Simone Grecu

 

Riflettere sul pensiero e l’opera di Rosa Luxemburg a cento anni dalla morte significa, per usare le parole di Lelio Basso, su un ragionamento “perfettamente valido ancor oggi, per l’elaborazione e l’approfondimento di una strategia di lotta del movimento operaio […] anzi sempre più attuale a misura che i militanti più seri e più impegnati, spezzate le catene del dogmatismo e abbandonate le illusioni perennemente risorgenti dell’opportunismo, riprendono contatto con la sorgente viva del pensiero marxista riscoprendone l’inesauribile ricchezza” (Introduzione a R. Luxemburg, Scritti politici, 1967, p. 13).

Del resto, come ebbe a dire Lenin (che ne criticò le posizioni sulla questione dell’indipendenza nazionale, sul menscevismo, sull’accumulazione del capitale, riconoscendole però il suo averli in massima parte corretti) a pochi anni dalla morte della rivoluzionaria polacca (naturalizzata tedesca):

A dispetto dei suoi errori lei era - e per noi resta - un'aquila. E i comunisti di tutto il mondo si nutriranno non solo del suo ricordo, ma della sua biografia e di tutti i suoi scritti (nelle pubblicazioni disordinatamente aggiornate dai comunisti tedeschi, solo parzialmente scusabili dalle tremende perdite subite durante la loro dura battaglia) serviranno da utili manuali nella formazione delle future generazioni di comunisti di tutto il mondo.” (Note di un pubblicista, Pravda, 1924[1]).

Questo breve articolo non ha certo l’arroganza di esporre per intero il pensiero politico di Rosa Luxemburg o di scrivere un piccolo “manuale” ad uso del militante. Vorrei invece soffermarmi su uno scritto particolare, “Riforma sociale o rivoluzione?”, scritto sul finire del XIX secolo (era il 1898) in risposta alle tesi revisioniste di Eduard Bernstein. Sempre Lelio Basso, nell’introdurre tale saggio, osservava che “il valore dello scritto di Rosa Luxemburg non è quindi tanto legato alla polemica contingente [...ma] è nel metodo, e il metodo è tuttora valido, anzi più importante oggi che la pratica dell’opportunismo, battezzato come <<realismo politico>> o anche <<politica delle cose>>, ha devastato pressoché tutto il movimento operaio occidentale” (Nota introduttiva a “Riforma sociale o rivoluzione?”, Scritti politici, p. 144).

Le parole di Basso si capiscono se consideriamo che pochi anni prima, nel 1963, il Partito Socialista Italiano (al quale egli apparteneva), era entrato a far parte del primo governo di centro-sinistra “organico” della storia d’Italia, assieme alla Democrazia cristiana, allora partito di maggioranza relativa. Basso, che assieme ad altri dirigenti rappresentava l’ala sinistra del PSI, uscì per fondare il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP), poi confluito in massima parte nel Partito Comunista Italiano alcuni anni dopo (1972), scelta però non condivisa da Basso, che preferì dunque rimanere “senza partito”.

Ma si colgono ancora di più se consideriamo quale è stata la storia dei comunisti in Italia negli ultimi 25 anni. Stretti nella cornice di sistemi elettorali maggioritari o pseudo tali, giustificando le proprie alleanze con il centrosinistra neoliberale (quello dei Bersani, degli Ichino, dei Prodi e dei D’Alema) motivandolo con un “pericolo della destra”, si è finiti per giustificare infinite giravolte teoriche e pratiche a livello nazionale, regionale e locale. Si è assunto così il punto di vista dell’avversario, magari mascherato dietro la parola d’ordine dell’”unità a sinistra”.

Ecco il valore dello scritto di Rosa Luxemburg. Dato alle stampe in un’epoca in cui ancora non esisteva una divisione formale tra comunisti e socialisti (la Prima guerra mondiale e la Rivoluzione russa erano ancora di là da venire), c’era però una divisione interna ai partiti socialisti sul come muoversi. La Luxemburg si riferisce al movimento operaio organizzato in partito politico come “socialdemocrazia”, in cui convivevano le correnti revisioniste (quale quella di Bernstein) e le correnti rivoluzionarie, orientate queste ultime al socialismo.

Le posizioni di Bernstein riflettevano l’entrata di strati sociali e classi estranee al movimento operaio: contadini e piccolo borghesi. L’allora partito socialdemocratico non elaborò un programma, una sua visione della transizione, per portare a sé questi strati: fece l’esatto opposto, adattandosi opportunisticamente ai loro orientamenti. Tale atteggiamento è oggi tipico non più del vecchio centro-sinistra (ormai in buona parte passato direttamente dall’altra parte, quella del nemico di classe) ma proprio di quelle forze che si presentano come “antisistema” o “del cambiamento”: l’atteggiamento ondivago dei Cinque Stelle è tipico di quei partiti cresciuti in brevissimo tempo grazie all’afflusso di ceti e strati anche molto diversi senza una sintesi politica.

