Jacques Pauwels

 

In un’opera di grande valore che porta il titolo 1939 : L’alleanza che non si fece e l’origine della Seconda Guerra Mondiale, lo storico canadese Michael Jabara Carley descrive come, nella seconda metà degli anni Trenta, l’Unione Sovietica cercò ripetutamente, ma alla fine fallì nei suoi tentatvi di concludere un patto di mutua sicurezza, in altre parole un’alleanza difensiva, con Gran Bretagna e Francia. L’accordo proposto era inteso a contrastare la Germania nazista che, sotto la guida dittatoriale di Hitler, si stava comportando in modo sempre più aggressivo ed era sul punto di coinvolgere un numero crescente di paesi, tra i quali Polonia e Cecoslovacchia, che avevano ragione di temere le ambizioni tedesche. Il protagonista di questo approccio sovietico nei confronti delle potenze occidentali era il ministro degli affari esteri, Maxim Litvinov.

Mosca era ansiosa di concludere questo trattato perché i dirigenti sovietici sapevano fin troppo bene che Hitler intendeva, prima o poi, attaccare e distruggere il loro stato. In effetti già nel Mein Kampf, pubblicato negli anni Venti, Hitler aveva palesato il suo disprezzo per « la Russia governata dagli ebrei » (Russland unter Judenherrschaft) perché era il frutto della Rivoluzione dei bolscevichi, che, a suo avviso, altro non erano se non un mucchio di giudei. Nel corso degli anni Trenta, chiunque non fosse assolutamente a digiuno degli affari internazionali sapeva molto bene che con la rimilitarizzazione della Germania, il suo programma di riarmo su vasta scala e le altre violazioni del Trattato di Versailles, Hitler si stava preparando ad una guerra la cui vittima designata era l’Unione Sovietica. Ciò è stato dimostrato con grande chiarezza in uno studio molto dettagliato scritto da un importante storico militare e scienziato politico, Rolf-Dieter Müller, intitolato Der Feind steht im Osten : Hitlers geheme Pläne für einen Krieg gegen die Sowjetunion im Jahr 1939 (« Il nemico si trova ad Est : i piani segreti di Hitler per la guerra all’Unione Sovietica nel 1939 »)

Hitler stava allestendo l’esercito tedesco che intendeva usare per cancellare l’Unione Sovietica dalla faccia della terra. Dal punto di vista delle élite che detenevano gran parte del potere a Londra, Parigi e in molte delle capitali del cosidetto mondo occidentale, si trattava di un piano che non potevano che approvare e che anzi desideravano incoraggiare e persino sostenere. Perché ? L’Unione Sovietica era l’incarnazione dell’aborrita rivoluzione sociale, la fonte d’ispirazione e la guida dei rivoluzionari in ciascuno dei loro paesi e persino nelle colonie perché i sovietici erano anche anti-imperialisti e, attraverso il Comintern (o la Terza Internazionale), sostenevano la lotta per l’indipendenza nelle colonie delle potenze occidentali.

Queste ultime, con interventi armati in Russia nel periodo 1918-1919, avevano già tentato di schiacciare il drago della rivoluzione che là aveva rialzato la testa nel 1917, ma quei progetti erano miserevolmente falliti. Le ragioni dell’insuccesso erano : da un lato, la dura resistenza opposta dai rivoluzionari, che godevano dell’appoggio della maggioranza del popolo russo e di molti altri popoli dell’ex-impero zarista ma, dall’altro, anche dall’opposizione all’interno degli stessi paesi interventisti, ove soldati e civili simpatizzavano con i rivoluzionari bolscevichi e lo dimostravano con cortei, scioperi e persino ammutinamenti. Le truppe dovettero ingloriosamente venire ritirate. I gentiluomini al potere a Londra e Parigi dovettero rassegnarsi a creare e sostenere stati anti-sovietici e anti-russi – innanzitutto in Polonia e nei paesi baltici – lungo il confine occidentale dell’ex-impero zarista, costruendo in questo modo un cordon sanitaire che si riteneva avrebbe fatto da scudo all’Occidente contro i virus rivoluzionari bolscevichi.

