Marxismo Oggi 2012/numero speciale Editoriale Per i 25 anni di Marxismo Oggi, di Guido Oldrini; Una transizione incerta, di Mario Vegetti; Interventi Paradosso di classe, ovvero la lotta di classe come paradosso, di Luigi Cavallaro; Il lorianesimo del professor Orsini, di Turati, Gramsci e… Saviano, di Ruggero Giacomini; Processate Gramsci!, di Gianni Fresu; Note sulla questione femminile e il Partito Comunista. Storia e attualità, di Anna Migliaccio; Saggi La coscienza ecologista del marxismo, di Antonino Barbagallo; Le concept d’idéologie et d’aliénation dans l’“Ontologie” de Lukács, di Nicolas Tertulian; A crisi strutturale cambio strutturale, di István Mészáros; Principio dell’imposizione fiscale, giustizia distributiva e principio di “uguaglianza sostanziale”, di Mario Cermignani; Ripensando con Gramsci il portato storico dei diritti umani e la loro odierna strumentalizzazione, di Renato Caputo; Suffragio universale, uguaglianza, democrazia: due contrapposte letture delle opere marxiane e un problema ancora attuale, di Francesca Antonini; Dossier: 1991-2011. La fine del campo socialista vent’anni dopo, a cura di Alexander Höbel e Marco Albeltaro La demolizione del sistema rappresentativo sovietico e l’istituzione della repubblica presidenziale in Russia, diAnatolij Lukjanov; I paesi baltici tra integrazione europea e apartheid, di Cristina Carpinelli; Il prolungato “Ottantanove” della Jugoslavia, di Andrea Martocchia; La Cina e il 1989, fra linee di continuità e discontinuità, di Paolo Selmi; 1987-1991. Una cronologia sulla fine del campo socialista, di Ennio Tedeschi; In ricordo di Hans Heinz Holz, di Costantino Avanzi; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2011/1-2 Aspetti della deriva politico-culturale borghese Nota dell’editore Per i prossimi 25 anni di “Marxismo Oggi”, di Sergio Manes Editoriale di Mario Vegetti Interventi La questione ecologica: un’analisi a partire dal rapporto uomo-natura nel pensiero di Lenin, di Vito Francesco Polcaro; La crisi economica attuale e la prospettiva dell’economia eterodossa, di Arturo Hermann; Elezioni e democrazia al lume della matematica, di Mario Alessio; Luigi Cortesi intellettuale comunista fra tradizione e innovazione, di Alexander Höbel; Saggi Necessità di un’alternativa al parlamentarismo borghese, di István Mészáros; Crisi della cultura di massa, postmodernismo e necessità della menzogna, di Stefano G. Azzarà; la resistibile ascesa della destra reazionaria in Europa, di Renato Caputo; Documenti Lettera/petizione della Georg-Lukács-Gesellschaft per il Lukács Archivum di Budapest; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2010/3 Novità sul fronte della editoria marxista Interventi Vent’anni dopo, spunti per una riflessione critica, di Paola Pellegrini; Una proposta di chiesa dal basso, di Marcello Vigli; Saggi Sui fondamenti, gli intendimenti e i criteri d’impiego della metodologia marxista, di Guido Oldrini; Dossier: Problemi di ecdotica marxista Novità dalla MEGA, a cura di Roberto Fineschi; La MEGA e l’Italia, di Tommaso Redolfi Riva; Contributi alla ricerca su Marx ed Engels in Germania (2007-2009), di Giovanni Sgro’; Verso l’edizione nazionale delle opere di Antonio Labriola, di Alessandro Savorelli; Documenti Vita di un partigiano “specialista+politico”, di Manuela Ausilio; Ripensare il comunismo oggi, di Leonardo Pegoraro; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2010/2 Linke tedesca, Costituzione italiana e derive autoritarie Editoriale Sul ruolo di “Marxismo Oggi” Interventi I cattolici di fronte al marxismo, di Antonino Barbagallo; Vita e morte del PCI, di Libero Traversa Saggi Die Linke o il “socialismo democratico, di Costantino Avanzi; Il buio oltre la Panda, di Bruno Casati; Dossier: Neoliberismo, crisi e attacco alla Costituzione Introduzione, di Andrea Catone; Autonomia della magistratura nel sistema costituzionale, di Vincenzo Accattatis; Marxismo e questione costituzionale. La Costituente e il ruolo dei partiti di massa, di Salvatore D’Albergo; Crisi economica e derive autoritarie. I presupposti economici dell’attacco alla Costituzione, di Vladimiro Giacché; La base economica del federalismo leghista, di Domenico Moro Ricordo Per Nicola Teti, di Edio Vallini; Nicola, comunista e calabrese, di Libero Traversa Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2010/1 Le sfide del marxismo tra memoria e futuro Editoriale Interventi Determinazione e libertà-responsabilità, di Tiziano Tussi Le repubbliche partigiane. Nascita di una democrazia, di Nunzia Augeri; Il “liberismo della crisi” di Giulio Tremonti, di Toni Muzzioli Saggi Per un rilancio del marxismo: intorno al sistema filosofico del Lukács ultimo, di Nicolas Tertulian; Il pianeta Cina, di Bruno Casati; Fabula antiqua, res nova. Attualità di Marx, Lenin e Gramsci, di Giuseppe Prestipino; Olocausto americano e violenza di genere, di Leonardo Pegoraro; Discussioni e polemiche Ejzenstejn, la critica del cinema e l’“Unità”, a cura di Guido Oldrini; Ricordo Per Georges Labica, di Andrea Catone; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2009/2-3 La crisi del capitale e il ruolo dei comunisti. Seconda parte Editoriale Interventi La filosofia per capire la crisi. Emanuele Severino solo nel suo dire, di Tiziano Tussi; Universalismo, questione nazionale e conflitto per l’egemonia. Congresso della Internationale Gesellschaft Hegel Marx, di Rosalinda Renda; Saggi Storia e memoria. Vincenzo Consolo, di Ugo Dotti; Lenin e la lotta dei partiti nella filosofia, di Hans Heinz Holz; Dossier: La crisi del capitale e il ruolo dei comunisti (seconda parte) La ricomposizione del blocco sociale antagonista, l’organizzazione di classe e i comunisti, di Sergio Cararo; Gli operai al tempo della crisi… e dopo, di Bruno Casati; Unione Europea: integrazione e annessione. La crisi svela il rapporto di dominio/dipendenza, di Andrea Catone; L’unità nel conflitto. Profitto, salari e crisi economica, di Gianni Fresu; Partito, organizzazione, radicamento. L’esperienza storica e i problemi di oggi, di Alexander Höbel; La crisi della socialdemocrazia, di Simone Oggionni; Per una nuova battaglia di civiltà contro il Capitale, di Paola Pellegrini; Comunisti nel mondo anche nel XXI secolo?, di Fausto Sorini; Note per una politica economica democratica, di Alessandro Volponi; Discussioni e polemiche. Dibattito sullo stalinismo La storia del Novecento e il socialismo reale di fronte al post-modernismo storiografico, di Stefano G. Azzarà; L’URSS in stato di conflitto permanente, di Paola Pellegrini; L’approccio comparatistico nell’analisi dell’epoca di Stalin, di Leonardo Pegoraro; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2009/1 La crisi economica e il ruolo dei comunisti. Numero speciale Editoriale Presentazione, di Fosco Giannini, Guido Oldrini, Manuela Palermi, Bruno Steri; 1. La crisi e l’economia Alle origini della crisi, di Francesco Garibaldo; La crisi non è finanziaria ma del capitale, di Domenico Moro; Oltre la diarchia euro-dollaro. Dieci tesi su crisi, egemonia valutaria e imperialismo, di Vladimiro Giacché; Un G20 sulla crisi globale: dai chiari connotati di classe, di Luigi Marino; Un’ombra in fondo al tunnel, di Emiliano Brancaccio; 2. La crisi e lo Stato Le conseguenze della gestione reazionaria della crisi, di Alberto Burgio; Il mondo a una “congiuntura” critica. Contributo all’individuazione di qualche categoria interpretativa, di Luigi Vinci; Democrazia, conflitto e bonapartismo postmoderno nella transizione italiana, di Stefano G. Azzarà; 3. La crisi, le ideologie e la comunicazione La crisi nella rappresentazione dei media, di Fabio Giovannini; 4. La crisi e la classe operaia Ricostruire il sindacato, di Fabrizio Tomaselli; Occupazione e diritti negati: il peso della crisi sui lavoratori, di Gianni Pagliarini; 5. I comunisti nel mondo Che significa oggi internazionalismo”, di Domenico Losurdo; Il nuovo concetto strategico della NATO, di Manlio Dinucci; Dall’euro all’Europa, di Jacopo Venier; Il socialismo del XXI secolo è una grande opportunità per l’America Latina, di Fabio Amato Marxismo Oggi 2008/3 In tema di finanze e di mercato Editoriale Interventi Spe salvi facti sumus, di Tiziano Tussi Sulla circolazione di Lukács in Brasile e in Argentina, di Miguel Vedda; Scuola pubblica e laicità: un rapporto sempre più compromesso, di Maria Carla Baroni; Saggi Scienza, cultura e classi sociali, di Arturo Hermann; Dossier: In tema di finanze, intervento pubblico e crisi del mercato Capitale e mercato mondiale, di Antonino Barbagallo; La crisi attuale e il significato di Marx, di István Mészáros; Quando si scoperchia la pentola del capitalismo, di Georges Labica; Stato, attività finanziaria pubblica e funzione impositiva: alcune riflessioni, di Mario Cermignani; Documenti Quarant’anni fa a Praga: l’esperienza di un sovietico, di Aleksander Droban; Quarant’anni fa a Tlatelolco: io c’ero, di Nunzia Augeri; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini; Lettere alla redazione Marxismo Oggi 2008/2 Il nietzscheanesimo di sinistra Editoriale Unitari per tre, di Severino Galante Interventi Violenza, terrorismo e dialettica del male, di Ugo Dotti; Togliatti a Croce: una lettera, di Edio Vallini; Saggi Il sistema comunitario e il principio di autocritica, di István Mészáros; Dossier: Il nietzscheanesimo di sinistra a cura di Stefano G. Azzarà Era pur sempre un distruttore della ragione, di Kurt Flash; Rileggere Nietzsche, di Jan Rehmann; Nietzsche al di là dell’innocenza, di Aymeric Monville; Il nietzscheanesimo postmodernista, di Jan Rehmann; Nietzsche da destra e sinistra, di Stefano G. Azzarà; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2008/1 Nel cantiere delle opere di Marx ed Engels Editoriale Interventi Antonio Gramsci: per un marxismo non travolto dall’utopia, di Emiliano Alessandroni; Heidegger fra filosofia e storia contemporanea, di Nicolas Tertulian; Il Marx immaginario di Giovanni Sartori, di Antonino Barbagallo; Saggi Dopo “Storia e coscienza di classe” Lukács negli anni della stabilizzazione relativa, di Guido Oldrini; Novità dalla MEGA a cura di Roberto Fineschi Piano generale della MEGA2; La MEGA2 e dintorni, di Giovanni Sgro’; Marx e la MEGA nel dibattito anglofono. Il dibattito “aperto” dell’International Symposium on Marxian Theory, di Tommaso Redolfi Riva; La ripresa delle “Opere complete” di Marx ed Engels (MEOC) e la Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA), di Roberto Fineschi; I volumi XXII e XXXI della MEOC, di Giovanni Sgro’; Documenti Tibet ideale e Tibet reale, di Domenico Losurdo; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2007/3 Violenza e non-violenza Editoriale I comunisti a Mosca, di Jacopo Venier; Interventi Libera Chiesa…, di Roberto Fineschi; La normalizzazione della filosofia e la dialettica del neo-illuminismo, di Alessandro Savorelli; Saggi Non-violenza e resistenza, di Georges Labica; Spettri del potere e fughe dalla storia: per una critica al paradigma della non-violenza, di Toni Muzzioli; Che cosa succede in Brasile? Lula, l’unanimità nazionale, di Sergio Lessa; Documenti Per il 7 novembre, di Mario Vegetti; Dossier Mahler, oltre l’ordine musicale esistente, di Luigi Pestalozza; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2007/2 La Rivoluzione d’Ottobre e la fine dell’URSS Editoriale Interventi Storiografia del colonialismo fascista, di Fabio Gentile; La Rivoluzione d’Ottobre novant’anni dopo, di Libero Traversa; Saggi Per una nuova economia, di István Mészáros; Dossier: La Rivoluzione d’Ottobre e la fine dell’URSS La Rivoluzione d’Ottobre e la fine dell’URSS, di Andrea Catone; La leggenda nera dell’antisemitismo di Stalin, di Domenico Losurdo; Le contraddizioni del “socialismo reale” nell’Unione Sovietica, di Cristina Carpinelli; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2007/1 Venti anni dell’Associazione Culturale Marxista (1987-2007) Editoriale Università per la cultura, di Mario Vegetti; Interventi Di sunniti, sciiti e altri ancora…, di Nunzia Augeri; Filosofia e realtà, di Mario Vegetti; Partito democratico e identità socialista, di Fulvio Papi; Partito democratico o ricostruzione della sinistra italiana?, di Antonino Barbagallo; Saggi La crisi strutturale della politica, di István Mészáros; Marx e la schiavitù: prospettive di indagine, di Paolo Tedesco; Documenti 1987-2007: venti anni dell’Associazione Culturale Marxista, a cura di Libero Traversa; Psicoanalisi e marxismo: un dossier monco, di Adriano Valtolin; Novità dalla MEGA a cura di Roberto Fineschi La MEGA-impresa Dossier: Rosa Luxemburg tra economia e politica Interventi di Rina Gagliardi, Paola Pellegrini, Riccardo Bellofiore; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi, 2006/2-3 A 150 anni da Freud. Psicoanalisi e marxismo Editoriale Produzione, consumo, centralità del consumatore, di Grazia Paoletti; Interventi Borghesia buona e buona classe operaia, di Bruno Casati; La democrazia rappresentativa è impossibile?, di Ernesto Dedò; Saggi Alienazione e disalienazione: un confronto Lukács-Heidegger, di Nicolas Tertulian; Bolivar e Chavez: lo spirito di determinazione radicale, di István Mészáros; Dossier: Nel 150° anniversario della nascita di Freud. Psicoanalisi e marxismo a cura di Adriano Voltolin Presentazione, di Mario Vegetti; La “nobiltà bastarda” del soggetto freudiano, di Adriano Voltolin; Antropologia freudiana e marxiana: un difficile incontro, di Sergio Marsicano; Nodi piani, di Mario Cirlà; L’anima e la merce: da i “Misteri di un’anima” (Geheimnisse einer Seele) a “Matrix”, di Alessandro Studer; Freud, Marx e la soggettività alienata, di Franco Romanò; Un’ipotesi “sessantottesca” del Sessantotto, di Enzo Morpurgo; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini; Lettere alla redazione Marxismo Oggi, 2006/1 Passato e presente della dialettica Editoriale Elezioni libere. Ma gli elettori?, di Mario Vegetti; Interventi La pianificazione come necessità di superare il cattivo uso del tempo da parte del capitale, di István Mészáros; Noi e loro, di Nunzia Augeri; Saggi La Comune di Parigi: fraintendimenti e necessità, di Tiziano Tussi; Dialettica dell’identità, di Stefan Gandler; Dossier: Passato e presente della dialettica Storia e storie di “dialettica”, di Alberto Burgio; In che senso è dialettica la teoria marxiana del capitale?, di Roberto Fineschi; Dialettica e immanenza da Labriola a Gramsci, di Fabio Frosini; Lukács e i dilemmi della dialettica marxista, di Guido Oldrini; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2005/3 Osservatorio internazionale Editoriale Osservatorio internazionale, di Mario Vegetti; Interventi Il socialismo in Vietnam, di Enrico Lobina; Note sulla teologia della liberazione, di Edio Vallini; Il marxismo e la tecnica, di Antonino Barbagallo; Saggi L’azione collettiva e la mondializzazione capitalistica, di André Tosel; Forma-partito e Internazionali operaie, di Domenico Moro; Dossier: Democrazia, Costituzione e transizione Un caso di transizione anomala: Tangentopoli, di Gianmario Cazzaniga; Uguaglianza e transizione costituzionale, di Luigi Pestalozza; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2005/2 Democrazia, Costituzione, transizione Editoriale Concentrazione bancaria e liberalizzazione dei mercati finanziari: l’arretratezza italiana, di Andrea Fumagalli; Interventi Annuntio vobis gaudium magnum: habemus papam. Ratzinger a Roma via Friburgo, di Roberto Fineschi; Engels e la rivoluzione industriale, di Antonino Barbagallo; Marx Superstar, di Libero Traversa; Saggi L’educazione oltre il capitale, di István Mészáros; Dossier: Democrazia, Costituzione, Transizione Introduzione di Mario Vegetti; Alla democrazia attraverso la Costituzione repubblicana, di Sergio Pastore; Fascismo, fascismi, di Alberto Burgio; Mondializzare la democrazia: ideologia del mercato o liberazione?, di Georges Labica; La questione della democrazia nelle società di transizione: il caso sovietico, di Andrea Catone; Una transizione contro la Costituzione, di Severino Galante; Interventi di Grazia Paoletti, Paola Pellegrini, Domenico Moro, Carlo Benedetti; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2005/1 Lo sperimentalismo nell’arte e il comunismo Editoriale Interventi Svuotamento bonapartistico della democrazia, di Domenico Losurdo; La Cecenia, un Vietnam in Europa, di Ugo Dotti; Pensar male si fa peccato ma ci si azzecca sempre, di Tiziano Tussi; Ds e Prc: due congressi senza memoria, di Libero Traversa; Democrazia nei luoghi di lavoro e rappresentanza politica della classe lavoratrice, di Rolando Giai Levra; Engels e la rivoluzione industriale, di Antonino Barbagallo; Saggi Critica della cittadinanza: Marx e la “Questione ebraica”, di Eustache Kouvélakis; Forme e problemi del modernismo nel cinema, di Guido Oldrini; Dossier: La musica in Unione Sovietica: cronaca di un viaggio Introduzione: La cronaca, di Luigi Pestalozza; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2004/3 La democrazia come problema del nostro tempo Editoriale Democrazia e violenza nell’età dell’imperialismo, di Mario Vegetti; Saggi Ancora una filosofia della storia?, di Alberto Burgio; Dossier: La democrazia come problema del nostro tempo La democrazia, prodotto instabile, di Oliviero Diliberto; Interventi di Nunzia Augeri, Quinto Bonazzola, Luciano Canfora, Maria Carazzi, Bruno Casati, Lidia Cirillo, Armando Cossutta, Raffaele De Grada, Ugo Dotti, Paolo Favilli, Iring Fetscher, Ruggero Giacomini, Gaspare Jean e Simona Castano, Solange Mercier-Josa, Nerio Nesi, Gianfranco Pala, Fulvio Papi, Luigi Pestalozza, Giuseppe Petronio, Nicolas Tertulian, Libero Traversa, Corrado Vivanti; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi, 2004/2 Labriola, Gramsci e i contrasti Lukács-Adorno Editoriale Interventi Il cinema italiano fra Liberazione e recupero della memoria, di Mino Argentieri; Sulla democrazia che non c’è, di Libero Traversa; La scuola non deve essere luogo di emergenza dello Stato, di Tiziano Tussi; Saggi Gramsci detenuto, il PCI e la Russia sovietica, di Ruggero Giacomini; Su alcuni problemi attuali della democrazia, di Georges Labica; I comunisti e la storia delle rivoluzioni socialiste del Novecento. Una questione da archiviare?, di Andrea Catone; Adorno-Lukács, polemiche e malintesi, di Nicolas Tertulian; Dossier: Antonio Labriola economista Introduzione, di Francesco Cerrato; Labriola lettore degli economisti, di Jean-Pierre Potier; Labriola e il mutamento di paradigma nell’economia politica, di Paolo Favilli; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi, 2004/1 Walter Benjamin: continuità e discontinuità della storia Editoriale Sweezy, un marxista negli USA, di Roberto Fineschi; Interventi Resistenza e antifascismo, di Tiziano Tussi; A proposito di riflessioni su 50 anni di lotta per la democrazia e la pace, di Stefano Garroni; Saggi Il “lavoro immateriale”: Negri, Lazzarato e Hardt, di Sergio Lessa; L’Occidente anfibio. Per una lettura polisemica del mondo contemporaneo fra tradizione liberale e giacobino-socialista, di Paolo Ercolani; Il cinema dei paesi socialisti europei del dopoguerra, di Guido Oldrini; Dossier: Walter Benjamin: continuità e discontinuità della storia Perché l’angelo della storia guarda indietro?, di Stefan Gandler; Sul concetto di Jetzteit. Freud e l’Angelus novus, di Adriano Voltolin; Materialismi storico e palingenesi della storia in Walter Benjamin, di Stefano G. Azzarà; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi, 2003/3 Economia, scienza, storia ieri e oggi Editoriale Euro e dollaro: considerazioni sulla geografia dell’impero, di Andrea Fumagalli; Interventi Dialettica engelsiana e rilancio del marxismo, di Antonio Barbagallo; Saggi La natura umana è incompatibile con il socialismo?, di Eftichios Bitsakis; La teoria economica del socialismo di Vilfredo Pareto e il pensiero di Marx, di Luca Michelini Dossier: Antonio Gramsci sul surrealismo e le avanguardie di E. Sanjuan jr. Gramsci oggi, di Francisco Fernandez Buey; La rivoluzione storica dello Stato, di Sabine Kébir Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2003/2 Marxismo e verità Editoriale A proposito di riformismo, di Libero Traversa Interventi Decadenza economica USA e tendenza alla guerra, di Domenico Moro; Il dibattito su Nietzsche, di Caterina De Bortoli; Il Brasile di Lula, di Sergio Lessa Dossier: Stalin nella storia del XX secolo Introduzione di Emanuela Susca; La Costituzione dell’Unione Sovietica del 1936, di Hans Heinz Holz; Convegno internazionale: marxismo e verità. Problemi attuali della filosofia e della cultura Sul metodo ontologico-genetico in filosofia, di Nicolae Tertulian: Marx e la critica all’organicismo liberale, di Domenico Losurdo; Marxismo, empirismo, materialismo, di Mario Cingoli; Considerazioni marxiste sull’America, su Cartagine e su Manzoni, di Ugo Dotti; Marxismo e innovazione: il problema della storia in Italia fra fine Ottocento e Novecento, di Paolo Favilli; Presupposti e intendimenti della critica estetica marxista, di Guido Oldrini; Il comunismo e la musica in Italia 1945-2003, di Luigi Pestalozza Alcuni aspetti dell’odierna lotta ideologica, di Georges Labica; Il Capitale dopo la nuova edizione storico-critica (MEGA 2). Pubblicazione e teoria, di Roberto Fineschi Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2003/1 Lo stato dell’edizione critica delle opere di Marx ed Engels Editoriale di Mario Vegetti Interventi La caduta tendenziale del saggio di profitto e i compiti dell’economia critica. Percorsi gramsciani di critica