Contro le tesi di Bernstein la Luxemburg concentrò tutto il suo acume politico. In una lettera, scrisse infatti a Jogisches “sono pronta a dare la metà della mia vita per questo articolo [contro Bernstein]” (ibid., p. 139), consapevole che fosse necessario opporre alle tesi revisioniste non argomenti marginali, ma tutto il fuoco della teoria marxista.

Le primissime pagine dello scritto sono già di per sé illuminanti:

“Il titolo del presente scritto può a tutta prima sorprendere. Riforma sociale o rivoluzione? La socialdemocrazia può dunque essere contro la riforma sociale? O può contrapporre la rivoluzione sociale, il rovesciamento dell'ordine esistente, che costituisce il suo scopo finale, alla riforma sociale? Sicuramente no. Al contrario, per la socialdemocrazia la lotta pratica quotidiana per delle riforme sociali, per il miglioramento della condizione del popolo lavoratore anche sul terreno dell'ordine esistente, per delle istituzioni democratiche, costituisce la sola via per condurre la lotta di classe proletaria e per lavorare in vista dello scopo finale, che è la presa del potere politico e l'abolizione del salariato. Fra riforma sociale e rivoluzione sociale esiste per la socialdemocrazia un nesso indissolubile, in quanto la lotta per le riforme costituisce il mezzo ma lo scopo è la trasformazione della società. Una contrapposizione di questi due momenti del movimento operaio noi troviamo per la prima volta nella teoria di E. Bernstein come egli l'ha esposta nei suoi articoli Problemi del socialismo nella Neue Zeit 1897-98 e particolarmente nel suo libro Presupposti del socialismo. Tutta questa teoria non conclude ad altro che al consiglio di rinunciare alla trasformazione della società, cioè allo scopo finale della socialdemocrazia, e di fare viceversa della riforma sociale lo scopo anziché un mezzo della lotta di classe. Bernstein stesso ha formulato i suoi punti di vista nel modo più preciso e incisivo quando ha scritto: "Lo scopo finale, qualunque esso sia, per me è nulla, il movimento è tutto". Ma poiché lo scopo finale socialista è il solo momento decisivo che distingue il movimento socialdemocratico dalla democrazia e dal radicalismo borghesi e che trasforma tutto il movimento operaio da un'inutile rattoppatura per la salvezza dell'ordine capitalistico in una lotta di classe contro quest'ordine e per la sua abolizione, la domanda "riforma sociale o rivoluzione" nel significato bernsteiniano equivale per la socialdemocrazia alla domanda: essere o non essere? Nella controversia con Bernstein e i suoi seguaci non si tratta in ultima analisi di questo o quel metodo di lotta, di questa o quella tattica, ma dell'intiera esistenza del movimento socialdemocratico. Comprendere ciò è doppiamente importante per gli operai, perché qui si tratta proprio di loro e della loro influenza nel movimento, perché è la loro pelle che qui si porta al mercato. L'indirizzo opportunistico nel partito, formulato teoricamente da Bernstein, non è altro che l'inconscia aspirazione ad assicurare il predominio agli elementi piccolo-borghesi affluiti al partito e a rimodellare secondo il loro spirito la prassi e gli scopi del partito. Il problema della riforma sociale e della rivoluzione, dello scopo finale e del movimento è l'altra faccia del problema del carattere piccolo-borghese o proletario del movimento operaio.” (R. Luxemburg, Scritti politici, 1967, p. 145-146, grassetto nostro)

Per Rosa Luxemburg la contrapposizione tra riforme e rivoluzione è inesistente. Eliminare l’obiettivo politico del socialismo porta al riformismo, eliminare la lotta quotidiana per le riforme porta invece all’attendismo parolaio, alle frasi scarlatte e ai discorsi urlati senza davvero incidere negli equilibri reali. Per chi leggerà queste righe non sarà difficile trovare esempi sia dell’uno che dell’altro tipo anche al giorno d’oggi.

La seconda frase evidenziata poco sopra, se correttamente riformulata considerando le trasformazioni politiche dell’ultimo secolo, è ancora di straordinaria importanza: “Lo scopo finale socialista è il solo momento decisivo che distingue il movimento socialista e comunista dalla socialdemocrazia e dal radicalismo borghesi e che trasforma tutto il movimento operaio da un'inutile rattoppatura per la salvezza dell'ordine capitalistico in una lotta di classe contro quest'ordine e per la sua abolizione”.

La rivoluzionaria polacca criticava inoltre la visione di Bernstein per cui sindacati e cooperative fossero di per sé strumenti necessari per “far partecipare gli operai alla ricchezza sociale”:

“I due strumenti bernsteiniani della riforma socialista - cooperative e sindacati - si rivelano [...] del tutto inadatti a trasformare il modo di produzione capitalistico. In fondo Bernstein ne è oscuramente cosciente e li considera solo come mezzi per ridurre il profitto capitalistico e arricchire in tal modo gli operai. Ma egli così rinuncia proprio alla lotta contro il modo di produzione capitalistico e indirizza il movimento socialdemocratico verso la lotta contro la ripartizione capitalistica. [...]

