Alessio Soma

 

Il periodo del cosiddetto “biennio rosso” al giorno d’oggi è noto soprattutto per le rivolte operaie del nord Italia e le insurrezioni dei mezzadri e braccianti nel centro-sud, che portarono nei casi più estremi alle occupazioni delle fabbriche e dei campi, nonché alla nascita dei primi soviet in Italia. In realtà, va precisato che tra il 1919 e il 1920 una buona parte del proletariato italiano si trovava ancora arruolata sotto le armi, in quanto la smilitarizzazione successiva alla fine della prima guerra mondiale procedeva (per volontà della stessa classe dirigente, che temeva il ritorno improvviso dal fronte di una massa avvezza alla violenza e all’uso delle armi) con una certa lentezza.

A tal proposito il libro di Ruggero Giacomini, Via da Valona! La rivolta dei bersaglieri e le “giornate rosse” (Castelvecchi editore, Roma 2020), riporta alla luce la storia dell’11° reggimento bersaglieri di stanza ad Ancona, che dopo la notizia di essere stato selezionato come reparto di rinforzo delle truppe italiane sul fronte albanese, decise di opporsi a una nuova guerra di stampo imperialista per mezzo dell’insurrezione.

Giunto il giorno della partenza per Valona (26 giugno 1920), i bersaglieri, sostenuti anche da alcuni soldati della fanteria e dalla squadriglia autoblindo, si precipitarono a disarmare e imprigionare i propri ufficiali, acquisendo quindi il controllo dell’intera caserma. Fondamentale per la riuscita della prima parte dell’operazione, furono certamente gli accordi intessuti nei giorni precedenti con gli elementi anarchici, repubblicani e socialisti di Ancona, i quali sostennero immediatamente la causa dei soldati che si rifiutavano di partire per un nuovo conflitto in Albania.

Giacomini ricostruisce, attraverso i fascicoli degli atti giudiziari e i documenti d’archivio, come i bersaglieri avessero ottenuto la stima e il sostegno di una buona parte della popolazione anconetana, che a sua volta non esitò a scendere in piazza per manifestare il suo dissenso contro il governo, dando così avvio alle cosiddette giornate rosse.

La reazione del Ministero dell’Interno non si fece attendere: si ordinò di far circondare la caserma con i carabinieri disponibili e vennero richiesti 350 uomini del 93° reggimento fanteria di stanza a Sirolo e 200 guardie regie provenienti da Pesaro da far sbarcare nel porto di Ancona; forze che si aggiungevano ad altre 500 guardie regie inviate direttamente da Roma. Nonostante il poderoso dispiegamento militare per reprimere definitivamente l’insurrezione, questa continuò per ben tre giorni nel capoluogo marchigiano, anche dopo la resa dei bersaglieri, giunta soltanto dopo che il comando dell’esercito aveva promesso di non farli più partire per il fronte balcanico.

La prosecuzione delle giornate rosse ad Ancona evidenziò ulteriormente come il sostegno popolare fu certamente presente, al punto che la rivolta non si concluse nemmeno dopo il ritorno nei ranghi dell’11° reggimento di bersaglieri: come sottolineato da Giacomini, questo fu possibile grazie all’organizzazione messa in atto dalle sedi locali anarchiche, socialiste e repubblicane, che favorirono anche la requisizione delle armi, fondamentali per il proseguimento della lotta.

Il testo riesce infatti a farci comprendere come in quei giorni l’ideale della rivoluzione bolscevica fosse particolarmente avvertito almeno da una parte delle masse popolari; nel giro di poco tempo, infatti, le giornate rosse si estesero ben oltre la città di Ancona, fino a raggiungere le campagne marchigiane e importanti centri urbani come Bologna, Milano e Roma.

Ma le giornate rosse, oltre a costituire l'embrione di un movimento rivoluzionario insurrezionalista, favorirono anche un'interrogazione parlamentare da parte del Partito Socialista sulle ragioni per cui il Governo seguitasse a combattere la guerra in Albania senza aver informato l’intera classe politica italiana. A questa interrogazione, né il Ministro della Guerra Bonomi, né il Presidente del Consiglio Giolitti seppero rispondere con efficacia, tanto che il 2 agosto 1920 furono costretti a firmare un nuovo accordo con l’Albania, in cui si affermava che l’Italia avrebbe ritirato definitivamente le proprie truppe da Valona e dintorni.

Nel volume risulta inoltre particolarmente interessante il capitolo che ricostruisce, attraverso una sintesi puntuale, l’analisi delle giornate rosse elaborata da Antonio Gramsci.

La visione gramsciana offre infatti preziosi spunti per acquisire una visione complessiva del fenomeno rivoluzionario delle giornate. Nell'‹‹Ordine Nuovo››, l'intellettuale marxista conduce un’indagine su coloro che venivano spediti sul fronte albanese: si trattava di uomini politicamente orientati a sinistra, o comunque considerati pericolosi dal Governo per la tenuta dell'ordine sociale vigente. La guerra in Albania ci appare allora sotto una diversa luce: essa sembra svolgesse la funzione di contenimento e repressione degli elementi sovversivi della sinistra italiana.

Oltre a questa disamina, Gramsci analizzò anche le ragioni del mancato scoppio di quella rivoluzione socialista che avrebbe potuto scaturire dalle proteste popolari delle giornate: secondo l'intellettuale sardo queste andavano rintracciate nel divario esistente fra le masse e la dirigenza socialista, la quale, evitando volutamente di intercettare l’insurrezione e di imprimerle un carattere rivoluzionario, si limitò ad assolvere di fronte ad essa un ruolo ben più contemplativo che attivo, perdendo così l'occasione che la Storia le aveva offerto per fare conoscere all'Italia una radicale trasformazione di sistema. Questa tesi venne in seguito sostenuta anche da Pietro Nenni (citato dallo stesso Giacomini), che accusava il Partito Socialista del tempo di essersi crogiolato in una mera “contemplazione della sua forza” e di aver dimenticato cheuna rivoluzione che si annuncia ogni mattino e che si rinvia ogni sera è una rivoluzione vinta fin dall’inizio”.

In conclusione, benché Giacomini non dissimuli nel corso delle pagine la propria partigianeria, Via da Valona costituisce un lavoro storiografico assolutamente prezioso: sia per la molteplicità dei documenti che vengono presentati, sia per l'afflato e la partecipazione sentimentale con cui le vicende vengono raccontate. Vicende che, ripercorse ancora da questo volume a cento anni di distanza, non possono non ridestare a tutt'oggi i nostri stessi animi.

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