dell’economia politica, di Antonio Barbagallo; Gli equivoci dell’authorship in rapporto con il cinema di Hollywood, di Guido Oldrini; Saggi “Comunismo moderno” versus nostalgia della comunità, di Stefano G. Azzarà; Dossier: sul concetto di democrazia oggi Interventi di Iring Fetscher e Lidia Cirillo; Documenti Novità dalla Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA). La grande edizione storico-critica va avanti, di Roberto Fineschi e Malcolm Sylvers Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi, 2002/3 Come è cambiato il mondo del lavoro da Marx a oggi Editoriale Come il fieno per il bue, di Giorgio Lunghini; Interventi La classe operaia, l’organizzazione del lavoro, la fabbrica, di Rolando Giai Levra; Saggi Dinanzi al processo di globalizzazione: marxismo o populismo?, di Domenico Losurdo; Come è cambiato il lavoro da Marx a oggi: interventi di Mario Vegetti, Gianmario Cazzaniga, Andrea Fumagalli, Nerio Nesi, Claudio Caron; Dossier: Sul concetto di democrazia oggi Interventi di Gianfranco Pala, Ruggero Giacomini, Nicolas Tertulian, Solange Mercier-Josa, Nerio Nesi, Nunzia Augeri, Paolo Favilli; Marxismo Oggi: indice dei sommari Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi 2002/2 Sul concetto di democrazia oggi Editoriale 15 anni dell’Associazione culturale marxista, di Luigi Pestalozza; Interventi Gli sfruttati latinoamericani alla luce del marxismo, di Antonino Infranca; Note sul concetto di “nevrosi collettiva” nel “Disagio della civiltà” di Freud, di Adriano Voltolin; La pedagogia dell’annientamento e la materialità delle azioni umane, di Tiziano Tussi; Saggi Marx e i guasti della democrazia americana, di Samir Amin; Dossier: Sul concetto di democrazia oggi Interventi di Ugo Dotti, Quinto Bonazzola, Libero Travesa, Luciano Canfora, Raffaele De grada, Gaspare Jean, Luigi Pestalozza, Maria Carazzi, Armando Cossutta, Bruno Casati, Fulvio Papi, Corrado Vivanti, Giuseppe Petronio; Documenti Attualità del marxismo, di Ludovico Geymonat; Siti marxisti, segnalati da Rolando Giai Levra; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Marxismo Oggi, 2002/1 Dialettica e rivoluzione Interventi L’analisi marxiana della contabilità capitalistica. Il ruolo attivo della contabilità nella moderna impresa capitalistica caratterizzata dalla separazione fra proprietà e gestione, di Antonino Barbagallo; Cosa c’è di Marx nello statuto dei partiti “eredi del PCI”, di Libero Traversa; La proposta di Holz: da Leibniz a Marx, di Stefano Garroni; Le manipolazioni filmiche del gusto, di Guido Oldrini; Saggi La dialettica della rivoluzione in Russia e in Cina: un’analisi comparata, di Domenico Losurdo; La dialettica nella filosofia contemporanea, di Vladimir I. Metlov; Compiti della dialettica materialistica, di Erwin Marquit; Nuovi spazi e nuovi ordinamenti della Repubblica e della Terra, di Emanuele Tortoreto; Documenti Alcune riflessioni: articolo 18 Statuto lavoratori. Democrazia in fabbrica tra riformismo e massimalismo, di Rolando Giai Levra; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini; Lettere alla redazione Marxismo Oggi, 2001/3 Marx nel terzo millennio Editoriale Marx nel terzo millennio – Colloquio internazionale Cronaca del Colloquio internazionale, a cura di Libero Traversa; Discorso di apertura, di Mario Vegetti; Saluto inaugurale, di Fulvio Papi; Marx: nostro contemporaneo aggiornato. Affrontando le sfide storiche del nuovo secolo, di István Mészáros; Tra economia e politica. Capitalismo, “lavoro immateriale” e “globalizzazione”, di Alberto Burgio; Marxismo nel XXI secolo. La risposta teorico-politica alla nuova fase dell’imperialismo, di Hans Heinz Holz; Il comunismo come libera associazione dei produttori e il punto di vista di Marx sulle cooperative operaie, di Jacques Texier; Marx nel terzo millennio – Tavola rotonda Interventi di Luigi Pestalozza, Luciano Canfora, Domenico Losurdo, Nerio Nesi, Mario Vegetti, Jacques Texier, Guido Oldrini, István Mészáros, Karel Pomaiszl; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Discussioni e polemiche I dilemmi di “Actuel Marx” Marxismo Oggi 2001/2 Quo vadis, Europa? EDITORIALE di Luigi Pestalozza INTERVENTI Marx a Genova. Un’intervista immaginaria ma verosimile, di Libero Traversa; SAGGI Capitale transnazionale e Stati nazionali, di István Mészáros; Dossier: Quo vadis, Europa? L’Unione Europea: l’altra faccia dell’allargamento, di Nunzia Augeri Su alcuni aspetti attuali dell’allargamento dell’Unione Europea, di Hans Modrow L’Unione Europea e i paesi dell’Europa centrale e orientale: una prospettiva di sinistra, di Eugen Faude, Hans Watzke, Kurt Fenske Tendenze e strategie dell’integrazione dei paesi d’Europa orientale nell’Unione Europea, di Lászlo Andór DOCUMENTI Si può ancora progettare il futuro? (Tavola rotonda in occasione della pubblicazione del libro di Alberto Burgio “Strutture e catastrofi”), a cura di Mario Vegetti; Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini; Lettere alla Redazione Nunzia Augeri "Quo vadis, Europa?", domandava il ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer nel suo discorso che l'anno scorso rilanció la discussione sui destini del continente. Almeno dal punto di vista geografico, la risposta è chiara: l'Europa va ad est, verso i paesi dell'antico Patto di Varsavia, oggi tutti candidati a entrare nell'Unione Europea. A quali condizioni e con quali contraddizioni, è un'analisi che si cerca faticosamente di portare avanti, fra ottimismi di maniera e pessimismi più o meno giustificati, fra aspirazioni e rifiuti. La sinistra - le sinistre nazionali e quella che già si definisce europea - non puó sottrarsi a questo compito, per quanto difficile e complesso. Hans Modrow Lo studio "Considerazioni critiche sull'adesione dei paesi d'Europa centrale e orientale all'Unione europea - una prospettiva di sinistra" è stato preparato su incarico del gruppo della Sinistra europea/Sinistra verde nordica (GUE/NGL) del Parlamento europeo, ed è stato discusso il 29 ottobre 2000 alla presenza degli autori di alcuni contributi. 1. Esiste un'ampia convergenza sulla tesi che il processo di adesione va considerato nelle sue connessioni storiche. La Commissione e il Presidente Prodi lo eludono. Per Prodi l'allargamento significa restituire all'Europa la sua unità. Ma non si fa parola delle ragioni per cui questa unità non è esistita dopo il 1945, e che tipo di unità esistesse prima del 1945, con gli accordi di Monaco e la seconda guerra mondiale, e quale ruolo abbiano svolto Yalta e Postdam nel corso del dopoguerra. 2. Lo strumento principale del processo di allargamento e il principale mezzo di pressione dell'UE nei confronti dei paesi candidati è la completa adesione a tutto l'acquis comunitario, cioè al complesso di leggi, direttive, regolamenti, disposizioni, standards eccetera – in tutto un corpus di 80.000 pagine – che deve esser totalmente recepito. Particolarmente in materia di Politica agricola comune (PAC) si avanzano apertamente delle richieste ai paesi candidati, sia in materia di rapporti di proprietà che di strutture produttive e quote di mercato. Negli Stati che aspirano a diventare membri dell’Unione, l’agricoltura ha un’importanza particolarmente rilevante sia per il numero di addetti che per la quota di PIL. Si vieta però ogni paragone con le medie europee, e i paragoni si fanno solo con paesi come il Portogallo, la Spagna o la Grecia… 3. Un problema mai discusso a fondo nel nostro Gruppo è la questione se la sinistra debba essere a favore o contro l'ingresso di tutti i paesi d’Europa centrale e orientale. Singoli deputati europei o anche interi gruppi parlamentari sono fondamentalmente antieuropeisti e perciò contrari all’ingresso di altri Stati. Altri invece vedono le crescenti contraddizioni del processo di adesione, ma non vedono alternative accettabili. 4. La Commissione ha riconosciuto la legittimità delle esitazioni e dei timori che le regioni europee di confine nutrono nei confronti dell’allargamento. Per questo bisogna elaborare analisi e soluzioni particolari per ogni territorio e metterle rapidamente in atto. Né la struttura dei mezzi di sostegno né la distribuzione dei mezzi di qua e di là della frontiera corrispondono alle esigenze urgenti delle regioni europee. 5. Anche se la Commissione europea annuncia per l’ennesima volta una strategia nuova o pretesamente tale, risulta del tutto evidente il dilemma in cui si trova. Il Vertice di Nizza ha risvegliato nei paesi candidati le speranze di un ingresso rapido e relativamente privo di difficoltà, mentre il Consiglio da parte sua ha evitato di parlare di date precise. Per quanto riguarda i contenuti e gli obiettivi del processo, il Vertice ha apportato scarsi contributi sostanziali, giacché i capi di Stato erano completamente impegnati a mercanteggiare quote di potere e di influenza. Nel Parlamento europeo il trattato di Nizza ha rafforzato i dubbi sulla capacità dell’Unione di organizzarsi per accogliere i nuovi membri. - l’allargamento dell’Unione europea in direzione dell’Europa centrale e orientale, ma anche il suo orientamento rispetto ai Balcani, ha seguito la logica della guerra fredda, di sottrarre quegli Stati alla presa dell’Unione Sovietica. L’estensione a est della NATO rende evidente la componente militare di questa strategia, del tutto contraria a un aperto e fiducioso partenariato con la Russia e gli altri Stati della CSI. Eugen Faude, Hans Watzke, Kurt Fenske In vista delle probabili conseguenze dell'intero processo di unificazione e di adesione, nessuno Stato membro vorrà assumersi la responsabilità di far fallire i negoziati per l'espansione a est. Esiste peraltro un notevole pericolo che a Nizza si dia maggiore priorità al rispetto dei tempi piuttosto che alla sostanza dei risultati: con ogni probabilità ci si puó attendere che il progetto di espansione proceda senza entusiasmo. Non si possono peraltro trascurare ulteriormente le incrinature emerse nell'unità europea. Un esempio ne è l'astensione registrata alle elezioni per il Parlamento europeo del 1999. Anche la distribuzione delle responsabilità fra l'Unione e gli Stati membri è sottoposta a tensioni molto gravi. E' prevedibile che nell'Unione emergano dei conflitti fra membri che sono tradizionalmente contribuenti netti, cui verrà chiesto di pagare ancora di più, e paesi che sono invece riceventi netti e che sono destinati a perdere parte dei loro sussidi se i nuovi membri dovranno ricevere il più possibile in futuro. I negoziati di adesione sono già caratterizzati dalla lotta per spartirsi risorse sempre minori. La ragione per cui non si intravvede alcuna soluzione a tutti questi problemi risiede nel fatto che l'Unione europea non ha ancora dato una risposta alle questioni sulla sua identità, la sua estensione e la sua profondità. Non si puó trascurare che al centro del dibattito non sta il mantenimento dell'unità generale, ma il mantenimento e l'espansione dell'influenza e del potere dei singoli governi entro le istituzioni della Comunità. Non sono ancora state tratte le lezioni che emergono dalle elezioni europee, dalle dimissioni della Commissione Santer, dal declino dell'accettazione delle decisioni europee e dalla loro insufficiente legittimità. La politica attuata dalla maggior parte dei governi europei si basa sul presupposto che la riforma istituzionale è necessaria soltanto per via dell'imminente allargamento dell'Unione. Ma dal punto di vista della Sinistra, le riforme sono necessarie non solo per accogliere i nuovi paesi membri e per mantenere la piena funzionalità e la capacità decisionale dell'Unione nel processo di ampliamento, ma anche per correggere il deficit generale di democrazia nelle strutture dell'Unione. I Trattati di Amsterdam hanno accordato alcuni diritti di codeterminazione al Parlamento europeo, ma si è ancora molto lontani da una generale partecipazione democratica dei popoli che vivono nell'Unione ai processi decisionali europei. La mancanza di legittimità democratica determina il calo di interesse dei cittadini rispetto alla soluzione dei problemi che i paesi membri dell'Unione devono affrontare. I popoli sono sempre più coscienti delle crescenti contraddizioni che esistono fra l'impatto sostanziale delle decisioni comunitarie sulla loro vita quotidiana, specialmente per via del mercato comune e dell'unione monetaria, e – d'altra parte – la quasi completa mancanza di possibilità di incidere sulle politiche e sulle strutture dell'Unione, da parte dei cittadini. Una maggiore possibilità di partecipazione per i cittadini implica che in caso di decisioni di fondamentale importanza, come per l'ampliamento dell'Unione europea, vengano indetti referendum in tutti i paesi membri. La partecipazione delle ONG, di gruppi organizzati dai cittadini, dai sindacati, dalle associazioni femminili e altre organizzazioni nei processi decisionali dell'Unione è assolutamente essenziale. Dal punto di vista della Sinistra risulta inammissibile che con il pretesto del principio di sussidiarietà si giustifichino e si applichino politiche sociali di tipo reazionario, nonché misure che danneggiano i consumatori e l'ambiente. Per garantire decisioni tecnicamente valide e coerenti con gli interessi dei cittadini, bisognerebbe formularle ai livelli dove risultano più efficaci e significative. L'interrelazione fra democrazia e sussidiarietà resta valida solo se da una parte l'Unione europea assicura standard minimi e dall'altra gli Stati e le regioni hanno il diritto di mantenere o di attuare regolamentazioni che vanno oltre il minimo. Specialmente in vista dell'adesione dei PECO, non bisogna abusare del principio di sussidiarietà annullando situazioni favorevoli di tipo ambientale e sociale mediante – per esempio – la deregolamentazione del mercato del lavoro. Il rafforzamento della democrazia rappresentativa esige in particolare che si accordino maggiori diritti al Parlamento europeo e maggiori responsabilità ai parlamenti nazionali in materia di integrazione europea. E' assolutamente necessario che il Parlamento abbia maggior peso nei processi decisionali e legislativi: esso deve avere gli stessi diritti del Consiglio in tutti i campi in cui il Consiglio decide a maggioranza. Inoltre il Parlamento deve acquisire il diritto di iniziativa legislativa e in futuro dovrà approvare tutte le modifiche dei Trattati, nonché eleggere il Presidente della Commissione e tutti i Commissari. Le elezioni europee dovranno svolgersi sulla base di principi e procedure comuni. E andranno sostanzialmente rafforzati i diritti del Parlamento europeo rispetto alla Commissione e ai Commissari. Allo scopo di rafforzare la legittimità democratica dell'UE è più che mai necessario dare particolare rilievo al Parlamento, in quanto esso è l'unica istituzione europea eletta dai cittadini dell'Unione. Il Parlamento europeo dovrebbe assumere almeno tre funzioni: Per quanto riguarda la funzione legislativa, si dovrebbe estendere la procedura di codecisione a tutte le procedure legislative che richiedono il voto a maggioranza del Consiglio. Nei settori che toccano più direttamente la vita dei cittadini – come la protezione dei consumatori, la salute e la politica sociale – il Parlamento europeo dovrebbe avere il diritto di iniziativa legislativa. Come "camera dei cittadini" il Parlamento dovrebbe acquisire maggiore importanza rispetto al Consiglio, "camera dei governi". Infine il Parlamento deve svolgere un ruolo più importante nel processo di allargamento. Alla fine dei negoziati di adesione, il Parlamento dovrà esprimere il suo consenso con un voto a maggioranza qualificata, per procedere alla ratifica dei trattati di adesione. Procedure di ratifica di questo tipo dovranno svolgersi nei parlamenti di ogni Stato membro e di ogni paese candidato. In vista dell'ingresso dei nuovi Stati membri, il Parlamento europeo sta compiendo ogni sforzo per essere trattato come partner su un piede di parità. Esso considera conveniente che le sue commissioni parlamentari si consultino con delegazioni del paesi candidati allo scopo di garantire continuità di impegno per lo sviluppo democratico. Grazie alle insistenze del Parlamento europeo, nei primi anni 90 sono state create le delegazioni interparlamentari miste. La rete di queste delegazioni rappresenta la struttura principale per il dialogo parlamentare con i paesi candidati. In genere queste delegazioni si riuniscono due volte l'anno, una volta nell'Unione e una volta nel paese interessato. Ogni delegazione ha un presidente, un co-presidente e due vicepresidenti; esse hanno un forte profilo pubblico specialmente nei paesi candidati e rappresentano un forum importante per lo scambio di opinioni, in quanto le riunioni coprono un ampio spettro di materie di comune interesse, molte delle quali veramente delicate. Le Delegazioni interparlamentari sono quindi un luogo importante dove imparare a conoscersi, e inoltre rappresentano uno dei rari forum democratici in cui i cittadini dell'Unione e degli Stati candidati sono rappresentati da delegati eletti direttamente. Già nel corso del processo preparatorio, le indicazioni di base per la politica del Parlamento europeo nei confronti dell'Europa orientale sono state delineate dalla Commissione per gli affari esteri, la sicurezza e la politica di difesa. La Commissione è responsabile "dell'inizio, del controllo e del completamento dei negoziati di adesione all'Unione". In materia di allargamento questa Commissione svolge un ruolo di punta rispetto a tutte le altre Commissioni parlamentari. La Commissione ha nominato un relatore per ogni paese candidato; tali relatori sono incaricati di informare il Parlamento europeo sugli sviluppi politici, sociali ed economici dello Stato candidato di cui si occupano. Le loro relazioni devono essere approvate dalla Commissione prima di essere adottate dal Parlamento in seduta plenaria. Dato che queste relazioni si focalizzano sui progressi compiuti in materia di criteri di Copenaghen, esse rappresentano un valido contrappeso all'atteggiamento della Commissione, che ogni anno presenta anch'essa una relazione sui progressi compiuti dagli Stati candidati. Una nuova procedura è iniziata nella primavera dell'anno 2000, quando la Commissione per gli affari esteri ha iniziato a presentare le proprie relazioni all'approvazione della sessione plenaria indipendentemente e prima che la Commissione presentasse le sue. Altre Commissioni del Parlamento europeo si occupano dell'allargamento nei settori per i quali esse sono direttamente responsabili. Data la complessità dei problemi, sarebbe opportuno che si creasse urgentemente una nuova Commissione parlamentare dedicata esclusivamente alle questioni dell'allargamento. E' molto probabile che le risorse finanziarie previste nell'Agenda 2000 per la preparazione e l'attuazione dell'allargamento dell'Unione risultino del tutto insufficienti data la massa di problemi relativi a tale processo. Nelle sue previsioni finanziarie la Commissione calcola i costi del processo per un ammontare di 89 miliardi di euro per il periodo 2000-2006. Un quarto di questa somma è previsto per i nuovi membri, che devono anch'essi dare il proprio contributo finanziario all'UE nello stesso periodo. Dato peró che i bilanci preventivi sono stesi sulla base di riforme del settore agricolo che vanno molto oltre le aspettative, è probabile che la questione finanziaria venga di nuovo sollevata molto presto. La pressione per l'allargamento ad est provocherà un aumento del budget dell'Unione europea. Già oggi peró si puó osservare che sotto il peso dell'estensione a est l'UE sta diventando sempre di più un'unione basata sui trasferimenti. Con ogni probabilità ció porterà rapidamente ad esaurire i margini che ancora restano in un bilancio il cui limite superiore ammonta all'1,27% del PIL di tutta l'Unione (allargata). E' da temere che la soluzione ai problemi vada trovata a costo dei contribuenti. In vista delle elezioni francesi e tedesche previste per il 2002 sarà peraltro molto difficile vendere l'idea di una "tassa di solidarietà" al pubblico dell'Unione europea. Ma sarebbe possibile anche prevedere di risolvere il problema con l'introduzione di un esplicito diritto di indebitamento per l'UE. Già adesso è chiaro peraltro che con l'adesione dei nuovi paesi aumenterà la domanda per fondi di solidarietà analoghi a quelli in uso nell'UE nella forma di Fondi di coesione. Non si puó negare questa assistenza ai nuovi membri. La trasposizione delle attuali politiche strutturali e agricole nei paesi candidati esigerà probabilmente, giá durante il primo round, un aumento del bilancio dell'UE pari almeno a un terzo del suo livello corrente. Inoltre i paesi candidati sono poveri e già rientrano fra le regioni di "obiettivo 1". Il loro prodotto nazionale lordo pro-capite è meno del 75% della media europea. Se non cambia nulla, la popolazione delle zone "obiettivo 1" aumenterà da 90 a 200 milioni. I nuovi arrivati, insieme con i paesi più poveri già attualmente membri dell'Unione, potrebbero creare una coalizione di riceventi netti che, usando del meccanismo di maggioranza qualificata, potrebbero riuscire ad ottenere contributi importanti applicando strumenti come i fondi di coesione. La cooperazione già sperimentata con i paesi candidati si è rivelata altamente redditizia per l'Unione europea. Tuttavia la popolazione degli Stati attualmente membri dell'Unione non appoggia in maniera unanime gli obiettivi ambiziosi delle élites politiche, a causa soprattutto del timore di concorrenza al ribasso, perdita