A Londra, Parigi e nelle altre capitali dell’Europa occidentale, le élite speravano che l’esperimento rivoluzionario che si stava provando in Unione Sovietica sarebbe collassato da solo, ma questo scenario non si verificò. Al contrario, mentre, a partire dagli anni Trenta, la Grande Depressione devastava il mondo capitalista, l’Unione Sovietica sperimentava una specie di rivoluzione industriale che consentiva alla popolazione di usufruire di notevoli progressi sociali e al paese di diventare più forte non solo economicamente, ma anche militarmente. Il risultato di tutto questo fu che il « contro-sistema socialista » al capitalismo – e la sua ideologia comunista – divennero sempre più attraenti agli occhi dei plebei dell’Ovest, che pativano crescente disoccupazione e miseria. In questo contesto, l’Unione Sovietica divenne ancor di più una spina nel fianco delle élite di Londra e Parigi. Al contrario, Hitler, con i suoi piani per una crociata anti-sovietica appariva sempre più utile e attraente. Per di più, grandi imprese e banche, soprattutto americane, ma anche britanniche e francesi, stavano facendo grandi profitti nel prestare la maggior parte del denaro che serviva per il riarmo tedesco. Da ultimo, ma non per importanza, si riteneva che incoraggiando una crociata tedesca nell’Est, se non si eliminava del tutto, si riduceva drasticamente il rischio di un’aggressione nazista ad Ovest. Si può, pertanto, comprendere perché le proposte di Mosca per un’alleanza difensiva contro la Germania nazista non fossero granché attraenti per i gentiluomini di Londra e Parigi. C’era, tuttavia, una ragione che non permetteva loro di respingere le offerte russe senza alcun indugio.

Dopo la Grande Guerra, le élite di entrambi i lati della Manica erano state costrette a introdurre riforme di vasta portata in senso democratico, ad esempio, in Gran Bretagna, si ebbe un considerevole ampliamento dei titolari del diritto di voto. A causa di ciò, divenne necessario tenere conto dell’opinione dei laburisti e anche di altri insopportabili gruppi di sinistra arrivati in parlamento e talvolta persino includerli in coalizioni di governo. L’opinione pubblica, e una parte considerevole dei media, era ostile ad Hitler in modo schiacciante e di conseguenza molto favorevole alla proposta sovietica per un’alleanza difensiva contro la Germania nazista. Le élite volevano evitare questo accordo con i sovietici, ma allo stesso tempo desideravano creare l’impressione di essere favorevoli ad una qualche intesa di questo tipo. Nella realtà, quel che volevano era incoraggiare Hitler ad attaccare l’Unione Sovietica e persino fornirgli aiuto per quest’impresa, ma avevano la necessità che l’opinione pubblica non ne fosse assolutamente consapevole. Questo dilemma produsse un comportamento politico il cui scopo palese era convincere l’opinione pubblica che i dirigenti della nazione davano il benvenuto alla proposta sovietica di un fronte comune anti-nazista, mentre quello latente – in realtà, quello vero – era di sostenere i progetti anti-sovietici di Hitler : era questa la famigerata Appeasement Policy (politica di pacificazione) associata soprattutto ai nomi del primo ministro britannico Neville Chamberlain e del suo pari grado francese Édouard Daladier.

I partigiani dell’appeasement si erano messi all’opera nel 1933, non appena Hitler era giunto al potere in Germania, e preparavano il contesto favorevole alla guerra contro l’Unione Sovietica. Già nel 1935, Londra aveva dato luce verde al riarmo di Hitler firmando con lui un trattato navale. Hitler procedette quindi a violare ogni sorta di disposizione contenuta nel Trattato di Versailles, ad esempio introducendo in Germania il servizio militare obbligatorio, armando fino ai denti l’esercito tedesco e, nel 1937, annettendosi l’Austria. In ciascuna di queste occasioni, gli uomini di stato di Londra e Parigi si lamentarono e protestarono per fare buona impressione sui loro concittadini, ma poi finivano per accettare il fatto compiuto. L’opinione pubblica venne indotta a credere che tanta indulgenza era indispensabile per evitare la guerra. Questa giustificazione aveva un grande potere perché la grande maggioranza degli inglesi e dei francesi non desiderava in alcun modo di venire coinvolta in una nuova edizione della Grande Guerra del 1914-1918. D’altro canto, divenne subito chiaro che l’appeasement rendeva la Germania nazista militarmente più forte e Hitler ambizioso e con sempre maggiori pretese. L’opinione pubblica si rese conto alla fine che al dittatore nazista si era ceduto su troppe questioni e fu a questo punto che i sovietici, nella persona di Litvinov, si fecero avanti con la proposta di un’alleanza anti-Hitler. Ciò procurava molti grattacapi agli architetti dell’appeasement, dai quali Hitler si attendeva sempre ulteriori concessioni.

