Riccardo Bravi

 

Il volume a cura di Miguel Mellino e Andrea Ruben Pomella, Marx nei margini. Dal marxismo nero al femminismo postcoloniale (Alegre, 2020, pp. 332, 18 euro) tenta di ridefinire lo schema concettuale degli studi marxisti allargandone il portato a una serie di elementi che oltrepassano il dualismo borghesia/proletariato, nel tentativo di comprendere globalmente questa vasta dottrina di analisi sull’uomo e sulla società.

Rifuggendo da una visione prettamente “eurocentrica” del marxismo, gli studi presentati cercano di ricollocare il materialismo storico nello spettro di una rivalutazione mondiale del suo portato rivoluzionario, dove razzismo, colonialismo, femminismo, Cultural e Subaltern Studies costituiscono la materia viva sulla quale distendere – scrive Mellino nell’introduzione, ampliando il campo semantico del termine impiegato a sua volta da Fanon nei Dannati della terra (1961) – il marxismo. “Il titolo scelto potrebbe rinviare a Marx at the Margins, di Kevin B. Anderson. Tuttavia, a differenza dell’importante lavoro di Anderson, il nostro testo propone un’operazione diversa: non tanto riprendere il lavoro di Marx sui margini quanto un confronto con i margini stessi del marxismo come costellazione teorico-politica genealogicamente europea”, insiste ancora Mellino. Pertanto, attraverso l’analisi di voci dislocate in varie parti del globo (A. Cabral, J. C. Mariátegui, H. P. Newton, A. Césaire), talvolta poco affrontate nell’ambito di una rilettura globale del marxismo, ed altre europee di più ampia conoscenza (G. Spivak, L. Althusser, R. Williams) inserite a pieno nel tessuto del “marxismo bianco” occidentale, il volume intende porsi come una disamina a 360 gradi del modo di affrontare, non solo le implicazioni economiche che deriverebbero dall'analisi dei rapporti di classe (borghese/proletario-colonizzatore/colonizzato ecc.), ma anche quelle accezioni di razza, cultura e genere che ne sarebbero sottintese e che sembrerebbe siano state trascurate dalla visione eurocentrica dei partiti comunisti del Vecchio continente, troppo impegnati, a giudizio dell'autore, a promuovere l’avvento di una possibile rivoluzione socialista mondiale, senza preoccuparsi molto del carattere specifico ed eterogeneo delle diverse identità nazionali. E questo proprio nel momento in cui lo scoppio delle rivoluzioni anticolonialiste sembrava dare una scossa allo status quo e ai rapporti di dominio che lo fondavano.

Recuperando categorie che formano già l’ossatura del primo marxismo – razzismo, colonialismo, imperialismo – insieme ad altre desunte dagli Studi di Genere e dagli Studi Culturali, lo scopo del volume è infine quello di allargare il campo di azione del movimento fondato dal filosofo di Treviri, individuandone tanto i limiti quanto le potenzialità emancipatrici. Potenzialità spesso inibite da un quadro discorsivo incentrato in massima parte sull’“operaio bianco”. Si tratta di un quadro dai confini decisamente ristretti, che è giunto il momento di rimettere una volta per tutte in discussione, anche in considerazione dei “problemi che si trova ad affrontare l’Europa nella congiuntura politica attuale”.

  

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