di posti lavoro e ondate migratorie. In Austria e in Germania un'indagine ha dimostrato che solo una ridotta maggioranza è favorevole all'ingresso dell'Ungheria, e solo il 40% accetta l'adesione della Slovenia e della Repubblica ceca; due terzi degli interpellati rifiutano l'ingresso di Romania, Bulgaria, Polonia e Slovacchia. Esiste anche una sia pur ridotta maggioranza contraria all'ingresso degli Stati baltici. Molti che guardano all'allargamento con senso critico sono particolarmente allarmati dalle grandi differenze sociali ed economiche entro il Mercato Comune. Alcuni temono un afflusso di lavoro a buon mercato che dall'Est inonderebbe i mercati del lavoro occidentali. Una politica capace di limitare queste conseguenze aumenterebbe di molto i costi dell'ampliamento. Inoltre, esiste un forte timore che nell'Unione europea venga importata una grande instabilità politica, economica, sociale ed ecologica. Nel contesto degli accordi di associazione, l'Unione europea non ha garantito libertà di movimento alla forza lavoro dei paesi candidati. Alcuni Stati membri si sono peraltro accordati per diritti di accesso bilaterali, di cui si è servita soprattutto la Germania. Nel 1995 il 64% delle persone in età lavorativa provenienti dai paesi candidati e impiegate nell'Unione europea si trovava in Germania. Dal punto di vista economico non fa molta differenza se in Germania un posto di lavoro va perso per la concorrenza delle importazioni o a favore di un lavoratore immigrato, come succede spesso nell'edilizia. La differenza risiede nel fatto che la presenza di un lavoratore immigrato, con tutte le conseguenze sociali del caso, viene percepita in maniera più acuta, giacché le differenze di livello salariale e di standard sociale diventano più visibili quando sono accostate immediatamente l'una all'altra. Le forti differenze fra il costo del lavoro in Europa e nei paesi candidati crea enormi incentivi per il dumping sociale e per le migrazioni. Mentre nel 1997 il costo del lavoro in Germania ammontava a 47,92 DM all'ora, i costi ammontavano in Slovenia a 10,93 DM, in Polonia a 5,48 DM, nella Repubblica ceca a 4,80 DM, in Ungheria a 4,81 DM, in Romania a 1,81 DM, in Bulgaria a 1,42 DM e in Estonia a 3,67 DM. Anche prendendo in considerazione la differenza fra i rispettivi livelli dei prezzi, il costo del lavoro in Polonia e nella Repubblica ceca ammonta ancora a meno di un quarto di quello tedesco. Non sembra perció realistico dare immediatamente libertà di movimento ai lavoratori, contestualmente all'ingresso dei paesi candidati nell'Unione. Ció porterebbe probabilmente a una sostanziale ondata migratoria, sostenuta da una disoccupazione alta e probabilmente crescente nei PECO. In particolare, la forza lavoro qualificata puó contare su una ampia domanda nei paesi dell'Unione europea e l'intero mercato del lavoro europeo è del tutto aperto per loro. Questo peró potrebbe trasformarsi in un problema ancora più grande per i paesi candidati, che subirebbero un'ampia e diffusa fuga dei cervelli. Dato il basso costo del lavoro nei PECO, i settori a lavoro intensivo, poco qualificato e a basso valore aggiunto nell'UE potrebbero trovarsi sottoposti a una crescente pressione e costretti a licenziare lavoratori, dati i costi relativamente alti dell'Unione. In questi settori è spesso più redditizio trasferire direttamente la produzione nei paesi dell'est. L'aumento dei salari e dei redditi della forza lavoro nei paesi candidati si puó ottenere solo con un incremento del livello generale di produttività. Ció a sua volta dipenderà dal successo del processo di ristrutturazione. Saranno necessari vari anni, se non decenni, e la sua riuscita dipenderà in maniera decisiva dall'apporto di capitale straniero. Inoltre, date le pressioni concorrenziali dell'Occidente, i produttori dei paesi dell'Est cercheranno di compensare i loro svantaggi concorrenziali agendo sui salari. L'ampliamento fa sorgere inoltre tutta una serie di problemi specifici per le regioni europee confinanti, in particolare per le regioni orientali e/o meridionali di Germania, Austria e Italia. Qui anzitutto i prezzi bassi nel settore dell'artigianato, nelle industrie dei servizi, nell'agricoltura, nel commercio e nella ristorazione potrebbero avere effetti devastanti. Inoltre, le migrazioni di lavoratori potrebbero investire queste zone in misura molto maggiore che il resto dell'Unione. Dall'ingresso nell'Unione potrebbero derivare altri pesanti fardelli per i paesi dell'Est, in particolare il compito di riorganizzare l'intera gamma delle infrastrutture nelle regioni di confine (mezzi di trasporto, traffico suburbano, ambiente, energia, ed anche settori come l'istruzione e la sanità). Bisogna anche considerare eventuali conseguenze relative alla svalutazione delle proprietà e alle perdite del piccolo commercio. Per prendere in considerazione le giustificate preoccupazioni di queste zone, l'Unione europea dovrebbe stabilire un programma speciale di supporto per il periodo di preparazione e di attuazione dell'allargamento. La promozione di uno sviluppo economico regionale autosostenibile dovrebbe esserne parte. Enti regionali di sviluppo potrebbero coordinare questi processi. In particolare per i Lander della Germania dell'est l'ampliamento dell'Unione europea avrà probabilmente un forte impatto finanziario. Attualmente la Germania orientale è la più grande zona sottosviluppata dell'Unione europea e in quanto tale riceve un notevole flusso di fondi europei, peraltro destinati a cessare in caso di totale riorganizzazione a favore dei paesi dell'Est. Durante il processo di trasformazione, nei paesi dell'Est si svilupperà un modello sociale che – ancorché modellato dalle condizioni del capitalismo – tarderà peraltro a consolidarsi. Questo sistema sociale incompleto non è ancora accettato da una parte considerevole della popolazione, o almeno non in misura da identificarsi con esso. Tale identificazione è peró una premessa indispensabile per assicurare la stabilità interna e lo sviluppo a lungo termine. Le politiche di privatizzazione e di ristrutturazione dell'economia negli Stati candidati sono state e sono determinate unilateralmente dagli interessi egoistici del capitale. I danni provocati nella sfera economica, politica, etica e spirituale avranno effetti durevoli, e ció determina un latente problema di sicurezza per l'Unione europea nel corso di questo processo. L'allargamento dell'UE è sicuramente destinato a rafforzare la pace e la sicurezza in Europa e particolarmente negli Stati che stanno per entrarvi. Ma esiste d'altra parte il pericolo che il dibattito sull'adesione all'Unione spacchi profondamente le società di quei paesi e che le delusioni sulla democrazia e l'economia di mercato si intreccino con le paure per l'ingresso nell'Unione. L'amalgama di interessi e sentimenti antioccidentali, nazionalistici, tradizionalisti e anticapitalisti potrebbe sviluppare un influsso fatale sulle giovani democrazie. Non si tratta di un fenomeno specifico dell'Europa centrale e orientale, ma lo si puó osservare in parte anche nei paesi d'Europa occidentale. Nei paesi candidati peraltro vi si sommeranno i problemi specifici della transizione: nuova povertà, disoccupazione, diminuzione delle entrate, crescente diseguaglianza – e questo sullo sfondo di tradizioni egalitarie e di speranze euforiche. Ulteriori problemi sorgono poi dalla tendenza allo sviluppo diseguale e dai contrasti di interesse in materia di politica estera e di sicurezza. In parte assumono il carattere di contraddizioni; attualmente questo potenziale conflittuale viene attutito nello sforzo comune che tutti questi Stati stanno compiendo per aderire all'Unione europea. Ma il potenziale è sempre presente e puó essere sfruttato da parti interessate, per raggiungere i propri fini. Primo: data la straordinaria importanza dell'allargamento a est dell'Unione europea, la Sinistra europea deve prendere posizioni precise su questo progetto. Sesto: nel processo di ampliamento a est la Sinistra deve considerare anche la dimensione sociale come esigenza strategica di importanza fondamentale (contro il capitalismo selvaggio, il dumping sociale, la fuga dei cervelli, la produzione a salari bassissimi ecc.). La prevenzione di gravi conflitti sociali, una grande trasparenza e apertura del processo di integrazione, insieme con la lotta decisa contro il populismo nazionalista, il revanscismo e la xenofobia sono premesse decisive per riuscire a dominare i rischi dell'allargamento e per poterne sfruttare le potenzialità. Laszlo Andor Introduzione L'allargamento a est costituisce la maggiore sfida che l'Unione Europea deve affrontare nei primi dieci anni del nuovo millennio. Nel 1997 l'UE ha accordato a cinque Stati ex socialisti lo status di candidati all'adesione, e alla fine del 1999 altri cinque governi sono stati invitati ad iniziare i negoziati. Nello stesso tempo peró la politica europea relativa all'allargamento ha cominciato a perdere la sua coerenza. La caduta di Helmut Kohl, la guerra del Kosovo e l'ascesa di Jorg Haider hanno contribuito a destabilizzare la politica europea e il corso del processo di allargamento. Fino al 1999, l'anno 2002 era comunemente considerato come la data più probabile per l'ingresso dei primi tre stati ex socialisti d'Europa orientale. Da allora peró è diventata dubbia non solo la data, ma anche la maniera per raggiungere un accordo sui termini dell'adesione, sia alle tavole dei negoziati sia nei parlamenti che dovranno ratificare i relativi trattati. In questo documento cercheremo di analizzare per quali ragioni l'ingresso nell'UE è diventata una delle maggiori priorità per i paesi d'Europa centrale e orientale (PECO), quali sono le conseguenze del ritardo e quali i potenziali pericoli di una ulteriore incertezza. Trarremo infine alcune conclusioni politiche che crediamo inevitabili per creare una struttura più progressista per l'integrazione Est-Ovest, e favorire la stabilità e lo sviluppo in Europa. Cercheremo di mettere in luce le tendenze generali presenti nella regione, anche se la maggior parte dei nostri esempi verrà tratta dall'Ungheria, che è considerata come una delle economie emergenti più avanzate, fra quelle dei PECO. Dal punto di vista occidentale, l'Ungheria è sempre stata considerata come uno dei paesi in prima linea per l'adesione, giacché è uno dei migliori allievi - se non il migliore – in materia di riforme di mercato e restaurazione capitalistica. Questo giudizio peraltro lascia nell’ ombra le tendenze al declino sociale e alla degenerazione politica che hanno accompagnato la transizione verso l'economia di mercato. L'Unione Europea: l'unica e la sola Quando in Europa centrale e orientale inizió la transizione post-comunista, i governi occidentali e i loro rappresentanti (enti multilaterali, esperti accademici ecc.) orientarono i paesi PECO verso il mondo del capitalismo globalizzato, ispirandosi alle ideologie del monetarismo e del libero mercato. Nei dieci anni seguenti, il modello di governo emerso da questa trasformazione si è rivelato del tutto inadeguato ad affrontare le sfide dell'ambiente esterno e a soddisfare i bisogni delle rispettive società. Destabilizzazione e disintegrazione sono state le logiche conseguenze di quelle riforme. In base al discorso neo-liberale che ha guidato il corso delle trasformazione degli anni '90, le riforme di mercato e la transizione verso una democrazia rappresentativa dovevano costituire il cammino verso un rinnovamento economico e sociale. Le storie di successi che riempiono molti media occidentali si focalizzano sulle trasformazioni istituzionali, come il numero di aziende private, sulle capitalizzazione delle borse, sulla parte del settore privato nella produzione e sulla quota di esportazioni delle corporations multinazionali, invece di citare dati precisi sull'economia e sul tenore di vita. Se si presta attenzione a questi ultimi, si trova che nell'esperienza dei popoli d'Europa centrale e orientale l'ultimo decennio ha costituito un periodo di costante declino, se non di collasso, con scarse probabilità di uscirne in tempi rapidi. Se nella seconda metà degli anni 90 si è sperimentata una certa ripresa economica, non ne è necessariamente derivato un miglioramento a livello sociale. Naturalmente, si tratta di una tendenza regionale le cui radici risalgono a prima del 1989. Joseph Schumpeter sarebbe molto sorpreso di vedere quanto poco creativa sia stata la distruzione del sistema socialista statale in quella zona. Il COMECON venne abolito nel 1991 perché i riformatori d'Europa centrale pensavano che non costituisse alcun vantaggio per le loro economie. La distruzione dei rapporti commerciali lasció peraltro molte aziende prive di una domanda effettiva, e la mancanza di mercati alternativi per l'esportazione portó alla bancarotta ampi settori produttivi. Nella maggior parte dei paesi PECO, si stabilí di liberalizzare i prezzi quando erano ancora quasi intatte le grandi aziende monopolistiche statali, dando luogo a una grave inflazione. Un impatto analogo ebbe la vendita di intere industrie a un singolo proprietario straniero, come nel caso dell'industria ungherese dello zucchero e dell'olio di semi. La privatizzazione doveva essere la bacchetta magica per far risorgere le languenti economie post-socialiste, ma la maggior parte dei profitti del nuovo settore privato derivavano da vantaggi fiscali e giuridici accordati ai nuovi imprenditori e agli investitori multinazionali. La prima fase della teoria e della pratica della transizione era dominata dall'idea dei mercati globalizzati. Le politiche di liberalizzazione e di deregolamentazione vennero presentate dal Fondo Monetario Internazionale - cui i G7 avevano affidato il compito di guidare la transizione nella regione - come il movimento corretto verso le norme giuste e razionali della civiltà globale. Nell'euforia da libero mercato degli anni 89-90, le voci discordanti venivano ignorate. I teorici innovativi che proponevano alternative a quelle follie furono ridotti al silenzio e stigmatizzati, compreso il noto capitalista George Soros, che nel 1989-90 auspicava una unione regionale di pagamento e un alleggerimento su larga scala del debito. In genere, il regionalismo era estraneo all'ordine del giorno. Gli Stati federali d'Europa centrale e orientale vennero aboliti e le nuove organizzazioni regionali restarono deboli e inefficienti. Le riforme mal guidate ebbero conseguenze assai negative per le società dei PECO. Perfino gli ungheresi - in un paese fra i meno sfortunati della regione - se ne accorsero. Malgrado la ripresa economica iniziata dopo il 1996, la maggior parte del popolo ungherese si sente ancora dalla parte sbagliata della transizione. Anzitutto per la disoccupazione, che prima del 1989 esisteva solo in misura molto marginale. Il tasso ufficiale di disoccupazione raggiunse il vertice nel 1993, con il 13%, ed è rimasto appena al di sotto del 10% negli anni successivi. Ma siccome quasi la stessa percentuale di popolazione si è ritirata dalla forza lavoro attiva - in pensionamento anticipato, o per invalidità permanente o semplicemente per il ritorno al focolare - i dati ufficiali nascondono il fatto che la parte pienamente occupata della popolazione potenzialmente attiva è caduta a un livello estremamente basso, poco sopra il 52% alla metà degli anni 90. Il collasso dell'occupazione e dei redditi nelle famiglie lavoratrici ha dato luogo a una nuova povertà. Secondo il sociologo Rudolf Andorka, nel 1991 circa il 15% della popolazione ungherese viveva al di sotto della linea di povertà, e tale percentuale è aumentata fino al 35-40% dopo il 1995. La transizione si manifesta anche nei dati statistici relativi alla morte, anche se non in maniera cosí drastica come in Russia. Nei primi anni 90, la speranza di vita ha raggiunto i minimi, con 64 anni per gli uomini e 74 per le donne; i miglioramenti successivi sono stati del tutto irrilevanti. Con ritmi diversi nei diversi paesi d'Europa centrale e orientale, si è formata un'opinione generale secondo cui la partecipazione al mercato globalizzato non fornisce una struttura sufficiente per lo sviluppo e la stabilità. Anche se nei primi anni 90 non era ancora scontato che i paesi PECO potessero diventare membri dell'UE, a metà del decennio l'ambizione di aderire all'Unione era diventata evidente e diffusa. Per i governi dei PECO, aderire all'UE era l'unica strategia possibile per sfuggire al caos e all'ulteriore degrado. E questo divenne il nuovo senso comune. Nel periodo della guerra fredda, l'ideologia occidentale suggeriva che la divisione dell'Europa era artificiale ed era una conseguenza dell'imperialismo sovietico. I dissidenti e gli emigranti ricevevano appoggi dai governi, dalle ONG e perfino dai privati. Nel 1989, la regione intera divenne improvvisamente dissidente, e ció creó un problema molto più complesso per i governi occidentali e per gli Stati Uniti. Negli anni 90, la comunità occidentale, compresa l'UE, era manifestamente incline ad aiutare i paesi in transizione, e i momenti di generosità furono ampiamente divulgati da tutti i media. Di fatto, la Comunità Europea lanció il cosiddetto programma PHARE per aiutare il processo di democratizzazione e di riforma economica in Polonia e Ungheria nel 1989, prima della caduta del muro di Berlino. Furono allora firmati dei trattati di associazione con dieci paesi PECO. Vi fu successivamente un accurato esame di questi potenziali membri dell'Unione, e nel 1998 si iniziarono i negoziati di adesione con l'Ungheria, l'Estonia, la Repubblica ceca, la Polonia, la Slovenia e Cipro. D'altra parte, l'assistenza e l'incoraggiamento vennero peró accompagnati da sfruttamento e ignoranza. Perfino alcuni noti esperti neo-liberali, come Timothy Garton Ash e Jeffrey Sachs, hanno criticato l'ignoranza occidentale sui paesi PECO. I governi occidentali si sono preoccupati di aprire nuove frontiere alle loro grandi multinazionali piuttosto che di rialzare il tenore di vita e la cultura dei paesi in transizione. Gli aiuti previsti nel programma PHARE sono stati ampiamente utilizzati per preparare e favorire la marcia degli investimenti occidentali, senza alcuna preoccupazione per i bisogni sociali dei paesi interessati. Questo atteggiamento ambivalente era tipico dell'UE come di altre organizzazioni. L'UE ha stabilito accordi di libero scambio con i paesi PECO nel periodo 1991-93, quando quelle economie erano al collasso per effetto dell'austerità imposta dal Fondo Monetario Internazionale e dell'aggiustamento strutturale della Banca Mondiale. L'UE fece in modo allora di immettere ogni genere di beni di consumo e di servizi finanziari nei paesi ex Comecon, proteggendosi nello stesso tempo contro i cosiddetti "prodotti sensibili" e dal potenziale afflusso di lavoro a buon mercato. I paesi dell'Unione Europea hanno cosí formato un enorme surplus commerciale nei confronti dell'Europa centrale e orientale, inclusa l'Ungheria, il cui cronico deficit corrente è stato compensato solo dall'afflusso di capitale straniero. La distruzione dell'agricoltura ungherese nei primi anni 90 è stato un caso tipico di ignoranza e superficialità; si pensava allora che le inevitabili perdite venissero rapidamente compensate dal prossimo ingresso nell'UE. Con grande ottimismo circa le possibilità di adesione, il governo pensava che il sacrificio di un settore in buona salute fosse un prezzo che comunque valeva la pena pagare per l'amicizia dell'occidente. Il governo ungherese di destra di allora non si vergognò affatto di adottare una politica agricola disastrosa, che distrusse il sistema di aziende agricole statali e collettive ed eliminó un terzo della produzione agricola del paese, proprio quando i problemi commerciali dell'Est raggiungevano il loro apice. Nel 1994 i paesi dell'est cominciarono a presentare la loro richiesta di adesione all'Unione Europea, senza peraltro sapere quando si sarebbe concretizzata. Mentre una gran parte delle misure di aggiustamento erano giustificate in rapporto alle esigenze europee, la data del futuro ingresso nell'UE venne rimandata di anno in anno. Per esempio, nel 1990 il primo ministro ungherese pensava che si sarebbe realizzato nel 1996. Quando un altro primo ministro presentó la domanda di adesione nel 1994, la data prevista era il 1998. Dopo il Vertice di Essen del 1994, un terzo primo ministro stabilí che l'adesione si sarebbe compiuta nel 2002. Alla fine del 1999, peraltro, anche la data del 2002 è stata tacitamente abbandonata da un quarto primo ministro. A paragone dei compiti e dei pesi della transizione, l'assistenza fornita dalla comunità occidentale ai paesi PECO si è rivelata minima e spesso non funzionale. Gli sforzi di aggiustarsi alle norme e agli standard europei sono stati una corsa contro il tempo. Come risultato della situazione, accanto alle tendenze di convergenza sono emerse tendenze divergenti. La convergenza è innegabile sotto gli aspetti istituzionali e giuridici. E inoltre si sono intensificate le relazioni di scambio, anche se questo è un aspetto più importante per i paesi candidati che non per la controparte occidentale. Negli ultimi anni poi la maggior parte dei paesi PECO - non solo quelli scelti per la prima tornata di adesioni - hanno aumentato la convergenza sui criteri monetari. D'altra parte è necessario anche mettere in luce le tendenze divergenti. Prima di tutto, il divario dei redditi fra i paesi candidati e i paesi dell'UE è aumentato invece di diminuire. Questo