Grazie a quanto gli era già stato consentito, la Germania nazista si stava ormai trasformando in una gigantesca potenza militare e, nel 1939, solo un’alleanza tra le potenze occidentali e i sovietici pareva essere in grado di contenerla anche perché, in questo caso, la Germania avrebbe dovuto combattere su due fronti. Date le pesanti pressioni provenienti dall’opinione pubblica, i dirigenti politici di Londra e Parigi si accordarono per negoziare con Mosca, ma c’era –come si dice - una mosca in questa pietanza : la Germania non aveva una frontiera in comune con l’Unione Sovietica, dato che la Polonia si trovava in mezzo a questi due paesi. Almeno ufficialmente, la Polonia era un alleato della Francia e pertanto ci si poteva attendere che aderisse all’alleanza difensiva contro la Germania nazista. Il governo di Varsavia, tuttavia, era ostile all’Unione Sovietica, un vicino che considerava minaccioso tanto quanto la Germania nazista, e si rifiutava ostinatamente di permettere che l’Armata Rossa, in caso di guerra, facesse transitare le sue truppe in territorio polacco per raggiungere il campo di battaglia con la Germania. Londra e Parigi, d’altro canto, rifiutavano di premere su Varsavia e così i negoziati non raggiungevano un accordo.

Frattanto, Hitler avanzava nuove rivendicazioni, questa volta nei confronti della Cecoslovacchia. Quando Praga rifiutò di cedere il territorio dei Sudeti, abitato da una minoranza di lingua tedesca, la situazione minacciò di trasformarsi in guerra. In effetti questa circostanza si presentava come un’opportunità unica di concludere un’alleanza anti-Hitler con l’Unione Sovietica e la, militarmente forte, Cecoslovacchia assieme a britannici e francesi : Hitler avrebbe dovuto affrontare la scelta tra un umiliante dietro-front o una sconfitta virtualmente certa in una guerra su due fronti. Però significava anche che Hitler non sarebbe mai riuscito a lanciare quella crociata contro l’Unione Sovietica che le élite di Londra e Parigi desideravano tanto ardentemente. Questa è la ragione per cui Chamberlain e Daladier non approfittarono del vantaggio che offriva loro la crisi cecoslovacca per costituire un fronte comune anti-Hitler con i sovietici, ma invece si precipitarono in aeroplano a Monaco per concludere con il dittatore tedesco un accordo in cui le terre dei Sudeti, al cui interno – tra l’altro - era collocata la versione cecoslovacca della linea Maginot, vennero offerte ad Hitler su un piatto d’argento. Il governo cecoslovacco, che non era neanche stato consultato, non ebbe altra scelta che sottomettersi e i sovietici, che avevano offerto assistenza militare a Praga, non erano neppure stati invitati alla famigerata conferenza.

Nel « patto » che avevano concluso con Hitler a Monaco, gli uomini di stato di Londra e Parigi avevano fatto enormi concessioni al dittatore tedesco, non per amore della pace, ma per poter salvare il loro vecchio sogno di una crociata nazista contro l’Unione Sovietica. Ai popoli dei loro paesi, l’accordo venne presentato come la più ragionevole soluzione ad una crisi che minacciava di scatenare una guerra generale. « Pace nel nostro tempo ! » è quello che Chamberlain proclamò trionfalmente al suo ritorno in Inghilterra. Voleva dire pace per il suo paese e i suoi alleati, ma non per l’Unione Sovietica, la cui distruzione per mano dei nazisti egli ardentemente desiderava.