Certo, la prima spinta verso il movimento socialdemocratico, almeno nelle masse popolari, viene anche dalla "ingiusta" ripartizione dell'ordinamento capitalistico. E lottando per la socializzazione dell'economia nel suo complesso, la socialdemocrazia tende naturalmente anche a una "giusta" ripartizione della ricchezza sociale. Soltanto - grazie alla conoscenza raggiunta da Marx che in ogni momento la ripartizione è solo la conseguenza naturale della forma di produzione di quel momento - essa non indirizza la sua lotta verso la ripartizione nel quadro della produzione capitalistica, bensì verso la soppressione della stessa produzione mercantile. La socialdemocrazia vuole insomma introdurre la ripartizione socialistica mediante l'abolizione del modo di produzione capitalistico; il procedimento bernsteiniano invece è esattamente l'opposto: esso vuole combattere la ripartizione capitalistica e spera in questo modo di introdurre gradatamente un modo di produzione socialistico.” (ibid., p. 186, grassetto nostro)

Per queste ragioni la base del socialismo di Bernstein è idealistica, non materialistica, collocandosi dunque fuori dall’analisi marxista. Sindacati e cooperative rimangono però fondamentali per i marxisti, così come osserva la Luxemburg: solo che i primi costituiscono solo uno strumento “difensivo” della classe operaia per strappare concessioni al capitale, mentre le seconde sono “isole” di socialismo in un mondo capitalista, e nel lungo periodo tendono ad assumere i meccanismi propri del modo di produzione capitalista. Allora come oggi la necessità per i marxisti è connettere questi corpi intermedi in un’ottica di trasformazione integrale e sistemica della società, anche attraverso il fondamentale lavoro nei e con i sindacati al fine di strappare sempre maggiori concessioni al capitale e per promuovere la coscienza di classe, anche attraverso le cooperative per “anticipare” possibili forme di autogestione e proprietà sociale dei mezzi di produzione, ma al fine di un cambiamento radicale che guardi anzitutto al sottoporre al controllo sociale le “leve strategiche” di una data economia.

La Luxemburg approfondisce poi l’indissolubilità del legame tra democrazia e socialismo è ben evidente nello scritto. Tali riflessioni sono presenti anche nell’opera di Lenin, Gramsci e Togliatti. Dalle righe che seguono non è difficile trovare dei rimandi alla successiva strategia togliattiana della “democrazia progressiva”. Poche righe più avanti, scrive infatti:

“Oggi il movimento operaio socialista è e può essere l'unico punto d'appoggio della democrazia, e che non i destini del movimento socialista sono legati alla democrazia borghese, ma piuttosto i destini dello sviluppo democratico sono legati al movimento socialista. La democrazia non diventa più vitale nella misura in cui la classe operaia rinuncia alla lotta per la sua emancipazione, ma al contrario nella misura in cui il movimento socialista diventa abbastanza forte per contrastare le conseguenze reazionarie della politica mondiale[2] e della diserzione borghese. Perciò chi desideri il rafforzamento della democrazia deve desiderare anche il rafforzamento non l'indebolimento del movimento socialista, perché con la cessazione degli sforzi socialisti anche il movimento operaio e la democrazia vengono a cessare” (ibid., p. 190-191 , grassetto nostro, corsivo nel testo).

Un invito

Lo studio dell’opera di Rosa Luxemburg, a partire da “Riforma sociale o rivoluzione?”, è un consiglio estremamente valido per la formazione di giovani e meno giovani comunisti del XXI secolo. A differenza di Gramsci o di Togliatti, il cui pensiero è anzitutto patrimonio di noi comunisti, la Luxemburg è studiata anche da socialisti di sinistra (come lo stesso Lelio Basso). È un possibile punto di contatto tra noi comunisti e un’altra “corrente” del movimento operaio, in vista di lotte comuni in direzione del socialismo, pur nell’autonomia organizzativa, teorica e politica. Certo, Rosa Luxemburg non ha lesinato critiche alla Rivoluzione russa o allo stesso Lenin, critiche che come comunisti non condividiamo[3]. Ma ci ricorda comunque il nesso indissolubile tra democrazia e socialismo e della necessità di superare in positivo le asfittiche democrazie liberali contemporanee, le cui elezioni si risolvono ormai in semplici appuntamenti quadri/quinquennali per mettere un segno su una scheda.

Ci ricorda che oggi come allora l’alternativa è tra socialismo o barbarie.

 

 

[1]https://www.marxists.org/italiano/lenin/1922/2/luxemburg.htm

[2]“Politica mondiale” (Weltpolitik) corrisponde press’a poco a imperialismo (nota sul testo originale curato da Basso, p.189).

[3]Cfr. ad esempio “Gramsci e la Russia sovietica” di Domenico Losurdo: https://www.sinistrainrete.info/marxismo/8765-domenico-losurdo-gramsci-e-la-russia-sovietica.html

 

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