è dovuto in particolare alla drammatica perdita di redditi - dal 20 al 50% - avvenuta nella prima metà degli anni 90. La disintegrazione sociale e la perdita di occupazione e di reddito ha aggravato la miseria sociale nella regione, e questo è diventato un ulteriore fattore che separa i paesi PECO da quelli dell'UE (in particolare, per l'aumento della diseguaglianza, senza alcun mezzo per mitigarla). Malgrado ogni sforzo di regolazione, l'Europa centrale e orientale è rimasta indietro anche in termini ambientali. Infine - cosa ancor più interessante - dopo dieci anni dall'inizio della transizione, anche la situazione politica va valutata in termini critici. Dopo dieci anni dall'inizio della cosiddetta transizione, perfino i politici e i consulenti piú in vista agli inizi degli anni 90 hanno dovuto ammettere che l'ottimismo della nuova élite politica era ampiamente infondato, in Ungheria come nel resto della regione. Invece di raggiungere gli standards europei in termini di livello di reddito e tenore di vita, la regione ha sperimentato un declino relativo accelerato dopo il 1989. Il prodotto interno lordo è calato di circa il 20% anche nei paesi ex socialisti che stavano meglio, e solo la Polonia è riuscita a superare il livello del 1989 dieci anni più tardi, mentre l'Ungheria - come la Slovenia e la Slovacchia - è arrivata vicino al livello del 1989 solo alla fine degli anni 90. Nello stesso periodo le economie dell'UE sono cresciute, per quanto lentamente, e il divario di reddito fra i PECO e i paesi UE è aumentato. La degenerazione politica presenta per lo meno tre dimensioni. In primo luogo, l'opinione pubblica in alcuni paesi PECO, e perfino in quelli in prima linea per l'adesione come la Polonia e la Repubblica ceca, ha cominciato a distogliere il suo interesse dalla questione. La scarsa fiducia nell'UE è una diretta conseguenza della mancanza di risultati evidenti e del ripetuto e sistematico ritardo nell'adesione. In secondo luogo, in paesi in cui il crimine è diventato uno dei maggiori settori dell'economia, anche la burocrazia statale è diventata corrotta. La speranza che la corruzione terminasse con la fine della transizione si è rivelata infondata, e le nuove mafie si sono radicate in misura variabile nell'organizzazione dello Stato. In terzo luogo, il sorgere del nazionalismo - e non solo in forme violente - è un fattore che indebolisce le possibilità di una integrazione morbida. Scommettendo unicamente sull'integrazione europea - o sulla cosiddetta integrazione euro-atlantica - le forze internazionaliste d'Europa centrale e dei Balcani si sono ritrovate strette pericolosamente in un angolo. All'inizio del processo di transizione, l'internazionalismo aveva di fronte a sè maggiori opportunità, come per esempio il mantenimento di buone relazioni con l'Unione Sovietica e poi la CSI, o la creazione di nuove forme di integrazione regionale, o anche la costruzione di ponti di cooperazione con il mondo sottosviluppato. L'internazionalismo liberale, invece, proclamava che "nulla di tutto questo avrebbe potuto sostituire l'Europa" ed è riuscito a creare una situazione in cui qualsiasi aspetto negativo del processo di integrazione europea fornisce incoraggiamento ai nazionalisti. Il nazionalismo è almeno in parte la conseguenza del fallimento della transizione e di un internazionalismo unilaterale. Questo è inoltre un fattore che permette all'UE di cambiare l'equilibrio fra fattori positivi e negativi, a suo piacimento. Si consideri il caso della Slovacchia, che non fu invitata al primo tavolo di negoziati per il cattivo comportamento del suo primo ministro, Vladislav Meciar. Dato che altre nazioni possono presentare figure o atteggiamenti simili a Meciar, cresce nell'UE la tentazione di focalizzare le critiche sul campo politico, invece che sui problemi dell'armonizzazione e della convergenza economica. Il governo social-liberale ungherese, che ha trattato l'adesione all'UE come interesse nazionale prioritario, è stato sostituito nel 1998 da una coalizione di destra. I benefici dell'adesione all'Europa, previsti a lungo termine, non sono risultati convincenti per l'elettorato, rispetto ai costi a breve termine. Malgrado che l'evidente miseria sociale abbia generato una fiammata elettorale nazionalista, ció peraltro non ha minato il rispetto generale che gli ungheresi nutrono per l'Europa e l'occidente. In paragone alla Repubblica ceca, dove l'adesione all'UE non è mai stata molto popolare, o alla Polonia, dove la popolarità dell'adesione ha cominciato a discendere in picchiata nel 1999, piú di due terzi degli ungheresi sono favorevoli all'adesione all'Europa. Malgrado tutte le delusioni, per il popolo ungherese l'Unione europea rappresenta ancora la promessa di un miglior tenore di vita, e la maggior parte degli ungheresi spera di vivere come parte di uno Stato federale europeo nel prossimo millennio. Il governo di destra di Viktor Orbán deve prenderlo in considerazione. Pur vedendo nel processo di armonizzazione e di convergenza con l'UE un limite alla propria libertà politica, Orbán non ha cancellato l'adesione all'UE dall'agenda. Orbán, quando era presidente della Commissione per l'integrazione europea del Parlamento ungherese, negli anni 1994-98, si dimostró l'unico leader politico capace di criticare l'UE, affermando che il suo governo avrebbe difeso gli interessi ungheresi nei negoziati di adesione (e affermando implicitamente che il governo socialista-liberale non lo stava facendo). Di fatto esso non era affatto responsabile del rallentamento del processo di allargamento, che era invece responsabilità dell'UE (si vedano le conseguenze della caduta di Helmut Kohl, l'inefficienza delle trattative per la riforma del sistema di votazione nel Consiglio, e le decisioni di Helsinki del novembre 1999). Quel che Orban voleva garantire era che l'UE non funzionasse come veicolo di riforme progressiste in Ungheria. Per questa politica, il leader ungherese ha trovato nuovi alleati in una nuova coalizione internazionale anti-Bruxelles. L'emergere di questa nuova formazione è dovuta in larga misura all'ascesa di Jorg Haider. Il leader di destra il cui partito è diventato partner del governo austriaco di Wolfgang Schüssel ha più volte dichiarato apertamente la sua opposizione al corso attuale di integrazione europea e al prossimo allargamento a est. Il partito di Haider è riuscito a diventare la seconda forza nelle elezioni generali del 1999 a causa dell'atteggiamento generale anti-immigrazione degli austriaci, malgrado che il paese non soffra né di crisi economica né di forte disoccupazione in termini europei. Quando si formó il governo di destra, Haider dichiaró che non si sarebbe opposto all'allargamento dell'UE, ma che avrebbe richiesto che gli aspiranti membri portassero il livello dei salari reali alla pari di quelli europei. Se si prende in considerazione che negli ultimi anni in Europa si è dato per scontato che la prima tornata di adesione si sarebbe realizzata negli anni 2002-2004, e che l'Ungheria sarebbe stata nel primo gruppo, il messaggio di Haider equivale precisamente a un netto rifiuto dell'allargamento a est. Nel frattempo in Ungheria il governo di destra di Orbán si è rivelato uno dei meno critici rispetto alla nuova amministrazione austriaca. Prendendo in considerazione che l'elettorato svizzero si è spostato a destra, e che i bavaresi hanno già un solido governo di destra, stiamo assistendo all'emergere di un nuovo populismo alpino. Emerge un asse Stoiber-Schüssel-Orbán, che potrebbe evolvere verso un centro di potere alternativo a quello internazionalista di Bruxelles. Un eventuale ritorno di Silvio Berlusconi al potere in Italia rafforzerebbe una formazione di quel tipo, che diventerebbe portavoce di sentimenti xenofobi e contrari all'allargamento, dimostrando nello stesso tempo che l'Europa centrale non è in linea con i criteri politici di adesione all'UE, e chiedendone quindi la cancellazione dall'ordine del giorno degli affari europei. In questa maniera diventano evidenti i costi economici e politici da pagare per il ritardo nel processo di allargamento. Le conseguenze economiche sono tali che i paesi candidati possono non essere in grado di sostenere la sperata convergenza con i livelli occidentali senza la sostanziale assistenza esterna che hanno richiesto. Il grado di convergenza economica degli ultimi cinque anni è stato realizzato sulle rovine dell'economia socialista di stato e di tutta intera la società, e i risultati a breve termine ottenuti negli anni 90 sono stati pagati con danni notevoli in termini sociali e ambientali. Si è spesso proposto che, se i paesi candidati non si dimostrano completamente pronti per l'ingresso nell'UE, essi debbano impiegare ancora un po' di tempo nella preparazione. Questa è peraltro una logica errata. Un ulteriore ritardo nell'allargamento non faciliterebbe una miglior preparazione, ma solo l'esaurimento della convergenza finora prodotta. L'UE puó rivelarsi un ponte troppo lungo, e il processo di riforma puó implodere per la mancanza di fondamenta sociali e morali. E l'impossibilità di un consolidamento economico e sociale potrebbe costituire una causa valida per abbandonare l'idea dell'allargamento. Anche i costi politici di un ulteriore ritardo sono minacciosi. Se l'UE non compie passi decisivi verso l'allargamento in un futuro prevedibile, il risultato finale sarà l'ulteriore indebolimento delle posizioni interne delle forze internazionaliste, e alla fine l'esclusione dei paesi PECO dietro una nuova cortina di ferro ricostruita a Schengen. In questo caso, nei prossimi decenni emergerebbe una nuova divisione dell'Europa, e questa volta la responsabilità non potrebbe essere addossata a nessun Baffone. Quando l'Ungheria, la Polonia e la Repubblica ceca vennero invitate a far parte della NATO, nell'estate del 1997, si disse che l'appartenenza all'organizzazione militare avrebbe favorito, o addirittura garantito, l'adesione all'UE. In realtà peró l'appartenenza alla NATO ha contribuito a un rallentamento significativo del processo di allargamento. In primo luogo, i paesi della regione non sono più considerati indifesi: se è presente la NATO per assicurare la stabilità, i burocrati di Bruxelles non si sentono sollecitati a espandere l'Unione per la stessa funzione. In secondo luogo, l'appartenenza alla NATO significa un aumento costante delle spese militari, mentre gli stessi mezzi potrebbero venir usati per accelerare le riforme strutturali necessarie per l'adesione all'UE. E terzo, l'ampliamento della NATO ha valorizzato l'alleanza militare atlantica e il ruolo geostrategico degli Stati Uniti in Europa centrale. Ció ha incoraggiato il governo USA a imporre una soluzione violenta alla crisi del Kosovo, in seguito alla quale l'Europa centrale è diventata una zona di guerra sotto la minaccia di ulteriori ostilità. La situazione jugoslava infatti influisce pesantemente sui paesi confinanti e anche sull'Ungheria. Le potenze d'Europa occidentale hanno un'ampia responsabilità per la maniera poco felice con cui è stata condotta la crisi jugoslava. Anche se la crisi è stata isolata e messa sotto controllo, i mezzi usati non sono accettabili. Questa e altre crisi in Europa centrale e nei Balcani richiedono da parte dei governi europei una politica estera più progressista, che non solo assicuri una stabilità egemonica, ma favorisca lo sviluppo economico e sociale. L'Unione Europea e gli altri enti multilaterali coinvolti nel processo di riforma sono perfettamente in grado di prevenire ulteriori degenerazioni nelle regioni d'Europa centrale e orientale. Dall'analisi che abbiamo presentato emergono due conclusioni principali. In primo luogo, noi siamo convinti che i cosiddetti criteri di Copenaghen, fissati dall'Europa nel 1993, devono essere modificati, definendo dei criteri sociali oltre a quelli economici e politici. L'UE dovrebbe fornire assistenza non solo per la convergenza con i criteri economici e politici ma anche per quelli sociali. In secondo luogo, per creare maggiore stabilità oltre le frontiere orientali e per dare fondamenta più sicure a future inclusioni, l'UE dovrebbe migliorare in senso qualitativo la sua politica estera. Questa dovrebbe focalizzarsi non solo su una serie ristretta di questioni di sicurezza (alla maniera di Solana), ma aprirsi ad ampie aree di sviluppo economico e sociale nelle regioni d'Europa centrale e del Mediterraneo. Per iniziare un movimento in direzione di questa nuova politica, l'UE dovrebbe cambiare i termini del suo discorso nei confronti dei paesi PECO. Invece di riferirsi solo e pedissequamente ai criteri di Copenaghen, dovrebbe chiarire gli obiettivi dell'allargamento e sostenerli con nuovi strumenti, in una chiara prospettiva di progresso. DATI STATISTICI Superficie in Km2 Popolazione in milioni Disoccupazione % forza lavoro Occupati in agricolutra % forza lavoro Inflazione 1999 Capitoli chiusi su 31* Estonia 45.230 1.4 11.7 9.1 4.6 19 Lettonia 64.590 2.4 14.5 17.6 2.4 13 Lituania 65.300 3.7 14.0 21.5 0.8 15 Rep. Ceca 78.900 10.3 8.7 5.5 2.0 18 Slovac- chia 49.000 5.4 16.2 8.3 10.6 16 Polonia 312.700 38.7 15.3 25.2 7.2 16 Ungheria 93.000 10.1 7.0 7.5 10.0 19 Romania 238.400 22.5 6.8 38.1 45.8 6 Bulgaria 111.000 8.2 17.0 26.2 2.6 9 Slovenia 20.270 2.2 7.6 5.6 6.1 20 Fonte: Eurostat * La massa dell'acquis comunitario è divisa in 31 capitoli che vengono progressivamente trattati con i Paesi candidati. Più alto il numero dei capitoli chiusi, più vicino all'Europa si trova il Paese candidato. Marxismo Oggi 2001/1 La Cina e il marxismo EDITORIALE di Mario Vegetti INTERVENTI Se il PCI avesse celebrato il suo 80°, di Libero Traversa Il contributo di “Social Science in China” alla comprensione delle riforme d un decennio, di Giuseppe Regis; DOSSIER: LA CINA E IL MARXISMO Marxismo, globalizzazione e bilancio storico del socialismo, di Domenico Losurdo; Sviluppare l’iniziativa filosofica e comprendere il nostro tempo, di Li Tianying; Lo sviluppo scientifico-tecnologico e la filosofia marxista, di Hu Xinhe e Jin Wulun Il processo filosofico cinese contemporaneo e la filosofia marxista del XXI secolo, di Sun Zhengyu; Il XX secolo: l’era della rivoluzione della natura umana, di Gao Qing-Hai; SAGGI Europa di fine millennio, di Alberto Burgio Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Lettere alla redazione Li Tianying È un grande avvenimento oggi avere con noi tanti filosofi che provengono da ogni parte del mondo per partecipare a questo convegno internazionale su "La filosofia marxista e il XXI secolo", organizzato dall'Istituto di Filosofia della Accademia cinese di scienze sociali. Questo incontro vuole essere un impegno comune a riesaminare e riassumere le esperienze più importanti degli studi di filosofia marxista nel XX secolo, e prevederne il ruolo potenziale nel XXI secolo. Permettetemi di dare un affettuoso benvenuto, da parte dell'Accademia cinese di scienze sociali, a tutti i filosofi presenti, cinesi e stranieri. La filosofia è una scienza che risale all'antichità, ma che si rinnova periodicamente. La si vede quindi come la realizzazione della forma più alta di saggezza, tipica dell'umanità. In tempi tanto remoti come il periodo pre-Qin in Cina o la Grecia classica in Europa, la filosofia è sorta quasi contemporaneamente in oriente e occidente come apprendimento sistematico ampio e approfondito. Mi pare che questo fatto suggerisca nonsolo che gli esseri umani hanno bisogno della filosofia, ma che l'avvento di questa disciplina segna la maturità della razionalità o ragione umana. Negli ultimi 2000 anni circa, lo sviluppo della filosofia si è arricchito di una molteplicità di riflessioni e di mutamenti, seguendo il continuo progresso del genere umano con i suoi molteplici alti e bassi. Non si puó mai trascurare il suo significato, in quanto essa è per cosí dire "il culmine dello spirito del tempo" e "l'anima viva della civiltà". Non c'è dubbio che la filosofia marxista di cui qui ci occupiamo occupa una posizione molto importante nella storia generale della filosofia. Sorta alla metà del XIX secolo, essa da una parte è il risultato dello sviluppo delle scienze naturali e della moderna civiltà industriale, e dall'altra è frutto del pensiero e della riflessione sociale basata sulla critica e sulla necessità di trascendere il capitalismo. La sua nascita ha provocato una profonda rivoluzione nel campo della filosofia. "I filosofi – proclamava Marx – finora si sono limitati a interpretare il mondo in diverse maniere. Il problema è come cambiarlo". Questo rivela in pieno l'etica di fondo della filosofia marxista. Interpretare il mondo significa cambiarlo e giungere all'emancipazione dell'umanità. E quindi il mondo si puó interpretare meglio solo mediante la prassi del cambiamento. Tale prassi, fin dal sorgere del marxismo, giustifica il fatto in questa maniera: è l'etica di base già menzionata che ha permesso al marxismo di diventare una filosofia di inesauribile vitalità e di trasformare la fisionomia della storia del mondo. Fin dal XX secolo il destino della Cina è stato strettamente legato a quello del marxismo. La Cina, cosciente dell'importanza della scoperta del marxismo, lo ha considerato la propria guida teorica per la causa rivoluzionaria e per la ricostruzione. Si sono fatti inoltre continui sforzi per combinarlo sia con lo status quo della società cinese che con gli aspetti positivi della nostra tradizione culturale. In questo processo di combinazione il Partito comunista cinese ha messo l'accento sulla comprensione e sull'applicazione delle categorie e della metodologia marxiste piuttosto che sulla pappagallesca ripetizione delle sue formule. Al tempo del Nuovo Movimento culturale all'inizio del XX secolo, Li Dazhao cominció a promuovere in Cina l'idea del materialismo storico come elemento primario del marxismo. Ció contribuí ad aprire la nostra mentalità e le nostre prospettive, mediante l’osservazione del mondo e della storia. Nel corso poi della Nuova rivoluzione democratica cinese, negli anni 30 e 40, Mao Zedong scrisse due saggi intitolati "Sulla prassi" e "Sulla contraddizione", lanciando un attacco risoluto contro il dogmatismo e le formule che tendono a impoverire il marxismo. Ció che noi abbiamo imparato dalle esperienze sia positive che negative è molto più importante e valido, il che significa che dobbiamo essere realistici e cercare la verità nei fatti, e far funzionare la politica in base alle situazioni reali e sempre in sviluppo, sia in Cina che nel mondo. Noi abbiamo sempre considerato questo come la nostra più valida convinzione e la nostra più grande ricchezza spirituale. Nel 1978, per esempio, Deng Xiaoping appoggió un ampio dibattito nazionale sulla necessità della verità come criterio per correggere il pensiero dogmatico e stereotipo che si era radicato nel modo convenzionale di costruzione della Cina socialista. Il dibattito filosofico di questo genere continua a prestare fermo sostegno ideologico per la riforma della Cina, per la sua politica di porte aperte e per costruire un socialismo dal volto cinese. La sua importanza si esprimerà in pieno seguendo il progresso della prassi sociale del nostro paese. L'esperienza del XX secolo nella sua interezza ci ha rivelato l'infinita vitalità della filosofia marxista e il richiamo potente che essa continua ad esercitare. La consideriamo perció la miglior arma intellettuale per il Partico comunista e per il popolo cinese, non solo per il presente ma anche per i tempi che verranno. Naturalmente il marxismo e la sua filosofia esigono continui arricchimenti e sviluppi nella pratica. Tutti i marxisti cinesi si identificano in questa missione e perseguono questo obiettivo con tutti i loro sforzi. Amici e compagni, fra circa due mesi suoneranno le campane per l’arrivo del XXI secolo. Avvicinandoci al nuovo millennio, ci sembra opportuno prendere in seria considerazione e discutere a fondo quale sarà il destino della filosofia marxista e che cosa possiamo fare per svilupparla ulteriormente. Sono questioni realmene importanti nella misura in cui si rapportano al destino e alle prospettive dell’umanità. I partecipanti a questo convegno arrivano sia da regioni avanzate come l’Europa, l’America del nord e il Giappone, e da paesi in via di sviluppo come la Cina. Malgrado la diversità di condizioni sociali e di tradizioni culturali, condividiamo tutti lo stesso desiderio di analizzare le questioni da un punto di vista scientifico. Possiamo perciò discutere insieme, approfondire le nostre analisi e discutere ampiamente le nostre osservazioni sulle materie di comune interesse. Solo così questo incontro potrà diventare utile e fruttuoso, un fatto di alta cultura. A questo punto vorrei introdurre alcune osservazioni mie personali, che propongo solo come materia di discussione. 1. Lo studio della filosofia marxista dovrebbe anzitutto prestare attenzione ai problemi sociali che sorgono nel corso dello sviluppo attuale. Il modo di vita di oggi è soggetto a mutamenti: continua a cambiare in maniera grande e profonda, e nel secolo che si sta concludendo ha raggiunto un livello incredibile che le generazioni dei nostri anziani non riuscirebbero ad immaginare. Quanto allo spirito della filosofia marxista, esso mantiene sempre un occhio attento all’evoluzione dei tempi e dei destini umani. Questo spirito generale esige di mantenersi sempre vicini ai fenomeni più recenti, e quindi alcune tesi specifiche della filosofia marxista devono venir modificate in base alla realtà in continuo mutamento. In altri termini, la filosofia marxista non può mantenere la sua vitalità se rompe i legami con gli sviluppi dell’età contemporanea. 