In Gran Bretagna c’erano anche dei politici, tra cui un piccolo numero di membri dell’élite del paese, contrari alla politica di appeasement di Chamberlain, ad esempio Winston Churchill. La loro opposizione non era motivata dalla simpatia per l’Unione Sovietica, ma dalla mancanza di fiducia in Hitler e dal timore che la politica di pacificazione portata avanti dal governo potesse essere controproducente sotto due aspetti. Primo, perché la conquista dell’Unione Sovietica avrebbe messo a disposizione della Germania nazista una quantità illimitata di materie prime, compreso petrolio, terreni fertili ed altre ricchezze, consentendo in tal modo al Reich di stabilire sull’Europa continentale un’egemonia che avrebbe rappresentato per la Gran Bretagna un pericolo maggiore di quello che era stato Napoleone. Secondo, perché era anche possibile che il potere della Germania nazista e la debolezza dell’Unione Sovietica fossero entrambe sovrastimate, cosicchè la crociata anti-sovietica di Hitler avesse in realtà prodotto una vittoria sovietica, con il risultato di una potenziale « bolscevizzazione » della Germania e forse di tutta l’Europa. Queste le ragioni per cui Churchill era estremamente critico dell’accordo concluso a Monaco e per le quali in un famoso discorso sottolineó come, nella capitale bavarese, Chamberlain tra guerra e disonore aveva scelto il disonore, ma alla fine avrebbe avuto anche la guerra. Con la « pace nel nostro tempo », Chamberlain aveva in effetti sbagliato grossolanamente. Appena un anno dopo, nel 1939, il suo paese si sarebbe trovato coinvolto in un conflitto con la Germania nazista che, grazie allo scandaloso patto di Monaco, era diventata un nemico ancora più potente.

L’elemento determinante nel fallimento del negoziato tra il duo anglo-francese e i sovietici era stata l’inconfessata volontà dei fautori dell’appeasement di concludere un accordo contro Hitler. Fattore ausiliario poi era stato il rifiuto del governo di Varsavia di consentire la presenza di truppe sovietiche sul suo territorio in caso di guerra contro la Germania. Questo fornì a Chamberlain e Daladier il pretesto per non concludere un accordo con i sovietici, un pretesto necessario per giustificarsi di fronte all’opinione pubblica. (Ma anche altre scuse vennero messe in campo, ad esempio la supposta debolezza dell’Armata Rossa, che presumibilmente avrebbe reso l’Unione Sovietica un inutile alleato.) Circa il ruolo giocato dal governo polacco in questo dramma, ci sono alcune serie incomprensioni. Vediamole da più vicino.

Innanzitutto, si deve tenere presente che la Polonia del periodo infrabellico non era per nulla una repubblica democratica. Dopo la sua (ri)nascita alla fine della Prima Guerra Mondiale, non ci volle molto perché il paese si trovasse governato con pugno di ferro da un dittatore militare, il generale Józef Pilsudski per conto di un élite mista tra aristocrazia, Chiesa cattolica e borghesia. Questo regime anti-democratico continuò a reggere le sorti del paese anche dopo la morte del generale nel 1935, con i « colonnelli di Pilsudski », tra i quali primus inter pares era Józef Beck, il ministro degli esteri. La politica di quest’ultimo non rifletteva un grande sentimento di amicizia nei confronti della Germania, che aveva perduto parte del suo territorio a favore del nuovo stato polacco, compreso un « corridoio » che separava la regione tedesca della Prussia Orientale dal resto del Reich. C’erano anche delle frizioni con Berlino per la città di Gdansk (Danzica), importante porto sul Baltico, dichiarata città-stato dal Trattato di Versailles, ma rivendicata sia dalla Polonia che dalla Germania.

