e ripetuta del potere capitalistico in cerca di ipocrite risposte ai propri fallimenti – quanto nella destrutturazione/privatizzazione, all’interno dei sistemi capitalistici a livello mondiale, della sanità pubblica quale nuovo meccanismo ciclico di produzione/ riproduzione del capitale), in questa fase, ove primeggia la paura della morte, un’altra paura è sempre più evocata: quella di una crisi economica di enormi proporzioni, una recessione dell’intero mondo capitalista persino superiore a quella già grande e recentissima scoppiata tra il 2007 ed il 2013 negli USA (e propagatasi come “un’altra epidemia” nell’intero occidente) in seguito al “crac” dei “subprime” e del mercato immobiliare nordamericano.

Jacques R. Pauwels *

 

Nel suo lavoro di più fresca data, La Non-épuration en France de 1943 aux années 1950 (“La mancata epurazione in Francia dal 1943 agli anni Cinquanta”), la storica Annie Lacroix-Riz contraddice la visione sulla Liberazione del paese nel 1944-45 diffuse da una recente storiografia succube della destra politica (“droitisée”). Questa tendenza, sempre più di moda, si dimostra molto critica nei confronti della Resistenza e, di contro, piuttosto indulgente riguardo la collaborazione con l’occupante. Si è sostenuto, ad esempio, che la Resistenza è stata in generale inefficace e che la Francia è debitrice della sua liberazione quasi esclusivamente agli sforzi degli americani e degli altri alleati occidentali – questi ultimi appoggiati dalle forze dei “Francesi Liberi” di De Gaulle – che sbarcarono in Normandia nel giugno del 1944.

Fabrizio Tonello *

 

Fermare Bernie Sanders. Anche a costo di scaricare una valanga di denaro in spot televisivi per aprire la strada a un miliardario (Bloomberg), truccare un po’ i risultati del voto in Iowa («internamente contraddittori», dice il New York Times), oppure semplicemente proclamare la vittoria di un candidato che non ha vinto (Buttigieg).

Meglio ancora, tutte queste tre cose insieme, alzando un polverone sufficiente per oscurare l’unico avvenimento certo: Sanders ha avuto più voti di tutti gli altri candidati nell’unico stato dove si è votato, il freddissimo Iowa. Per la precisione, nel voto popolare, Sanders ha ottenuto 44.753 consensi, contro i 42.235 di Buttigieg.

Davide Conti *

 

Si è tenuto ieri un seminario, presso la Sala degli Atti Parlamentari della Biblioteca del Senato della Repubblica, con storici di rigore e professionalità, riconosciuti a livello nazionale e internazionale come Giovanni De Luna, Franco Ceccotti e Anna Maria Vinci e Marta Verginella, e che, per il solo motivo di essersi svolto, è stato «contestato» da esponenti dell’estrema destra italiana che lo hanno definito «un oltraggio agli esuli istriani e dalmati infoibati vittime dell’odio comunista» ed un’iniziativa «dal chiaro obbiettivo negazionista». L’episodio esprime in modo visibile l’emersione di un fenomeno che le «politiche memoriali», organizzate attorno all’istituzione di leggi ad hoc finalizzate all’uso pubblico della storia, hanno finito progressivamente per alimentare fino alla sua tracimazione nel discorso pubblico: il populismo storico.

Francesco Schettino *

 

La questione del Mes in pillole

Cavalcando il puledro del nazionalismo ormai palesemente vincente in larga parte d’Europa, l’estrema destra italiana ha colto l’occasione della cosiddetta riforma del Mes (Meccanismo europeo di stabilità) per gridare all’ennesimo schiaffo da parte della Germania verso l’Italia e i “poveri” paesi del sud del continente – tentando così di racimolare qualche voto in più in vista delle varie tornate elettorali locali che la vedranno principale attrice.

 Fosco Giannini

 

Friedrich Engels nasce a Barmen (Germania) il 28 novembre del 1820 e muore a Londra il 5 agosto del 1895. In questo 2020 siamo, dunque, nel 200esimo anniversario della sua nascita. Una ricorrenza dalla quale si potrebbe (meglio ancora, si dovrebbe) partire per riavviare uno studio profondo del grande pensiero rivoluzionario engelsiano, che un vasto fronte politico e filosofico (formatosi storicamente lungo l’asse dato dalle grandi forze socialdemocratiche e socialiste anti leniniste successive alla Seconda Guerra Mondiale e dalle aree di pensiero borghese progressista e di “sinistra”, passando per le varie fonti di pensiero “neomarxista” che si sono – a volte perniciosamente – sviluppate, sino alla Scuola di Francoforte) ha invece prima ridotto a pensiero minore e “di spalla”, rispetto a Karl Marx e poi “ossificato” e liquidato in un giudizio di “marxismo meccanicistico e determinismo positivista”.

Ignazio Masulli

(da "il manifesto", 17.12.19)

 

La ristrutturazione tardo capitalista dell’ultimo quarantennio ha portato all’esasperazione la logica utilitaria e contingente del capitalismo. 

Il risultato è un sistema che, da un lato, si dispiega in maniera pressoché incontrastata, affermando una sorta di neo-dispotismo. Dall’altro ha aggravato squilibri ecologici, demografici e sociali al punto da rendere non più sostenibile il suo stesso modo di funzionare.

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