2. Lo studio della filosofia marxista deve riprendere ricco nutrimento dagli sviluppi della scienza moderna, da una parte, e dall’altra deve riassumere le scoperte della sperimentazione scientifica contemporanea. I fondatori del marxismo hanno sottolineato il ruolo della scienza e hanno prestato grande attenzione alle maggiori scoperte delle scienze naturali, che contribuiscono a spingere avanti la stessa filosofia. Dalla metà del XX secolo, la rivoluzione della scienza e della tecnologia si è spinta molto oltre e ha raggiunto risultati storici nel campo della fisica e della chimica, della biologia e delle scienze della vita, dell’astronomia, della cosmologia, dell’informatica eccetera. Sono perciò sorti nuovi complessi di alta tecnologia basati soprattutto sulla microelettronica, l’informatica, la biologia, i voli spaziali, le nuove energie e le tecnologie dei materiali. La nuova rivoluzione tecnologica e le sue applicazioni alla produzione tendono a determinare la sostituzione e la trasformazione delle vecchie industrie, a dare fondamento solido allo sviluppo di nuove forme economiche, ad accelerare la riforma del sistema di organizzazione sociale, e a diffondere nuove maniere di vivere e di pensare. Di fronte a tutti questi mutamenti, i filosofi marxisti oggi sono chiamati ad ereditare i meriti tradizionali di Marx e di Engels nel loro atteggiamento verso la scienza. E’ necessario cioè che i filosofi marxisti seguano da vicino ed assimilino i risultati della scienza e della tecnologia contemporanee e conducano le loro ricerche in maniera creativa che tenga conto delle più recenti conoscenze scientifiche e della nuova strategia del pensiero. Ciò renderebbe possibile il continuo avanzamento e arricchimento della teoria marxista, verso una nuova cristallizzazione della saggezza degli uomini. 3. Lo studio della filosofia marxista è sempre coerentemente accompagnato da un’alta consapevolezza relativa alla prassi autocosciente. Il marxismo non è un principio dogmatico, ma una guida per l’azione. La sua ricerca teorica tende sempre perciò ad integrarsi con lo sviluppo pratico, in quanto si afferma e si sviluppa proprio mediante e nella prassi. La prassi cui ci si riferisce è una prassi sociale che funziona come spinta più grande e scopo ultimo della ricerca teorica. In questo caso, gli studiosi cinesi dovrebbero tenere presenti non solo le questioni globali emerse nella prassi degli uomini, ma anche i nuovi problemi sorti nella prassi sociale interna. La Cina del XXI secolo vuole portare avanti il programma di modernizzazione e lotta per avere “prosperità, democrazia e civiltà” a livello nazionale. In termini generali, un compito arduo e storico che la Cina si pone è quello di dare nuovo slancio alla costruzione del socialismo con caratteristiche cinesi. E inoltre, l’integrazione del socialismo con l’economia di mercato si rivela un esperimento creativo senza precedenti nella storia dell’umanità. Tutto ciò è destinato a porre importanti questioni teoriche che esigono risposte e soluzioni altrettanto teoriche.Il tempo in cui viviamo pone esigenze nuove e più alte al lavoro teorico. La nostra ricerca filosofica sarà in grado di dare il suo contributo allo sviluppo sociale solo se rispetterà la prassi comune dell’umanità e se saprà affrontare tutte le sfide pratiche. Amici e compagni, il XXI secolo si presenta denso di sfide e di nuove prospettive. Con il nuovo millennio alle porte, la Cina e il mondo muovono verso una fase critica, cui deve corrispondere un altrettanto critico periodo di progresso del marxismo e della sua filosofia. Dobbiamo compiere tutti un grande sforzo per riuscire a sviluppare una cultura più avanzata di tutta l’umanità e della filosofia marxista insieme. Infine, auspico che questo convegno si chiuda con un completo successo, e spero sinceramente che risulti fruttuosa per tutti. Grazie per la vostra attenzione. Hu Xinhe, Jin Wulun Nel ventesimo secolo la filosofia marxista è stata ampiamente propagata, praticata e sviluppata. Ma ripercorrendo la storia di questo secolo si vede che la filosofia marxista ha subito anche grandi distorsioni, ha avuto critiche e sfide dall’esterno, nonché incomprensioni, abusi, dogmatismi e volgarizzazione all’interno dello stesso campo marxista. Al confronto di altre scuole filosofiche, la ragione per cui la filosofia marxista ha potuto conservare la sua vitalità e restare presente, di fronte a tante sfide, come fondamento teorico e linea guida per la nostra riforma e apertura, risiede nelle sue proprietà pratiche e scientifiche. Essa infatti presta grande attenzione alla prassi, ne sottolinea il ruolo di prova, è sempre alla ricerca di risultati positivi da trarne e si ricollega sempre alle sue fonti. La sua caratteristica scientifica le permette migliorare, evolvere e perfezionarsi interagendo con i suoi opposti; essa tiene presenti le lezioni derivanti dallo sviluppo della scienza e della tecnologia e si sforza di dare risposta ai problemi essenziali che sorgono nel rapporto degli uomini con la natura e fra gli uomini stessi. Così ha potuto sempre arricchirsi e reggere il passo dei tempi. Di fatto, queste due caratteristiche sono anche strettamente correlate, nel senso che le pratiche cui la filosofia marxista rivolge la propria attenzione sono prassi scientifica e le scienze di cui i filosofi marxisti hanno bisogno sono scienze pratiche. La combinazione di entrambe costituisce il motivo principale della filosofia marxista. In quanto marxismo della Cina di oggi, la teoria di Den Xiaoping è un esempio dell’unità di caratteristiche scientifiche e pratiche. La caratterizzazione e l’implicazione scientifica della filosofia marxista fa sì che essa debba prestare attenzione ai risultati teorici e ai significati pratici dello sviluppo della scienza e della tecnologia e debba basarsi sui risultati più avanzati delle scienze attuali. Come è ben noto, i fondatori del marxismo hanno sempre sottolineato che la loro filosofia doveva riprendere tutta la migliore eredità della civiltà umana, e che essa si basava sui risultati delle scienze naturali e sociali del tempo. È certo che lo sviluppo odierno della filosofia marxista è inseparabile dall’interazione con la scienza e la tecnologia attuali, perché lo sviluppo della scienza e della tecnologia e il relativo progresso sociale sono il settore di più rapido avanzamento nella conoscenza e nella prassi degli uomini. Esso porta alla luce molti nuovi fenomeni finora ignoti, e nuove idee, nuove ipotesi, e nuove teorie che propongono una quantità di dati e di problemi alla filosofia marxista e la fanno procedere al passo dei tempi. In questo secolo che sta finendo si è verificato un progresso mai conosciuto nella scienza e nella tecnologia. Parlando dal punto di vista teorico, tutti questi grandi risultati sulla conoscenza della natura e di noi stessi come esseri umani, si possono riassumere – dopo la teoria della relatività e della meccanica quantistica – in cinque modelli teorici e cioè: la teoria dei quark sulla struttura della materia; il modello a doppia elica per i materiali genetici; il modello del big bang per l’origine del cosmo; la teoria tettonica sulla struttura della crosta terrestre; e il modello di Turing per i computer. Tutte queste teorie sono coerenti dal punto di vista logico e confermate empiricamente in una qualche misura, ma oltre i concetti e i paradigmi tradizionali costituiscono una nuova sfida per la filosofia marxista. Specialmente nell’ultimo scorcio di questo secolo, con il rapido sviluppo dell’alta tecnologia, si è verificata in tutto il mondo una nuova rivoluzione scientifico-tecnologica, con al centro le tecnologie dell’informazione e quelle biologiche. Essa ha influenzato l’economia, la cultura, la politica, la maniera di pensare e perfino le abitudini di vita della società umana, ha promosso l’economia della conoscenza e il processo di globalizzazione. Oggi, mentre gli uomini creano una nuova civiltà sulla base della scienza e della tecnologia, emerge anche una serie di nuovi problemi etici ed ecologici, prodotti almeno in parte dallo sviluppo scientifico e tecnologico, ed emergono anche i problemi relativi alla direzione da imprimere all’innovazione tecnologica e alla nuova economia. Tutto ciò comporta nuovi problemi e nuove possibilità per lo sviluppo della filosofia marxista. Analizzeremo questi mutamenti teorici e questi problemi pratici sotto quattro aspetti che ci sembrano imprescindibili per la filosofia marxista. Il problema del realismo, cioè del rapporto fra la teoria scientifica e il suo oggetto, rappresenta il problema centrale dell’odierna filosofia della scienza, ed è strettamente correlato al giudizio che i filosofi danno della realtà. Pur essendo realistici, alcuni possono avere opinioni diverse sulla natura di certi oggetti, come le particelle o i campi, e tali opinioni devono mutare seguendo lo sviluppo della scienza. Nella filosofia occidentale, il giudizio dominante sulla realtà si identifica con il concetto aristotelico di “sostanza”, che si base su quello parmenideo di invariabilità come criterio della realtà, e ha ripreso la “sostanza” come cosa sostanziale ed essenziale dietro il mondo reale e come materia della sua “prima filosofia”. In base a questa teoria, il primato della sostanza risiede nella sua priorità, universalità ed essenzialità, il che significa che la sostanza è un apriori sia nella sequenza temporale che per definizione: ogni esistere è un esistere di sostanza e correlato alla sostanza, e la sostanza appare in ogni sistema di giudizi come “soggetto”, mentre tutte le altre categorie – come la quantità, la qualità, lo stato, la relazione – sono sue descrizioni e “predicati” di essa. Questo giudizio della sostanza ha dato luogo alla tradizione ontologica della filosofia occidentale e della sua storia, e ha lasciato antiche incrostazioni nelle ricerche di fisica e di filosofia naturale. Con il sorgere della scienza moderna si è sviluppata una nuova concezione della realtà, propiziata da Galileo, Newton e Locke, e identificata come giudizio della “proprietà”. Essa si basava sulle proprietà descrivibili della sostanza e insisteva sulla distinzione fra le qualità primarie, indipendenti dagli organi dei sensi degli uomini, e le qualità secondarie, che invece dipendono da quegli organi, sottolineando quindi l’invariabilità, o la realtà, delle qualità primarie. Tali qualità hanno caratteristiche uguali o simili alla sostanza, cioè l’invariabilità, l’indipendenza, la speciale separatezza, la determinazione quantitativa e qualitativa, il determinismo eccetera. Questa tesi della “qualità primaria” vedeva tali qualità come essenza della sostanza ed alcuni filosofi come Hume e Russell sono arrivati al punto di ridurre la sostanza alle qualità primarie, sfidando la realtà della sostanza stessa. Il punto centrale di tale tesi è la dicotomia fra soggetto e oggetto e l’assoluta invariabilità della realtà che si pone ineluttabilmente in una posizione difficile. La teoria della relatività e la meccanica quantistica ci hanno rivelato che quelle quantità fisiche di base, o qualità primarie, come l’estensione, l’intervallo di tempo e la massa, e anche le proprietà delle particelle e delle onde, non sono invarianti, ma sono relative al sistema di riferimento o agli strumenti di misurazione. Dato che questi sistemi e strumenti sono anch’essi sistemi fisici, i risultati dell’osservazione sono interazioni fra sistemi fisici e invarianti rispetto a tutti gli osservatori che si trovano nella stessa situazione, e mantengono la loro oggettività e realtà. Tale realtà peraltro non è determinata dalle “qualità primarie”, ma dipende da altri sistemi fisici scelti dal soggetto che osserva. Così se vogliamo mantenere la realtà delle qualità primarie dobbiamo anche accettare che: dato che la realtà delle qualità primarie si conferma nelle sue relazioni definite con altri sistemi fisici, si può dire che oltre l’entità fisica e la proprietà, anche le relazioni fisiche sono reali. Sono espresse da termini relazionali, proprio come la sostanza si esprime con un termine sostantivo e la qualità con un termine predicativo. Questo nuovo giudizio sulla realtà mette in rilievo che la relazione è reale e correlativamente la realtà è relazionale. La realtà fisica si potrebbe confinare solo ad interazioni universali con altre cose, come afferma Engels: “Solo sulla base di queste interazioni universali possiamo capire i rapporti causali reali”. “L’interazione è la vera causa finale delle cose” (“Dialettica della natura”, Collected Works of Marx and Engels, vol. III, p. 552, edizione cinese). Dalla realtà relativa (ad altri sistemi) delle qualità primarie si può dedurre che anche le qualità seconde – risultato dell’interazione fra entità fisiche e organi di senso dell’uomo - sono reali in relazione ai normali organi di senso come strumenti di misurazione. Inoltre, l’universalità delle relazioni e interazioni sfida la dicotomia di soggetto e oggetto. Tale dicotomia è solo un atteggiamento o un attrezzo intellettuale, il cui sorgere costituisce un progresso nella storia dell’epistemologia; ma se la si rende assoluta e sostanziale, conduce a una serie di paradossi teorici e si rivela contraddittoria nella pratica. La lezione che la scienza moderna ci impartisce è che la realtà come oggetto di ricerca scientifica non è meramente un oggetto dotato di proprietà, ma include tutte le interazioni e interrelazioni fra gli oggetti, e fra gli oggetti e gli strumenti, incluse le nostre pratiche scientifiche. Le nostre teorie non sono pure descrizioni di oggetti e di loro proprietà, ma sono anzitutto basate sulla sperimentazione, sulla pratica scientifica. Per usare le parole di Marx: “Il difetto principale della maggior parte del realismo precedente è che la cosa, la realtà, la sensitività sono concepite solo nella forma di oggetto, o di contemplazione, ma non come attività umana pratica, sensitiva, non soggettivamente. Quindi, in contraddizione con il realismo, il lato attivo è stato messo in luce in maniera astratta dall’antirealismo – il quale, naturalmente, non conosce l’attività reale, sensitiva, in sé” (“Tesi su Feuerbach”, Collected Works cit., vol. I, pag.16). Così, per un reale atteggiamento di realismo scientifico, le cose, la realtà e la sensitività nella teoria scientifica non si dovrebbero concepire solo in forma di oggetto, o di contemplazione, ma come attività umana sensitiva, prassi, soggettivamente. L’attività umana diretta alla conoscenza non è una descrizione meccanica di oggetti, ma un’attività basata sulla pratica e sull’iniziativa degli uomini. La scienza è la ricerca di una conoscenza determinata. Quali che ne siano i risultati, la ricerca di metodi scientifici definiti – cioè la ricerca di regole metodologiche universali e invariate in grado di assicurare il corretto progredire della conoscenza – ha dato luogo alla formazione di un modo di pensare relativamente stabile, rappresentato anzitutto dal modello riduttivo che ha servito come metodo di base per la scienza classica. La scienza classica è essenzialmente un modello meccanico le cui manifestazioni sono il riduzionismo nel modo di pensare e il determinismo nella formazione delle leggi, oltre alla già menzionata invarianza dell'oggetto della ricerca e la riflessione meccanica in epistemologia. Il modello tipico di riduzionismo è quello newtoniano, che si esprime nella riduzione teoretica o meccanica come nella riduzione in particelle. La prima tende a ridurre tutti i fenomeni a fenomeni meccanici, e quindi a derivarli da principi meccanici, mentre la seconda tende a ridurre tutte le proprietà meccaniche universali di un corpo, come l'estensione, la durezza, l'impenetrabilità, la mobilità e l'inerzia, a quelle dei suoi componenti, o addirittura a quelle delle sue parti principali. La combinazione di entrambe costituisce il programma riduttivo del meccanicismo, che spiega tutti i fenomeni con il ricorso ai corpuscoli e al loro movimento secondo i principi della meccanica. Inoltre il determinismo del modello meccanico esprime di fatto anche una tendenza riduttiva, che riduce il movimento casuale e le relative leggi statistiche dei gas a una somma enorme di particelle ognuna delle quali seguirebbe leggi meccaniche deterministiche. In questa maniera, se di ogni particella si conoscessero le condizioni iniziali e quelle limite, sarebbe possibile conoscerne in anticipo i movimenti. Nel periodo iniziale, quando gli oggetti della ricerca erano relativamente semplici, la dottrina riduzionista ebbe tanti successi in alcuni campi, come la meccanica, la fisica e la chimica, che divenne non solo un metodo scientifico per costruire una teoria in grado di spiegare i fenomeni, ma anche condusse gli scienziati a inclinarsi ad analoghe considerazioni rispetto ai problemi scientifici – quel che Alvin Toffler definiva una "tecnica di smontaggio". Quale che sia il problema scientifico, essi sono sempre inclini a ridurre il tutto alle parti, la complessità alla semplicità, il non lineare al lineare, l'irreversibilità al reversibile, e a ridurre ogni fenomeno fisico, chimico, biologico e anche sociale a fenomeno meccanico che segue principi meccanici, per poi rimontarli come un tutto che pure obbedisce a leggi meccaniche. Questa tecnica è tanto nota e cara agli scienziati che essi spesso si scordano di rimontare dopo lo smontaggio, riducendo cosí il tutto alle sue parti. Ma con lo sviluppo attuale delle scienze, specialmente della scienza dei sistemi, della teoria delle strutture dissipative, della teoria dell'emergenza, della geometria dei frattali, della teoria del caos, il programma che una volta era avanzato ha mostrato i suoi limiti e si è scontrato con una serie di paradossi. La riduzione sostituisce il semplice al complesso, per costruire il tutto mediante le parti, per assumere il lineare in luogo del non lineare e il reversibile invece dell'irreversibile. Come la teoria dei sistemi e la teoria non-lineare ci hanno rivelato, fra i fenomeni complessi dei sistemi inorganici, ma anche biologici e sociali, è frequente il caso in cui il tutto risulta più grande della somma delle sue parti, l'emergere di nuove qualità non si puó far risalire a un processo continuo, l'interazione non lineare non si puó ricostruire sulla base di una serie di interazioni lineari, e cosí i fenomeni complessi non si possono ricondurre a fenomeni semplici. In termodinamica l'irreversibilità non è compatibile con leggi meccaniche reversibili, nella meccanica quantistica alcuni fenomeni non sono spiegabili con i principi del programma riduzionista; inoltre il generarsi di strutture dissipative in termodinamica, la sensibilità alle condizioni iniziali nella teoria del caos, tutti i tipi di enormi sistemi complessi nell'ambiente ecologico, nel mondo biologico, nel corpo umano, specialmente nel cervello, nelle società umane, con quelle qualità peculiari che emergono ad ogni livello, ci costringono a uno spostamento paradigmatico dal riduzionismo all'olismo. Questo nuovo paradigma non deve considerare la complessità come somma di elementi semplici, ma prenderla in considerazione in sè, cioè in quanto complessità e sviluppare un nuovo metodo scientifico e un nuovo modo di pensare, una peculiare prospettiva filosofica che sia in grado di esaminare i fenomeni complessi. Lo sviluppo di teorie scientifiche sui fenomeni complessi rivela l'unità del micro e del macro, la combinazione del metodo olistico con quello riduttivo, e ci spinge a prestare attenzione all'auto-organizzazione e alle proprietà d'emergenza dei sistemi, ad intensificare la ricerca sulla dinamica della generazione e dell'evoluzione dei sistemi e su nuovi problemi come l'irreversibilità, la discontinuità, l'indeterminatezza, l'imprevedibilità e l'interazione non lineare. Tale spostamento dal semplice al complesso, dal riduzionismo all'olismo e al divenire esige la partecipazione della filosofia perché si tratta di una trasformazione di idee filosofiche e di epistemologia filosofica. Esige in particolare la partecipazione della filosofia marxista perché, come tutti ben sappiamo, i fondatori del marxismo hanno criticato la tendenza meccanicistica sia nella scienza che in filosofia, anche quando essa era al suo punto più alto. Ma anche nello sviluppo della filosofia marxista del ventesimo secolo è emersa una tendenza dogmatica e meccanicistica, specialmente nei libri di testo della ex Unione Sovietica e in Cina durante la cosiddetta Rivoluzione culturale, che ha bloccato lo sviluppo della filosofia marxista. La filosofia marxista deve ritrovare lo spirito innovativo di Marx ed Engels, come arma critica e come metodo filosofico, superando i modelli unilaterali e le tendenze dogmatiche. Ció significa effettuare un'analisi, dal punto di vista pratico e reale, sullo sviluppo della scienza, sullo sviluppo sociale nei paesi capitalisti, su tutti i problemi politici, economici e culturali, per raggiungere risultati rilevanti a livello di conoscenza scientifica e di prassi. In questa maniera la filosofia marxista potrà tornare a svolgere una funzione di previsione e di guida per il futuro sviluppo della scienza e della società. Nel pensiero occidentale esiste un'antica tradizione di opposizione fra "essere" e "dover essere", fra quid facti e quid iuris. A partire da Hume e Kant questa dicotomia è diventata il criterio