L’atteggiamento della Polonia verso il suo vicino alla frontiera orientale, l’Unione Sovietica, era ancora più ostile. Pilsudski e gli altri nazionalisti polacchi sognavano un ritorno del grande Impero Polacco-Lituano dei secoli diciasettesimo e diciottesimo, che si estendeva dal Baltico al Mar Nero. La Polonia aveva approfittato della rivoluzione e della successiva guerra civile in Russia per impadronirsi, nel corso della guerra russo-polacca del 1919-1921, di una vasta porzione di territorio dell’ex-impero zarista. Questa regione, che sarebbe diventata nota con il nome, storicamente e geograficamente poco corretto, di « Polonia Orientale », si estendeva per alcune centinaia di chilometri ad est della famosa Linea Curzon che avrebbe dovuto costituire il confine orientale del nuovo stato polacco, almeno secondo le potenze occidentali, che erano state padrini della nuova Polonia alla fine della Grande Guerra. Il territorio era sostanzialmente popolato da russi bianchi e ucraini, ma negli anni seguenti Varsavia cercò di « polonizzarlo » quanto più possibile importandovi dei coloni polacchi. Le fiamme dell’ostilità nei confronti dell’Unione Sovietica erano anche alimentate dal fatto che i sovietici simpatizzavano con i comunisti polacchi e con altri plebei che erano contrari al regime patrizio vigente in Polonia. Da ultimo, l’élite polacca era anti-semita e aveva abbracciato l’idea del giudeo-bolscevismo, ossia la nozione che il comunismo e tutte le altre forme di marxismo facevano parte di un malvagio complotto giudaico e che l’Unione Sovietica, il prodotto di un piano rivoluzionario bolscevico e quindi presumibilmente ebraico, non fosse nient’altro che la « Russia governata dagli ebrei ». Nonostante ciò, Pilsudski aveva cercato di normalizzare il più possibile le relazioni con i due potenti vicini concludendo un patto di non-aggressione con ognuno di loro : nel 1932 con l’Unione Sovietica e nel 1934, subito dopo l’avvento al potere di Hitler, con la Germania.

Dopo la morte di Pilsudski, i dirigenti polacchi continuarono a sognare espansioni territoriali fino quasi ai limiti della quasi mitica Grande Polonia del lontano passato. Per realizzare questo sogno, pareva ci fossero numerose opzioni di espansione verso est, in particolare verso Ucraina, una parte dell’Unione Sovietica che si estendeva in modo invitante tra Polonia e Mar Nero. Nonostante le dispute con la Germania ed un’alleanza formale con la Francia, che avrebbe potuto contare sull’aiuto polacco in caso di conflitto con Berlino, fin dall’inizio Pilsudski stesso e in seguito i suoi successori flirtavano con il regime nazista con la speranza di una conquista comune di territori sovietici. L’anti-semitismo era un altro denominatore comune dei due regimi che progettavano piani per liberarsi delle loro minoranze ebraiche, ad esempio deportandole in Africa.

Il riavvicinamento di Varsavia a Berlino rifletteva la megalomania e l’ingenuità dei dirigenti polacchi, che ritenevano il loro paese una grande potenza dello stesso calibro della Germania, che Berlino avrebbe trattato e rispettato da pari a pari. I nazisti alimentavano questa illusione, perché in questo modo puntavano ad indebolire l’alleanza tra Polonia e Francia. Le ambizioni polacche di un’espansione verso oriente erano incoraggiate anche dal Vaticano, che si attendeva considerevoli dividendi dalle conquiste della Polonia cattolica nell’Ucraina in gran parte ortodossa, ma ritenuta matura per una conversione al cattolicesimo. È in questo contesto che un nuovo mito venne fabbricato dalla macchina della propaganda di Goebbels in collaborazione con la Polonia e il Vaticano : quello della carestia orchestrata da Mosca in Ucraina. L’idea era quella di presentare futuri interventi armati polacchi e tedeschi in Ucraina come azioni umanitarie. Questo mito venne risuscitato durante la Guerra Fredda e divenne il mito fondativo dell’Ucraina stato indipendente che emergeva dalle rovine dell’Unione Sovietica. (Per un punto di vista obiettivo su questa carestia, ci si può riferire ai molti articoli dello storico americano Mark Tauger, un esperto in storia dell’agricoltura sovietica, di cui esiste una raccolta anche in un’edizione francese dal titolo Famine et trasformation agricole en URSS.)

La conoscenza di questo contesto ci consente di capire l’atteggiamento del governo polacco all’epoca dei negoziati per un fronte difensivo comune contro la Germania nazista. Varsavia ostacolava i negoziati, non perché avesse paura dell’Unione Sovietica ma, al contrario, per dare corso alle sue aspirazioni anti-sovietiche e al suo concomitante riavvicinamento alla Germania nazista. In questa operazione, l’élite polacca si trovava sulla stessa lunghezza d’onda delle sue controparti britanniche e francesi. Si può così capire anche perchè, dopo la conclusione degli accordi di Monaco, che consentiva alla Germania nazista di annettersi la regione dei Sudeti, la Polonia occupò un pezzo territorio cecoslovacco come bottino, precisamente della città di Teschen e dei suoi dintorni. Impadronendosi di questa parte della Cecoslovacchia come una iena, sottolineò Churchill, il regime polacco rivelava le sue vere intenzioni e la sua complicità con Hitler.