di demarcazione della scienza, e si è stabilita come dogma nella mente dei filosofi. Secondo questa opinione, i giudizi scientifici sono proposizioni fattuali che riguardano l'oggetto in sè, seguono la regola dell'oggettività e tendono alla verità. Mentre il giudizio di valore è un'espressione soggettiva ed emotiva dell'essere umano, che segue la regola soggettiva, tende a conformare gli oggetti ai fini e ai sentimenti dell'essere umano ed esprime una relazione fra il soggetto e gli oggetti. Cosí il giudizio scientifico e quello di valore sono attività diverse, e il valore è irrilevante per la scienza. Non è possibile inferire giudizi di valore, o "dover essere", da proposizioni fattuali o dall'"essere", e viceversa il giudizio di valore non serve per la deduzione di proposizioni fattuali. La razionalità scientifica cui si fa appello in attività come per esempio le scoperte scientifiche, le costruzioni teoretiche ed anche la valutazione delle teorie, include solo le forme logiche, empiriche e matematiche, ma non fattori di tipo etico o di valore. Questa dicotomia è strettamente correlata con quelle di soggetto e oggetto, spirito e materia, razionale e irrazionale eccetera, che hanno intensificato il divorzio e l'opposizione fra cultura scientifica e cultura umanistica. Ha poi raggiunto il suo culmine nel positivismo logico, che si fondava sul rifiuto della metafisica e su un criterio di demarcazione della scienza che suonava cosí: il significato di una proposizione risiede nel metodo della sua verifica. Tale fenomeno è in ovvia relazione con l'ammirazione per la scienza tipica dell'inizio del ventesimo secolo. Ma che cosa significa quando si parla di "scienza"? "Scienza e tecnologia sono la prima forza produttiva"; "la scienza è l'attività umana di indagine della natura e della società"; "la scienza è la vera conoscenza della natura e della società". Queste sono spiegazioni tipiche del termine "scienza". Il primo giudizio implica peraltro una specie di riconoscimento di valore della scienza e della tecnologia, che mette l'accento sulla loro utilità corrispondente a bisogni umani. Per quanto in generale si mantenga la distinzione fra "scienza" e "tecnologia", e si proclami che la seconda ha tale utilità, è un fatto irrefutabile che oggi l'alta tecnologia è fondata sulla scienza, e le ricerche scientifiche sono in massima parte orientate allo sviluppo tecnologico e sostenute dalle grandi imprese. Diventa cosí sempre più difficile stabilire una differenza netta fra le due. In base al secondo giudizio, la scienza è un'attività dell'essere umano. Da una parte, è un'attività del soggetto cognitivo e riflette una relazione cognitiva fra il soggetto e l'oggetto, che è necessariamente limitata dalle relazioni fra gli oggetti e dalle relazioni fra il soggetto e gli oggetti. Risulta perciò impossibile escludere ogni fattore umano, come dimostrano le lezioni della microfisica o i principi antropologici insinuati nella cosmologia. D'altra parte, si tratta di un'attività comune alla comunità scientifica, un'attività della società umana che non può essere impermeabile ad ogni genere di idee di valore esistenti entro o fuori la comunità scientifica. Cosí sia a livello cognitivo che pratico la scienza in quanto attività non è estranea ai giudizi di valore. Quanto al terzo giudizio, cioè la neutralità dei risultati dell’attività conoscitiva, non è facile da giustificare. In primo luogo, come abbiamo già visto, la "realtà" descritta dalla scienza è la prassi umana di conoscenza della natura e della società, ma non di oggetti puri e privi di importanza per gli esseri umani, il che significa che i risultati sono in un certo senso costruzioni umane basate sulla prassi. In secondo luogo, tali risultati non sono separabili dall'attività del conoscere e dagli scienziati che concretamente la svolgono, cosicché le loro opinioni sul mondo, le loro credenze metafisiche e le loro strutture culturali entrano inevitabilmente nel processo di conoscenza. Questi elementi sociali e culturali nella costruzione e nella valutazione delle teorie scientifiche, che vengono sottolineati dalla scuola storica di filosofia della scienza rappresentata da Thomas Kuhn, sono illuminanti in questo senso. Inoltre, specialmente nel ventesimo secolo, quando l'alta tecnologia ha sperimentato uno sviluppo rapidissimo che ha grandemente influenzato la vita degli uomini, gli scienziati non hanno potuto prendere in considerazione le conseguenze etiche del loro lavoro. Come disse una volta Einstein: "Nel nostro tempo, gli scienziati e gli ingegneri hanno una responsabilità morale particolarmente grave, perché lo sviluppo di mezzi bellici di distruzione di massa dipende dal loro lavoro". Il giudizio di valore diventava cosí in maniera inevitabile parte della razionalità scientifica. Il caso classico di tale estensione della razionalità scientifica è la produzione e l'uso della bomba atomica. Come disse a suo tempo Oppenheimer, le intenzioni originali degli scienziati che partecipavano alla costruzione della bomba atomica includevano la curiosità e lo spirito di avventura, oltre alla guerra coi nazisti. Ma quando egli vide la nuvola a fungo e l'immenso potere della bomba, il sentimento che si fece strada nel suo animo fu: "Sono diventato il dio della morte". Per questa ragione egli ha compiuto ogni sforzo per giungere a un controllo internazionale dell'energia atomica ed è sempre stato contrario alla corsa all'armamento atomico, cadendo cosí vittima del maccartismo. Oggi, con l'etica nucleare, l'etica ecologica, la bioetica e l'etica dei geni, l'etica scientifica si è posta come collegamento fra i giudizi di valore e quelli fattuali, come ponte fra scienza e tecnologia da una parte e i settori più specificamente umanistici dall'altra. E' indubbio che l'analisi dell'unificazione della scienza con la teoria dei valori e con l'etica basata sulla prassi è destinata ad ampliare i settori di ricerca della filosofia della scienza e ad arricchire il materiale di ricerca della filosofia marxista. Come già menzionato, quando oggetto della teoria scientifica non sono più gli oggetti naturali ma la pratica scientifica come attività umana, e quando non si può più fare una netta distinzione fra giudizi fattuali e giudizi di valore, l'immagine della scienza nella comunità scientifica cambia notevolmente. Rispetto a questo cambio, peraltro, la trasformazione della sua immagine esterna e del suo ruolo sociale non è certo minore. Dato che l'alta tecnologia basata sulla scienza ha svolto un ruolo fondamentale nell'attuale economia della conoscenza, dato che i risultati e i prodotti high-tech sono penetrati in ogni aspetto e livello della vita sociale e la coscienza innovativa che rappresenta lo spirito essenziale della scienza non resta confinata a un campo specifico ma è diventata dominante nella cultura della società, la scienza ha abbandonato la sua aristocratica torre d'avorio ed è scesa nel mondo della produzione materiale e della costruzione spirituale e culturale; essa - da lavoro professionale di pochi individui – si è trasformata in normale modo di vita della maggior parte dei membri della società e ha esteso la sua influenza in tutti i settori. Marx ed Engels proclamavano nel Manifesto del partito comunista che nel suo dominio di classe, che dura appena da un secolo, la borghesia ha creato delle forze produttive il cui numero e la cui importanza superano quanto mai avessero fatto tutte le generazioni passate. Soggiogamento delle forze naturali, macchine, applicazione della chimica all'industria e all'agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie, telegrafi elettrici, dissodamento di interi continenti, fiumi resi navigabili, intiere popolazioni sorte quasi per incanto dal suolo – quale dei secoli passati avrebbe mai presentito che tali forze produttive stessero sopite in grembo al lavoro sociale? Senza dubbio questo magico sviluppo delle forze produttive deriva principalmente dal rapido sviluppo e dall'applicazione della scienza e della tecnologia, dall'innovazione della teoria e della tecnologia. In soli tre secoli, dal 1600 in poi, lo sviluppo della scienza e della tecnologia moderna è cosí rapido che gli esseri umani hanno realizzato grandi successi nell'esplorazione dei segreti della natura e dello stesso genere umano. Dalla rivoluzione industriale prodotta dall'invenzione della macchina a vapore, al tempo dell'elettrificazione portata dall'applicazione tecnica dell'elettromagnetismo, fino all'epoca attuale di economia della conoscenza sostenuta dall'informatica e da altre industrie high-tech, lo sviluppo della scienza e della tecnologia ha indotto un grande mutamento nelle condizioni di produzione e nella vita degli uomini, e ha creato una ricchezza migliaia di volte più grande di quella prodotta nelle migliaia di anni precedenti. Per questa ragione Marx definiva la scienza come "leva poderosa della storia e forza rivoluzionaria nel senso più alto", mentre Deng Xiaoping diceva che "la scienza e la tecnologia sono la forza produttiva primaria". Fino ad ora la scienza e la tecnologia non sono state soltanto un fattore rivoluzionario della forza produttiva e una forza materiale, e neppure un fattore estraneo alla società. La scienza e la tecnologia rappresentano la comprensione della natura e delle sue leggi su una base pratica, ed anche l'uso della natura per i fini dell'uomo. Quando diciamo che la scienza è una forza rivoluzionaria, ció non significa solo che "la scienza e la tecnologia sono la forza produttiva primaria" e promuovono lo sviluppo delle forze produttive, ma significa anche che la scienza e la tecnologia spingono avanti l'intera riforma e il progresso della civiltà umana. Dato che la forza produttiva è il fattore più rivoluzionario nel corso dello sviluppo della società, la sua evoluzione esige la riforma e l'adozione di nuove relazioni di produzione e quindi promuove il progresso della società umana. Dato che lo spirito essenziale della scienza è la critica e l'innovazione e non puó mai decadere nel dogmatismo e nell'immobilismo, ma si spinge incessantemente avanti, il suo sviluppo è diventato il principale responsabile della riforma della vita umana. A livello spirituale, come ha affermato Engels, ogni settore della scienza ha acquisito forma scientifica nel diciottesimo secolo, combinandosi da una parte con la filosofia e dall'altra con la pratica. La conseguenza della combinazione con la filosofia è il materialismo, l'Illuminismo e la rivoluzione politica in Francia. La conseguenza della combinazione con la pratica è la rivoluzione sociale in Inghilterra. La scienza ha costituito il fondamento del materialismo, ha precorso l'Illuminismo, ha guidato le rivoluzioni politiche e sociali, è diventata il nostro patrimonio culturale e storico e il nostro modo di vita, è diventata una parte importante della nostra vita. Oggi l'economia della conoscenza sta crescendo e si è accelerato il processo di globalizzazione. Lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e delle biotecnologie ha dato impulso a grandi trasformazioni economiche e sociali, passando dall'economia materiale all'economia della conoscenza. La conoscenza e l'intelligenza sono diventate le principali risorse delle società moderne, l'innovazione è diventata il nucleo dello sviluppo economico e il modello sostenibile di sviluppo, il cui scopo è l'armonizzazione dell'uomo con la natura. La futura competizione fra potenze nazionali non è solo una competizione di forze produttive ma anche di capacità innovativa. La chiave dell'innovazione è l'innovazione di idee e teorie, la scoperta di un nuovo modo di pensare. L'innovazione perciò non è solo una questione economica, ma anche un modello di base dell'esistenza umana, non è solo una pressione concorrenziale esterna ma anche una intrinseca esigenza di evoluzione degli esseri umani come genere; non è solo un problema economico ma anche un tema di ricerca filosofica, specialmente per la filosofia della scienza. Problemi come quelli della scoperta scientifica e dell'incremento della conoscenza una volta rappresentavano dei pilastri della filosofia della scienza. Karl Popper ha scritto "La logica della scoperta scientifica", N. Hanson ha scritto "Modelli di scoperta", e T. Kuhn ha indagato la scoperta di nuovi fatti e l'invenzione di nuove teorie come causa fondamentale della rivoluzione scientifica. Per quanto l'innovazione sia in qualche modo distinta dalla scoperta e dall'invenzione, in quanto essa pone l'accento sulla trasformazione di nuove idee e concezioni in beni, realizzandone il valore, le altre prestano attenzione ai fenomeni nuovi, ai nuovi processi e a nuove leggi, ma hanno come carattere comune quello di generare idee nuove e nuovi modi di pensare. Jang Zemin una volta ha detto: "L'economia della conoscenza e la coscienza innovativa sono essenziali per il nostro sviluppo nel XXI secolo". E anche "Per affrontare la sfida del rapido sviluppo di scienza e tecnologia e il sorgere dell'economia della conoscenza, la cosa più importante è persistere nell'innovazione. L'innovazione è l'anima della nazione, è un impeto inesauribile verso la fioritura della nazione". Innovazione e tecnologia, innovazione dei sistemi e innovazione della teoria sono la missione storica e il modo di esistere della gente nell'epoca della nuova economia; e sono punto focale e fonte di vitalità delle filosofie del nostro tempo. Se la filosofia marxista vuole mantenere la sua vitalità e riflettere lo spirito del tempo è necessario cercare la verità nei fatti e innovare senza tregua. Anche se una delle premesse dell'innovazione è l'attenzione allo sviluppo della scienza e della tecnologia, il campo della prassi degli uomini è destinato a svilupparsi più in fretta. Ferma sui suoi principi fondamentali, coraggiosa nell'affrontare la prassi, attenta allo sviluppo della scienza e della tecnologia e basata sull'innovazione, la filosofia marxista sarà in grado di afferrare lo spirito del nostro tempo e mantenere la sua vitalità per sempre. Sun Zhengyu Tentando un'indagine sul futuro della filosofia marxista in questo volger di secolo, per noi acquista speciale significato svolgere un'analisi ed elaborare previsioni sul processo filosofico contemporaneo in Cina, per la logica filosofica che esso esprime e per il futuro che indica. Una volta ho diviso i cinquant'anni di filosofia cinese contemporanea in tre stadi: il primo, fino al 1980, la filosofia del libro di testo; negli anni '80, la riforma del libro di testo; e dopo il 1990, la filosofia post-libro di testo. La ragione per cui la filosofia dei primi trent'anni dopo la nascita della nostra Repubblica popolare è stata definita "del libro di testo" è che per tutto quel periodo il testo dei principi di filosofia marxista fu considerato come il sistema teorico modellizzato della filosofia marxista, lo standard di differenziazione dalle teorie non marxiste, la guida per costruire le varie materie di seconda classe in filosofia, e il fondamento per regolare la vita pubblica politica, economica, culturale, spirituale e tutta intera la vita sociale. Dal punto di vista del "processo filosofico", la filosofia cinese negli anni 90 porta avanti un importante processo di transizione di due tipi: dalla "coscienza del sistema" alla "coscienza del problema" e dal "problema immediato" e "problema focale" alla "risonanza" di "un problema" e di "tutti i problemi". Gao Qing-Hai La natura umana è molto speciale. L'uomo si sviluppa dalla materia, ma la trascende e puó dominarla; l'uomo rappresenta un genere biologico, ma puó trascendere i limiti della vita ed è sempre alla ricerca dell'eternità. Degli esseri umani, non si puó dire che non siano materia, e non si puó dire che lo siano: si puó solo dire che l'uomo è una vita che trascende la vita e una materia che trascende la materia. Nella storia della filosofia si ritrovano un centinaio di definizioni della natura dell'uomo, che peraltro si possono ridurre a due tesi di fondo principali. L'una insiste sulla trascendenza dell'essere umano, il che conduce a deificare l'uomo, l'altra insiste sulla origine dell'uomo e lo riporta alla materia; si arriva quindi alla conclusione che l'uomo è metà angelo e metà animale. 1. Dobbiamo cambiare la maniera di apprendere la natura umana, passando da una visione legata alla materia ad un'altra, più nuova e più vicina all'uomo. L'uomo ha una sua natura specifica che si puó apprendere con modi di pensiero umani secondo la natura umana, che va persa se si usano modi di pensare legati alla materia. 2. Per distinguere l'uomo dagli animali, bisogna battere l'idea di una vita biologica generale e costruire l'idea di una vita a due aspetti. 3. Nel rapporto fra l'uomo e la natura, bisogna muovere da un pensiero che vede l'uomo e il mondo in funzione della dicotomia fra soggetto e oggetto a un pensiero che vede l'uomo e il mondo come un tutto organico. Marxismo Oggi 2000/2-3 La questione della scuola Editoriale Chiesa e Stato, di Luigi Pestalozza Interventi Il potere di dentro. Notazioni psicoanalitiche sulla struttura del soggetto nella “Sacra Famiglia”, di Adriano Voltolin; Calamandrei, la Costituzione e noi (a cinquant’anni di distanza), di Oliviero Diliberto; Negazionismo-cancellazionismo: il caso Concetto Marchesi, di Severino Galante; Repetita juvant, di Guido Oldrini Dossier: La questione della scuola Presentazione di Mario Vegetti; Introduzione, di Nerio Nesi; Relazione di Piergiorgio Bergonzi Saggi Nicolai Hartmann e György Lukács: un’alleanza feconda, di Nicolas Tertulian; Il processo Gramsci: cronaca e retroscena di un evento che ha segnato la storia del Novecento, di Ruggero Giacomini; Documenti del socialismo L’istruzione nella Repubblica Democratica Tedesca. Ricordi di un’esperienza, di Roberto Favaro; Istruzione musicale e musica contemporanea Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Lettere alla redazione Marxismo Oggi 2000/1 L’economia globalizzata in discussione Editoriale di Mario Vegetti Interventi Lettera a un giovane del nuovo millennio, di Ugo Dotti; Dossier: in tema di globalizzazione Globalizzazione imperialista e multipolarismo, di Giuseppe Regis; La brutopia della globalizzazione, di Grazia Paoletti Saggi La natura della determinazione storica, di István Mészáros ; L’URSS e il “mondo totalmente amministrato”. Hockheimer, Adorno, Marcuse, di Michele Martelli Asterischi librari, schede a cura di Guido Oldrini Lettere alla redazione
L'Unione Europea: l'altra faccia dell'allargamento
Il processo di allargamento dell'Unione Europea investe attualmente tredici paesi; fra questi, i dieci paesi dell'Europa centrale e orientale (PECO) costituiscono un blocco reso almeno in parte omogeneo dal comune passato di membri del Comecon e del Patto di Varsavia. Si tratta delle tre repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania), di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria e Slovenia.
Dal punto di vista politico, una Unione Europea ampliata su questa scala è destinata ad apportare pace duratura in terre dilaniate da secoli di guerre, conflitti e rivalità di ogni tipo: il processo di allargamento acquista perció uno spessore particolare, e permette di parlare di unificazione del continente intero.
Dal punto di vista economico, il processo di ampliamento - una volta completato - creerà un mercato di 500 milioni di consumatori. Ció corrisponde a un aumento del 30% della popolazione e del territorio dell'UE, ma in termini di capacità produttiva la crescita sarà solo del 4-5%. Infatti i paesi PECO condividono anche un comune presente di povertà e disintegrazione dell'economia. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, l'Unione Europea - impreparata a presentare un progetto proprio e originale - delegó il compito di dirigere la ristrutturazione di quelle economie al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale. Le ricette ultraliberiste di queste istituzioni, impostate sulla deregolamentazione dell'economia e sulle privatizzazioni, hanno depresso le capacità produttive e demolito le garanzie sociali; hanno inoltre aperto i mercati al capitale straniero, che ha fatto man bassa delle imprese privatizzate. Lo scioglimento del Comecon, nel 1991, ha lasciato molte aziende prive di domanda effettiva e la mancanza di mercati alternativi per le esportazioni, oltre alla riduzione del mercato interno, ha portato alla bancarotta ampi settori produttivi. La liberalizzazione dei prezzi e le vendite di intere industrie a un singolo proprietario straniero hanno provocato un'inflazione rampante. Inoltre, i profitti del nuovo settore privato sono derivati essenzialmente da vantaggi fiscali e giuridici accordati agli imprenditori e agli investitori, in massima parte stranieri. Il capitale straniero - in gran parte europeo - ha utilizzato le aree dell'Est per operare un dumping sociale nei confronti dei lavoratori dei paesi dell'UE e non ha quindi alcun interesse a modificare, con l'integrazione nell'Unione, una situazione che gli è di enorme vantaggio. Inoltre i mercati dell'Est sono diventati fondamentali per la buona salute economica dei paesi dell'UE: l'assorbimento delle esportazioni europee è infatti altissimo e sostiene la crescita delle nostre economie nazionali nei momenti di ciclo negativo. E dopo la scomparsa del Comecon e il crollo della produzione interna dei paesi PECO, i produttori europei si impongono anche sui mercati più ad est, in Ucraina, Bielorussia, Russia, incluso in settori tradizionali come quello agricolo.
In questa situazione e con questi rapporti di forza i lavoratori, gli strati popolari e le forze politiche democratiche dei paesi candidati hanno visto nell'adesione all'UE una possibilità per difendere i loro diritti e i loro interessi, in quanto già risentono di tutti i lati negativi dell'economia capitalistica, senza goderne i benefici. Sperano che l'adesione consenta loro di partecipare alle garanzie sociali e democratiche oggi in vigore nei paesi europei o per lo meno di combattere insieme ai lavoratori dell'Unione per difendere ed estendere i loro diritti.
Le tre condizioni di base imposte ai paesi PECO per il loro ingresso nell'UE sono state fissate nel 1993 e sono conosciute come "criteri di Copenhagen": stabilità delle istituzioni che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze; esistenza di una economia di mercato in grado di funzionare e di reggere la pressione concorrenziale dei mercati europei; capacità di assumere gli obblighi derivanti dallo status di membro dell'UE, compresa l'adesione ai fini fondamentali dell'Unione, in termini economici, politici e monetari. I principî generali si traducono in migliaia e migliaia di provvedimenti legislativi - il cosiddetto acquis comunitario - che i paesi candidati devono recepire integralmente - e si tratta di qualcosa come 80.000 pagine di testi giuridici - instaurando inoltre, ove manchino, o rafforzando e rendendo più efficienti le strutture amministrative e giudiziarie necessarie.
Tutto il peso della convergenza è stato caricato sulle spalle dei paesi candidati, senza prevedere alcuna flessibilità nei confronti dell'acquis comunitario e senza che siano stanziati fondi per la convergenza economica prima dell'ingresso nell'Unione, come è accaduto per l'adesione della Grecia prima, e di Spagna e Portogallo poi. Nel passato, quando l'adesione riguardava un solo paese (e non 13 come oggi) i nuovi ingressi furono accompagnati da cambiamenti profondi nelle politiche di bilancio, come il Pacchetto Delors e le politiche strutturali di sostegno.
L'imposizione da parte dell'UE del recepimento previo e totale di tutto il blocco dell'acquis comunitario nelle legislazioni nazionali dei paesi candidati sta diventando uno dei principali problemi di carattere politico: sono infatti molte le ragioni economiche, storiche e culturali che i paesi candidati oppongono alle imposizioni unilaterali dell'UE, che non accetta di confrontarsi alla pari con loro.
E' grave la situazione anche per quanto riguarda le questioni di bilancio: basti considerare che per finanziare tutto il processo di ampliamento che investe tredici paesi si sono previsti investimenti inferiori a quelli che la sola Germania ha previsto per sostenere l'unificazione con l'ex DDR. Per evitare il temuto impatto negativo dell'ingresso dei paesi PECO su tutto il mercato e il mondo del lavoro europeo, servono invece risorse imponenti e un programma preciso di crediti da parte della Banca centrale europea. Adeguate politiche di investimento e di sostegno devono favorire la riduzione delle attuali enormi diseguaglianze economiche e sociali, per rimediare anzitutto al collasso dell'occupazione, che è calata fino al 52% di quella precedente l'89, e per evitare possibili esplosioni di estremismo di destra, di nazionalismo, xenofobia e nuovi conflitti.
I partiti di sinistra dei paesi dell'UE, che si riconoscono nel gruppo del GUE/NGL del Parlamento Europeo, hanno organizzato nell'estate 2000 un incontro a Budapest dedicato ai problemi dell'allargamento dell'Unione visti da est: nelle pagine che seguono vengono proposte alcune relazioni di quel convegno, come testi indicativi delle preoccupazioni e delle aspirazioni delle forze democratiche presenti nei paesi candidati.
Questi testi affermano che il costo dell'adeguamento economico dovrebbe essere ripartito e non ricadere solo sul paese candidato; in questa situazione infatti, il continuo aumento delle diseguaglianze sociali rischia di far scoppiare conflitti sociali imponenti, come si è già verificato per esempio in Polonia, con le rivolte di contadini espulsi dalla produzione agricola. Ben lungi quindi da quei fini di stabilità politica, crescita economica e coesione sociale che l'Unione europea vorrebbe realizzare con l'ampliamento. Per questo i paesi candidati chiedono che i criteri di Copenaghen vengano modificati, introducendo - oltre a quelli di carattere politico ed economico - anche dei criteri di natura sociale.
Il ritardo che si sta verificando nei tempi dell'allargamento, che in un primo tempo era stato previsto al più tardi per il 2002, almeno per il primo gruppo di paesi, sta provocando ulteriori conseguenze negative, che mettono ormai in discussione tutto il processo, anche a livello di opinione pubblica. La gente ormai si chiede - soprattutto in Polonia e in Ungheria - se la partecipazione al mercato globalizzato sia davvero l'unica struttura in grado di favorire sviluppo e stabilità. Cosí all'interno stesso dei negoziati ufficiali, che pure hanno dato luogo a notevoli convergenze sotto gli aspetti istituzionali, giuridici e amministrativi, emergono anche tendenze divergenti, espressione dei timori e delle insoddisfazioni di entrambe le parti. L'UE teme da parte sua che l'ingresso di questi paesi a pieno titolo nell'UE, con la conseguente libertà di movimento per i loro cittadini, porti sul mercato del lavoro europeo grandi masse di lavoratori migranti, disposti ad accettare remunerazioni molto più basse della media europea. I paesi candidati, da parte loro, temono che la liberalizzazione dei commerci, con la conseguente fine del divieto oggi vigente di vendita di beni immobili agli stranieri, porti a massicce campagne di acquisti di terre e di immobili da parte del capitale straniero. In particolare poi la Polonia - che con i suoi 40 milioni di abitanti è il paese più importante fra i candidati all'adesione - nutre profondi timori per l'impatto dell'Europa sulla sua agricoltura, che è piuttosto arretrata, spesso solo di sussistenza, ed impiega il 26% della forza lavoro, rispetto a una media del 5% nei paesi europei.
Qualche voce ufficiale comincia a levarsi dall'interno delle istituzioni europee, auspicando una minore rigidità nelle trattative con i paesi candidati: per esempio Elmar Brok, deputato tedesco della CDU e Presidente della Commissione affari esteri del Parlamento europeo, in una recente intervista su "The Parliament Magazine", a proposito dell'adesione della Polonia affermava: "I negoziati richiederanno un'enorme volontà di compromesso da parte di tutti i partecipanti, specialmente su alcune questioni chiave come la politica agricola e quella ambientale, e soprattutto per gli aspetti finanziari dell'ampliamento".
Tutti i paesi peraltro, dalla piccola Estonia (un milione e mezzo di abitanti) alla grande Polonia, urgono per un accesso rapido, in quanto un ulteriore ritardo nell'adesione non favorirebbe una migliore preparazione, ma solo l'esaurirsi delle convergenze finora prodotte a cosí duro prezzo: il processo di riforma dei paesi PECO puó ancora implodere per la mancanza di fondamenta sociali e per l'impossibilità di consolidarsi economicamente, facendo svanire il grande disegno storico di un continente unito, forte e solidale.
Già le crepe si annunciano: in Austria Haider ha più volte dichiarato apertamente la sua opposizione al processo di integrazione europea attualmente in corso. La Polonia non nasconde un atlantismo molto più accentuato della sua vocazione europeista. In Ungheria, l'attuale governo di destra di Orban, pur non avendo cancellato dalla sua agenda l'adesione all'UE, si è dimostrato piuttosto critico. E ultimamente, la prima uscita di carattere internazionale della destra che ha vinto le elezioni in Italia è stata precisamente nel senso di una contestazione del processo di allargamento, perché sottrarrebbe fondi strutturali per il Mezzogiorno oltre che per altri paesi mediterranei.
Anche il Vertice di Nizza del dicembre 2000 non è riuscito a raggiungere l'obiettivo che si era proposto, di dare un saldo impianto istituzionale alla nuova Europa allargata; e i risultati del recentissimo referendum sull'Europa svoltosi in Irlanda hanno rivelato quali e quanti siano i guasti prodotti dall'azione elitaria e poco trasparente delle istituzioni europee, che ha provocato una grave crisi di fiducia da parte dei cittadini..
A queste condizioni, nei prossimi decenni potrebbe emergere una nuova divisione dell'Europa, realizzata non più con una cortina di ferro, ma con la cortina di Schengen protetta dall'ombrello militare della NATO.
La sinistra "occidentale" deve imparare a riconoscere quali forze e quali interessi di classe si muovono rispetto al processo di trasformazione dell'Europa: è l'unica strada per lasciare da parte dubbi e divisioni e schierarsi decisamente per le soluzioni più utili agli interessi dei lavoratori.
Non è certo una strada facile: comporterà ancora "lacrime, sudore e sangue", disuguaglianze e sacrifici per molti anni; ma bisogna cercare di influire sul processo per proporre soluzioni alternative a quelle sciagurate del grande capitale internazionale, e per tentare di democratizzare le procedure rigide ed elitarie che regolano quasi interamente la vita delle istituzioni europee.
Alla domanda "quo vadis, Europa?" esiste quindi un'altra risposta certa: o l'Europa andrà verso la democrazia e la giustizia sociale, o perderà la sua strada e se stessa.
Su alcuni aspetti attuali dell'allargamento dell'Unione Europea
L'obiettivo dell'operazione era quello di far avanzare il dibattito nel Gruppo e favorire il processo di formazione di opinioni. Lo studio non era e non è concepito come una linea direttiva comune e obbligatoria per il gruppo, che è da parte sua piuttosto eterogeneo, bensí come un mezzo per fissare dei punti, precisare dei problemi, formulare delle proposte e quindi offrire degli stimoli per la politica della sinistra nel complicato processo di ampliamento dell'UE.
La discussione in seno al gruppo è stata preceduta da un discorso del Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, in cui presentava il nuovo ruolo strategico della Commissione nel processo di allargamento. Era accompagnato dalla pubblicazione delle relazioni sui progressi dei singoli Stati candidati sulla via dell'adesione. Il titolo scelto potrebbe dare l'impressione che si trattasse di relazioni preparate a cura degli Stati interessati – ma è un errore. Si tratta di valutazioni della Commissione, che distribuisce i voti di profitto e buona condotta, su una scala che va dal buono all'insufficiente. In base a queste "pagelle" preparate a Bruxelles, i paesi candidati devono prendere le loro posizioni e trarre tutte le conseguenze.
Il Parlamento europeo ha discusso queste relazioni in sessione plenaria, dopo la discussione svolta nelle diverse Commissioni parlamentari. Per ogni relazione della Commissione, il Parlamento ha presentato una propria relazione, preparata dalla Commissione Affari Esteri.
In questo lavoro si sono impegnate anche le Delegazioni miste, costituite da europarlamentari e rappresentanti dei diversi parlamenti nazionali, che esistono per ogni paese candidato. Dall'esterno, tutto sembra molto democratico, anche se in realtà il processo non si esaurisce nell'ambito parlamentare. Anzi, i negoziati veri e propri si svolgono fra la Commissione e i governi dietro porte ben chiuse.
Con il nuovo ruolo strategico proposto dalla Commissione, a correzione delle sue posizioni precedenti, è sorta anche un'esigenza più spinta in materia di qualità dei dibattiti parlamentari. Lo studio qui presentato puó rappresentare un valido aiuto per il gruppo GUE/NGL in questo processo.
Non è da trascurare il fatto che la Commissione preme per i tempi dei negoziati di adesione, in quanto i problemi diventano ogni giorno più gravi. Questo è anche uno sprone diretto alla sinistra, che deve andare apertamente all'offensiva. Nel 2001 il GUE/NGL organizzerà un incontro con i partiti e le forze di sinistra dei paesi candidati. Come hanno dimostrato le prime esperienze di incontro del Gruppo con i partiti di sinistra di Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia, nel giugno del 2000, manca lo scambio di informazioni, l'analisi dei multiformi problemi del processo di adesione, per rendere giustizia alla richiesta di una cooperazione decisa e concorde.
La Fondazione Rosa Luxemburg ha già trattato il tema dell'allargamento dell'Unione europea sotto il profilo sociale, in una conferenza internazionale che si è svolta nel giugno del 2000. Questo processo prosegue con la discussione dei lavori qui presentati.
La discussione ha peraltro sollevato una serie di problemi che andranno trattati successivamente:
Il Presidente della Commissione Affari esteri del Parlamento europeo, il deputato tedesco della CDU Elmar Brok, si spinge ancora oltre. Secondo lui l'allargamento equivale a riappropriarsi dei paesi occupati dall'Unione Sovietica. La sconfitta del fascismo hitleriano da parte degli alleati e il ruolo dell'Armata Rossa nella liberazione dei popoli dal giogo del fascismo non esistono all'interno di quello schema storico.
Entrambe le posizioni dimostrano chiaramente quali sono le premesse e gli obiettivi della politica dell'UE in materia di adesione dei paesi d'Europa centrale e orientale. In realtà il processo di adesione è molto più ricco e complesso e dal punto di vista della sinistra anche più aperto di quanto mostrino quelle posizioni, che si dimostrano storicamente false e politicamente miopi.
Nel processo si intrecciano tutti gli aspetti sociali, economici, giuridici, politici e culturali, e la politica – anche e soprattutto la politica della sinistra – è costretta a confrontarsi su tutti quei piani. Le forze di sinistra devono affrontare la sfida e riuscire ad elaborare delle posizioni chiaramente identificabili, critiche e insieme costruttive.
Diventa così plausibile avanzare richieste come le misure di transizione, i mezzi di sostegno, i finanziamenti diretti, gli aiuti strutturali, e le connesse tensioni, perché anche se la PAC impegna il 45% dell’intero bilancio dell’Unione, non è un pozzo senza fondo: quel che si vuol dare ai contadini polacchi o cechi, bisogna toglierlo ai loro colleghi francesi o spagnoli.
In materia di politica agricola acquistano particolare rilevanza i problemi della Polonia, dove l’agricoltura occupa il 28% della forza lavoro, in aziende agricole di taglia piccola o minima, anche se esiste una serie di grandi aziende e di cooperative economicamente efficienti che potrebbero affrontare la concorrenza a livello europeo. Ma invece di sostenerle, le si considerate dei “residuati del regime comunista” e perciò stesso squalificate e superate. La sinistra dovrebbe assumere un atteggiamento di ferma opposizione a questa tendenza, che si può osservare anche in Ungheria.
Nei paesi candidati si può osservare una tendenza comune a una crescente polarizzazione: da una parte uno strato sottile, ma sempre più ricco, di “vincitori” del processo di cambiamento, e dall’altra parte un numero sempre più grande di persone che diventano sempre più povere. Per rispondere all’imperativo comunitario delle privatizzazioni, le banche, le assicurazioni, i mezzi di comunicazione di massa e i settori redditizi dell’economia passano nelle mani di imprenditori stranieri. Sotto le pressioni esercitate da Bruxelles in vista dell’adesione, sarà anche ridotta la spesa pubblica per l’istruzione, la sanità e la cultura, in vista di una loro privatizzazione. Molte persone saranno private delle prestazioni sociali e non potranno più permettersi le abitazioni che prima ottenevano gratis. Si rafforza quindi la tendenza a una cittadinanza di seconda classe anche all’interno dell’Unione europea. La stessa tendenza, già osservata in Germania nei confronti della ex DDR, si manifesta qui in maniera molto più netta.
Il problema delle minoranze nei paesi candidati riguarda soprattutto i Rom. L’Unione europea tende a ricercare le cause delle difficoltà all’interno dei paesi candidati, senza considerare la propria responsabilità, nel senso che sono proprio i pesanti fardelli che essa impone a quegli Stati la causa della loro difficoltà a diventare membri dell’Unione. La disoccupazione rampante, i costi sempre crescenti della vita quotidiana, dell’istruzione, della sanità e della cultura colpiscono soprattutto gli appartenenti alle minoranze, che hanno storia e cultura diverse. In questo campo saranno possibili dei progressi solo se entrambe le parti – anche l’Unione europea oltre agli Stati candidati – si assumeranno le proprie responsabilità.
La tendenza dell’UE ad accaparrarsi nuovi mercati e ad ampliare la propria sfera di influenza, tipica dei paesi più grandi e soprattutto della Germania, si evidenzia sempre più apertamente negli Stati candidati, provocando notevoli inquietudini, ma facendo sorgere anche sospetti fra i vari paesi dell’Unione che si trovano in competizione fra loro. E non è da escludere che dalla lotta per la spartizione dei mercati derivino nuove tensioni.
E’ quindi necessario procedere nel dibattito su tutte queste questioni. Gli elementi di analisi contenuti nel saggio sono da elaborare e approfondire.
Il gruppo parlamentare della PDS al Bundestag finora non è stato sufficientemeente attivo; anche al Parlamento europeo la sinistra è solo all’inizio della sua riflessione.
Il prossimo anno verrà organizzata una conferenza per uno scambio di esperienze su questo tema: bisogna quindi elaborare una posizione della PDS sullo sviluppo delle regioni europee e sul sostegno da prestarvi. La conferenza sarà preparata da un gruppo di esperti, in collaborazione con le istituzioni culturali vicine alla PDS.
Le forze di sinistra dei quindici paesi dell’Unione e di tutti i paesi candidati sono perciò sfidate a svolgere un'analisi critica della situazione e a seguire il processo per rafforzare le tendenze alla giustizia sociale.
Queste peraltro sono le premesse da cui partire:
Il progetto è stato ed è trattato e gestito a porte chiuse, senza trasparenza per i cittadini e le cittadine, e senza che si faccia parola di uguaglianza fra i partecipanti alle trattative.
La Commissione parte dal principio che non ci devono essere regolamenti eccezionali e periodi di transizione per i nuovi membri. Risulta quindi già chiaro che non si terranno in alcuna considerazione le esigenze specifiche di ogni territorio, e che non sarà possibile concordare e ammettere eccezioni alle regole.
- Sono state risvegliate grandi speranze nei paesi candidati, non ultimo da parte dei politici della RFT, che si convertono sempre più in delusioni e suscitano dubbi e riserve.
- Nell'UE dei quindici aumentano le contraddizioni; il processo di riforme interne per fare spazio ai paesi candidati è finito in un vicolo cieco e a Nizza finirà soltanto in un compromesso all'insegna del minimo comun denominatore, giacché le grandi potenze non intendono rinunciare ai loro privilegi mentre gli Stati minori non si lasciano mettere ai margini. Non era obiettivo di questo saggio l'approfondimento di queste contraddizioni, ma sarà assolutamente necessario affrontarne l'analisi più avanti, con un nuovo progetto.
- Ancorché all'interno del GUE i diversi gruppi nazionali abbiano posizioni diverse, tutti i partiti che vi sono rappresentati si trovano ad affrontare la sfida di creare e organizzare un nuovo tipo di solidarietà. Conflitti e tensioni sociali sono destinate ad aumentare sia nei rapporti fra i quindici Stati attuali dell'UE sia fra i vecchi e i nuovi membri. I mezzi a disposizione come Fondi strutturali devono essere redistribuiti, i processi di trasferimento del capitale e di dislocazione della produzione nei paesi candidati toglieranno posti lavoro nei paesi dell'attuale UE, e la libertà di movimento di merci, servizi e forza lavoro provocherà ulteriori pressioni. Il capitale straniero controllerà quanto resta della grande industria nei paesi candidati e si orienterà verso i prodotti che possono trarre maggior vantaggio dal basso livello salariale.
- Le piccole e medie industrie verranno spinte sul mercato in numero ancora maggiore di adesso, ma nel medio termine non riusciranno a costruire le basi per uno sviluppo autosostenibile, considerate la scarsità di capitale e la relativa obsolescenza dei mezzi produttivi.
E' uno dei compiti preminenti della sinistra, insieme con sindacati e associazioni, promuovere l'aggregazione solidale dei salariati, delle classi e dei ceti sfruttati, nei paesi dell'UE e nei suoi futuri membri.
- In previsione delle elezioni europee del 2004 è opportuno analizzare fin d'ora la situazione delle forze europee di sinistra che fanno parte del gruppo GUE/NGL e che hanno qualche concreta possibilità di venir rappresentate in Parlamento e quindi nel Gruppo.
Del Gruppo fanno parte attualmente quattordici partiti di dieci paesi. I risultati delle elezioni nazionali sono indicativi delle possibilità che esistono per le prossime elezioni europee. Per quanto riguarda i paesi candidati, finora solo a Cipro e nella Repubblica ceca esiste un partito che è rappresentato nel Parlamento nazionale e che avrebbe la possibilità di aderire al Gruppo della sinistra nel PE. Bisogna d'altra parte tenere presente che le percentuali con le quali oggi la sinistra è rappresentata nel Parlamento europeo non saranno più sufficienti nel 2004, in quanto sul limite massimo di 700 deputati – oggi sono 626 – da 100 a 150 deputati dovranno provenire dalla Polonia, dall'Ungheria e dagli altri paesi dell’Est.
Il successo della sinistra presuppone un nuovo livello di cooperazione politica e un minimo di consenso e di lavoro comune per le elezioni europee del 2004.
Per questo è necessario rafforzare il nostro lavoro politico e di analisi; ed è inderogabile cooperare meglio e di più in direzione di una "Sinistra europea unita".
Si potranno cosí stabilire anche migliori premesse per i rapporti con altre forze politiche all'interno e all'esterno del Parlamento europeo, con sindacati, associazioni, ONG, e – su questioni precise – anche con i partiti verdi e i socialdemocratici.
Oltre a tutti questi sforzi, bisognerà anche fare attenzione che il fattore tempo svolge un ruolo fondamentale non solo in generale per l'UE ma anche per tutte le forze politiche. Altri si sono già organizzati – tocca adesso alla Sinistra unita riconoscere e cogliere le proprie possibilità.
La necessità di riforme istituzionali e di rafforzamento del parlamento europeo
Altri problemi non risolti dell'espansione dell'UEConsiderazioni conclusive per la politica della Sinistra
Gli Stati dell'Unione chiaramente porteranno avanti l'allargamento come progetto egemonico, e quindi non solo verrà impedito ogni processo di apprendimento creativo e dialettico, ma verrà eventualmente messo in pericolo l'intero progetto. L'intero spazio dell'Europa centrale e orientale verrà ordinato non in base alle esigenze regionali, culturali, economiche e politiche, ma in base agli interessi e alle priorità degli Stati d'Europa occidentale.
La politica della Sinistra deve contrastare questo processo e cercare di esercitare la propria influenza nel dibattito pubblico e nelle iniziative parlamentari ed extra-parlamentari sull'allargamento. Nostro obiettivo è che la costruzione dell'Unione europea porti a un'Europa di popoli pacificamente uniti e di Stati in situazione paritaria, a un continente di pace e di democrazia, di rispetto dei diritti dell'uomo, di progresso sociale ed ecologico.
Secondo: un compito molto importante per la Sinistra europea consiste nell'analisi completa delle premesse, degli obiettivi e dei problemi dell'ampliamento e – se necessario – nell'elaborazione di alternative comuni, in opposizione alle priorità delle élites europee. Per questo è urgente e necessaria una stretta collaborazione fra le forze della sinistra.
Terzo: la politica della Sinistra tende all'obiettivo di un'Europa solidale. Questo vale non solo per i rapporti all'interno dell'UE, ma anche verso i paesi più deboli e svantaggiati, in particolare i nuovi candidati all'ingresso nell'Unione. La politica della Sinistra deve tendere a proteggere gli interessi legittimi dei paesi candidati, garantire l'aiuto e assicurare un trattamento su un piano di parità. L'identità europea si sostanzia anche come solidarietà europea.
Quarto: la Sinistra europea ha la pesante responsabilità di far sí che il processo di unificazione europeo non degeneri in progetto elitario e tecnocratico, ma si realizzi come processo democratico. Considerati gli alti rischi connessi con l'allargamento dell'Unione europea, un ruolo preminente nel processo deve essere svolto dalla cooperazione e dalla codecisione dei cittadini e dei parlamenti. In questo contesto la Sinistra dovrebbe insistere sull'ulteriore potenziamento del Parlamento europeo e della sua iniziativa politica nel processo di allargamento. La costituzione di una Commissione speciale del Parlamento europeo, dedicata a questi temi, potrebbe dare un contributo in questo senso.
Quinto: nel processo di estensione a est dell'UE la Sinistra dovrebbe prestare particolare attenzione a questi punti:
Settimo: la Sinistra dovrebbe promuovere la disponibilità di maggiori risorse per le politiche strutturali e i fondi regionali. Per l'adeguamento strutturale, la protezione dell'ambiente e dei consumatori e per lo sviluppo delle zone agricole dei PECO, l'Europa dovrebbe mettere a disposizione mezzi finanziari più ampi, senza peraltro ridurre i mezzi a disposizione dei paesi già membri dell'Unione.
Ottavo: considerati i problemi di adeguamento e le sfide che le zone europee di confine con i PECO devono affrontare, la Sinistra europea dovrebbe esigere programmi speciali di preparazione e di adeguamento.
Nono: le sinistre europee dovrebbero elaborare delle posizioni comuni in materia di riforme istituzionali dell'Unione europea in vista dell'allargamento, di finalità dell'Unione e dei suoi futuri confini, di ulteriore sviluppo dell'unione economica e monetaria e infine riflettere sulle conseguenze dell'allargamento rispetto ai paesi confinanti e a quelli ACP (Africa, Caribe, Pacifico).
Il progetto di costituzione di uno "zoccolo duro" europeo, sostenuto da parte francese e tedesca, deve essere combattuto. Considerata la molteplicità in forte aumento degli atteggiamenti culturali, degli interessi e dei percorsi di sviluppo, bisogna elaborare una logica alternativa di integrazione nell'UE, che muova dal rifiuto dell'idea di un centro burocratico in favore di un modello policentrico e decentralizzato.
Tendenze e strategie dell'integrazione dei paesi d'Europa orientale nell'Unione Europea
Assistenza e ignoranza
Convergenze e divergenze
Ritardi e deviazioni
Conclusioni
Sviluppare l'iniziativa filosofica e comprendere il nostro tempo
Amici e compagni,
Al volgere del secolo, lo sviluppo economico nei paesi capitalisti si scontra con nuove caratteristiche e contraddizioni. La causa della trasformazione socialista è soggetta anch’essa a nuove forme di difficile esplorazione, alla ricerca di un nuovo regno. Idee nuove come lo “sviluppo sostenibile” implicano che la strategia dello sviluppo economico nella società umana oggi deve affrontare nuove trasformazioni. Oltre a ciò, la situazione internazionale oggi vive cambiamenti ampi e profondi. Ancorché si postuli il superamento della guerra fredda, la pace e lo sviluppo come temi chiave e motivi principali del mondo stentano a dispiegarsi in maniera completa. Compito prioritario del XXI secolo resta la creazione di un nuovo ordine internazionale economico-politico, teso a mantenere la pace e promuovere lo sviluppo comune di tutta l’umanità. La globalizzazione economica è diventata una tendenza generale di sviluppo, che ha generato un fortissimo impatto sull’economia globale, sulla politica, sulla vita sociale e su molti altri aspetti che vi sono coinvolti. Un impatto di questo genere si rifletterà sicuramente sulla dimensione teorica mettendo la filosofia di fronte a nuove sfide. La globalizzazione economica, per esempio, darà luogo a questioni relative allo status storico delle singole nazioni o stati. Quale nozione di eguaglianza sia necessaria per costruire un ordine economico-politico mondiale che sia giusto e ragionevole è un fatto sicuramente associato alle questioni relative alla differenza di valori culturali e all’universalità. Parallelamente, la maniera di affrontare queste questioni ci porta a un’ulteriore questione circa la probabilità di condurre in maniera legittima interazioni e comunicazioni giuste, per la comune ricerca del consenso, fra nazioni e stati molto diversi per eredità culturale e sistema economico-politico. Tutto ciò esercita un’influenza diretta sulla tendenza globale del XXI secolo. Di fronte a questi aspetti critici della realtà, molti di noi hanno notato ancora una volta quanto fossero profetiche le previsioni di Marx sullo sviluppo storico del genere umano. Egli per esempio ha previsto che la storia dell’uomo sarebbe diventata storia mondiale. Secondo me, un’ulteriore analisi di queste idee e di questi messaggi tanto importanti ci permetterebbe di raggiungere risultati nuovi e notevoli negli studi di filosofia marxista.
Lo sviluppo scientifico-tecnologico e la filosofia marxista
L’evoluzione del giudizio sulla realtà
La riforma del modo di pensare
3. L'estensione della razionalità scientifica
4. La trasformazione dei ruoli sociali
Il processo filosofico cinese contemporaneo e la filosofia marxista del XXI secolo
Il processo filosofico cinese di oggi si puó riassumere come segue: nuova analisi della filosofia marxista, analisi della filosofia in sè e ricostruzione creativa della filosofia marxista. Questi tre stadi del processo filosofico rappresentano teoricamente sia il corso storico che quello spiriturale della Cina contemporanea. Qui ci proponiamo di guardare alla filosofia marxista del nuovo secolo dal punto di vista del processo filosofico della Cina di oggi.
Dopo il 1980, quando l'economia pianificata ha ceduto il passo a una economia orientata al mercato, con la politica di riforma e di apertura al mondo esterno praticata in Cina, la ricerca filosofica cinese ha abbandonato la "filosofia del libro di testo" muovendo verso una riforma e un nuovo dibattito filosofico in cui sono emersi i concetti di "soggettività" e di "materialismo pratico".
Vale la pena approfondire l'intenzione teoretica del concetto di "materialismo pratico". Apparentemente sembra solo un problema di "definizione" della filosofia marxista; ma nella sostanza si tratta di un problema di "orientamento", di come intendere la filosofia marxista. La ragione per cui la formulazione di "materialismo pratico" assume il significato di "orientamento" per intendere in senso nuovo la filosofia marxista è che vi si cristallizzano i risultati teoretici più importanti conseguiti dai circoli filosofici cinesi in dieci anni di dibattito, negli anni 80. Se si vuole continuare ad usare il metodo delle "quattro divisioni" del testo dei Principi di filosofia marxista, si troverà che: nel senso della "visione del mondo", il "materialismo pratico sottolinea la necessità di intendere il rapporto fra l'Uomo e il Mondo, il Pensiero e l'Essere dal punto di vista della prassi, con una riforma quindi delle tesi del libro di testo; nel senso dell'Epistemologia, il materialismo pratico sottolinea la necessità di intendere la relazione sia pratica che cognitiva fra soggetto e oggetto dal punto di vista del "soggetto" e mette l'accento sulle funzioni di "scelta", "riflessione" e "costruzione" dei "soggetti" che fanno sí che la teoria della "riflessione attiva" si trasformi in autentica "attività" reale; nel senso della Dialettica, il materialismo pratico vuole chiarire le contraddizioni fra l'Uomo e il Mondo, il Pensiero e l'Essere, il Soggetto e l'Oggetto, il Soggettivo e l'Oggettivo, e sottolinea l'essenza critica della dialettica e il modo di pensare di tipo riflessivo; nel senso della "visione della storia", il materialismo pratico vuole comprendere la legge dello sviluppo storico come frutto dell'azione degli uomini, non in base a una "legge storica" staccata dall'attività umana, e vuole spiegare tutte le questioni filosofiche in termini di storicità dell'esistenza umana cosí da arrivare a unificare le quattro sezioni – la visione del mondo, l'epistemologia, la dialettica, la visione della storia – in termini di prassi.
Possiamo definire la filosofia cinese degli anni 80 come un processo che parte dall'esigenza di riformare il testo dei Principi di filosofia marxista mediante una nuova interpretazione e una nuova costruzione del sistema filosofico marxista per sfociare nel concetto teorico – ricco e generoso – di "materialismo pratico". La logica filosofica fondamentale contenuta in questo processo filosofico consiste nella transizione da una reinterpretazione della filosofia marxista alla reinterpretazione della filosofia in sè. Il problema della "visione filosofica" – che è il problema della auto-rappresentazione della filosofia – si è posto poi negli anni 90.
La "coscienza del sistema" è stata la coscienza principale e dominante dei circoli filosofici cinesi per tutti gli anni 80. I cosiddetti "problema immediato" e "problema del punto focale" era in stretta relazione con la "coscienza del problema" dei sistemi ricostruttivi. La nota più rilevante è che negli anni 80 i cosiddetti "problemi immediati" e "problemi focali" come il problema dell'ontologia materiale e dell'ontologia pratica, il problema della teoria della riflessione e della selezione, il problema dello storicismo e del non-storicismo vennero aspramente dibattuti come problema centrale delle "quattro divisioni" del "sistema", cioè "materialismo", "epistemologia", "dialettica" e "visione storica". Inoltre il "materialismo pratico" che aveva funzione di "definizione" e di "orientamento" della filosofia marxista fu giustamente presentato come ricostruzione dei "principi esplicativi" della filosofia marxista. Comunque, la "coscienza del sistema" per la ricostruzione della filosofia marxista non aveva alcuna possibilità di ricostruire il sistema negli anni 80 perché mancavano tre importanti premesse teoretiche oltre alla premessa storica, cioè la disponibilità di sufficienti "risorse teoretiche", la scoperta di reali "giudizi teoretici" e la formazione di un nuovo "modo di pensare teoretico".
La cosiddetta insufficienza delle "risorse teoretiche" era dovuta dall'insufficiente studio sistematico del "testo" di filosofia marxista ma soprattutto al fatto di restare confinati alla visione proposta dal testo di filosofia marxista. La premessa per capire la filosofia marxista è capire la filosofia in sè; se gli studiosi non hanno una visione ampia e una comprensione aperta, non possono ricostruire il sistema filosofico marxista a livello contemporaneo. Perció il compito primario per la ricostruzione della filosofia marxista sarebbe la comprensione della filosofia in termini contemporanei. Non è un caso che negli anni 90 gli ambienti filosofici cinesi si siano gradualmente interessati alla comprensione della filosofia, dedicandosi in particolare a un'analisi comparativa della filosofia marxista, della filosofia tradizionale cinese e della filosofia occidentale.
La grande trasformazione della filosofia cinese dalla "coscienza del sistema" alla "coscienza del problema" e perció il passaggio da "un solo problema" a "tutti i problemi" ha dato una base stabile per lo sviluppo della filosofia cinese nel prossimo secolo. I filosofi della Cina hanno abbandonato i dibattiti astratti, vuoti e semplicistici e hanno acquisito una notevole preparazione teoretica per lo sviluppo filosofico nel secolo a venire. E questo sviluppo è destinato a seguire la "logica filosofica" insita nel processo filosofico della Cina contemporanea, cioè a ricostruire in maniera creativa la filosofia marxista.
Il ventunesimo secolo: l'era della rivoluzione della natura umana
Per molti secolo l'uomo si è appreso secondo quei due modi di pensare. Dal mio punto di vista, quelle due maniere astratte di apprendere la natura umana sono una delle ragioni che hanno condotto alle disgrazie e ai disastri, che nella nostra epoca hanno caratterizzato il rapporto fra gli uomini da una parte, e fra gli uomini e la natura dall'altra. Nel ventesimo secolo, gli esseri umani hanno dato libero sfogo alla loro abilità e alla loro razionalità e hanno manifestato la loro creatività sotto tutti gli aspetti: è indubbio infatti che nel secolo che si chiude la produzione, la scienza e la tecnologia hanno fatto progressi mai visti. Ma d'altra parrte il ventesimo secolo è stato anche un'epoca di grandi crisi di ogni genere, che hanno dimostrato tutte le debolezze della natura umana: conflitti etnici, persecuzioni religiose, guerra nucleare, inquinamento ambientale, squilibri ecologici eccetera hanno messo in pericolo le basi stesse della sopravvivenza dell'umanità. Di fronte a tutti questi problemi è nostro dovere riflettere e dare delle risposte: a che cosa tendono gli uomini? Come capire e sviluppare la natura umana? Quale futuro ci aspetta?
L'essenza dell'uomo si è sviluppata e perfezionata nel corso della storia. Penso che fino ad oggi l'uomo ha realizzato la sua natura umana in una maniera unilaterale: nell'epoca moderna l'uomo ha intrapreso varie importanti rivoluzioni, come la rivoluzione religiosa del sedicesimo secolo, la rivoluzione filosofica del diciassettesimo secolo, poi quella politica nel secolo successivo, quella sociale nel diciannovesimo secolo e infine quella della scienza e della tecnologia nel secolo che si sta chiudendo. Tutte queste rivoluzioni sono state un fattore di liberazione dell'uomo sotto vari aspetti, ma d'altra parte hanno impedito altre possibilità che erano presenti e sono sfociate in una nuova repressione della natura umana.
Le due idee cui accennavamo sopra, di deificare l'uomo o di ridurlo a materia, erano basate su uno stato storico imperfetto dell'uomo. Dopo tanto tempo, dovremmo essere più maturi e capire l'uomo e la natura umana da tutti i punti di vista. Dobbiamo procedere alla ridefinizione in senso completo della natura umana. Le difficoltà che oggi gli esseri umani sono chiamati a fronteggiare si possono risolvere solo sviluppando integralmente la natura umana in tutti i modi. L'idea di Karl Marx sullo sviluppo integrale dell'uomo non è solo un'esigenza della storia, ma anche un bisogno della realtà. In questo senso, mi pare, la rivoluzione della natura umana dovrebbe costituire un punto molto importante della nostra riflessione, nel secolo a venire.
Per superare la vecchia tesi che vuole l'uomo angelo o animale, bisogna ricostruire una nuova visione della natura umana. Avanzo a questo proposito alcuni punti che corrispondono alle mie convinzioni personali.
L'oggetto è deciso dalla natura, è singolo, immutabile e finito, ma l'uomo si crea da sè, puó cambiare nel corso della storia, proprio come ha detto Marx: è il modo di produzione che decide che cosa è l'uomo. Per molto tempo gli uomini sono stati abituati a un modo di pensare legato alla materia e tendono perció a comprendere la natura umana in questa maniera. Ancor oggi, molte persone non riescono ad abbandonare questi modi astratti e sono sempre alla ricerca di ció che è peculiare e immutabile nella natura umana, come giusto e inevitabile risultato di una maniera di pensare che è più vicina alla materia. In primo luogo bisogna quindi distruggere questa maniera di pensare, per porre la premessa fondamentale di una comprensione integrale dell'essere umano.
La vita dell'uomo evolve dagli animali, in origine, ma l'essere umano è diverso dagli animali. Ció che realmente lo distingue, peraltro, è il cambio del modo di vita. Si puó dire che il modo di vita degli animali è caratterizzato dall'adattamento, mentre l'uomo crea i suoi mezzi specifici di sopravvivenza mediante il lavoro, cosicché il modo di vita dell'uomo è frutto della sua autocreazione. Il cambio dei modi di vita dell'uomo significa che cambiano i rapporti fra la vita e l'ambiente e fra la vita e la natura. In origine, la vita è dominata dalla natura, ma ora la vita dell'uomo viene decisa da lui. In origine, il significato della vita è di realizzare il ciclo naturale, mentre oggi l'uomo puó trascendere il ciclo naturale per realizzare il valore dell'eternità. Si tratta di mutamenti qualitativi, che indicano che la vita si è liberata dalla natura e che l'uomo si è liberato dalla vita. In questo senso, l'uomo non è più un animale guidato dagli istitnti naturali, ma diventa un dominatore che puó decidere la sua attività.
E si puó quindi giungere a una conclusione cher è quasi ovvia: la vita del'uomo non è più unilaterale, ma ha acquistato un'altra dimensione, gli esseri umani hanno creato una nuova vita che è in grado di dominare la vita biologica. Se si accetta l'idea che la vita ha un duplice aspetto, si puó capire il valore dell'esistenza dell'uomo e la natura specifica dell'umanità, sempre tesa alla ricerca dell'eternità.
L'uomo vive fra il cielo e la terra, il suo modo specifico di esistere creando i suoi mezzi di sussistenza mediante il lavoro lo pone al centro di rapporti universali: le attività pratiche non solo portano gli individui ad aggregarsi e formare un tutto, ma anche dell'uomo e del mondo fanno un tutto. Nelle sue attività pratiche, l'uomo scambia con il mondo esterno anche significato ed essenza, oltre a materiali, energia e informazione; con questi scambi, la natura diventa il corpo inorganico dell'umanità, l'energia naturale diventa il tremendo potere di cui l'uomo puó fare uso, l'origine di tutta la sua potenza. In questo senso, la natura dell'uomo ha due aspetti: da una parte l'uomo è autocentrato, e dall'altra egli è aperto al mondo; da una parte, egli evolve dalla natura e si rende indipendente; dall'altra egli realizza l'unità essenziale e si combina in un tutto unico con la natura; attraverso la sua attività pratica, egli persegue l'unicità che lega insieme l'uomo e il cielo.
Per un tempo molto lungo abbiamo accettato l'idea della dicotomia fra soggetto e oggetto, secondo la tradizione occidentale. Questa concezione è alla radice della distruzione ambientale e delle crisi ecologiche dei nostri giorni. Non possiamo risolvere questi problemi limitandoci a proclamare che "il soggetto è morto", come dicono alcuni filosofi. Come dicevamo prima il punto chiave di questi problemi è l'astrazione e l'unilateralità del nostro pensiero, e li potremo risolvere solo con la comprensione e lo sviluppo di tutta intera la nostra natura in maniera completa.
Il ventunesimo secolo sarà l'epoca della "rivoluzione della natura umana", cioè della liberazione dell'uomo dalle concezioni astratte e dalle idee unilaterali nonché dalle azioni sbagliate dominate dalle vecchie idee sulla natura umana, per realizzare la natura umana in maniera integrale e "portare l'uomo ad appropriarsi del suo essere integrale in una maniera integrale, come uomo totale". Quando tutti gli uomini si renderanno conto di essere insoddisfatti della realtà attuale, la rivoluzione della natura umana diventerà un fatto inevitabile.
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