Le concessioni fatte dagli architetti dell’appeasement rendevano la Germania più forte che mai in precedenza ed Hitler più sicuro, arrogante ed esigente. Dopo Monaco, si dimostrò molto lontano dall’essere soddisfatto e nel marzo del 1939 violò gli stessi accordi di Monaco occupando quel che restava della Cecoslovacchia. In Francia e Gran Bretagna l’opinione pubblica ne fu scioccata, ma le élite di governo non fecero nulla se non esprimere la speranza che « Herr Hitler » diventasse alla fine « ragionevole », ossia si decidesse ad attaccare l’Unione Sovietica. Hitler aveva sempre avuto l’intenzione di farlo ma, prima di accontentare i pacificatori (appeasers) di Gran Bretagna e Francia, voleva strappare loro qualche altra concessione. Dopotutto, pareva non ci fosse nulla che potessero rifiutargli. Inoltre avendo reso la Germania molto più forte con le precedenti concessioni, erano ora in condizioni di negargli l’ultimo presumibile piccolo favore che egli chiedeva ? Quell’ultimo piccolo favore riguardava la Polonia.

Verso la fine di marzo del 1939, Hitler improvvisamente chiese Danzica e qualche altro territorio polacco tra la Prussia Orientale e il resto della Germania. A Londra, Chamberlain e i suoi colleghi sostenitori dell’appeasement erano in effetti inclini ad arrendersi di nuovo, ma l’opposizione proveniente dai media e dalla Camera dei Comuni si dimostrò troppo forte per consentirlo. Improvvisamente allora Chamberlain cambiò linea e, il 31 marzo, promise formalmente – ma in modo del tutto irrealistico, come sottolineò Churchill – a Varsavia un’assistenza armata in caso di aggressione tedesca alla Polonia. In aprile 1939, quando i sondaggi d’opinione rivelarono quello che tutti già sapevano, ossia che quasi il novanta per cento della popolazione britannica voleva un’alleanza anti-Hitler a fianco sia dell’Unione Sovietica che della Francia, Chamberlain si trovò obbligato a mostrare ufficialmente un interesse per la proposta sovietica di colloqui per la « sicurezza collettiva » contro la minaccia nazista.

In realtà, i partigiani dell’appeasement non erano per nulla interessati alla proposta sovietica e immaginarono ogni tipo di pretesti per evitare di concludere un accordo con un paese che disprezzavano e contro un paese con cui segretamente simpatizzavano. Fu solo nel luglio 1939 che si dichiararono pronti a iniziare negoziati militari e fu solo agli inizi di agosto che una delegazione franco-britannica fu inviata a Leningrado a questo fine. In contrasto stridente rispetto alla velocità con cui, un anno prima, lo stesso Chamberlain (accompagnato da Daladier) si era precipitato in aereo a Monaco, questa volta una squadra di anonimi funzionari di second’ordine era stata inviata in Unione Sovietica a bordo di una lenta imbarcazione mercantile. Inoltre, quando, passati da Leningrado, finalmente arrivarono a Mosca l’11 agosto, risultò che non possedevano le credenziali ovvero l’autorità necessaria per tali colloqui. A quel punto i sovietici ne avevano avuto già abbastanza e si può capire perché interuppero il negoziato.

Nel frattempo, Berlino aveva discretamente lanciato un riavvicinamento verso Mosca. Perché? Hitler si sentiva tradito da Londra e Parigi, che prima gli avevano fatto concessioni di ogni tipo ma ora gli negavano quella piccolezza di Danzica e si mettevano dalla parte della Polonia e così si trovava di fronte alla prospettiva di una guerra contro la Polonia, che rifiutava di cedergli Danzica, e contro il duo franco-britannico. Per riuscire a vincere questa guerra, il dittatore tedesco aveva bisogno della neutralità dell’Unione Sovietica e per questa era disponibile a pagare un prezzo alto. Dalla prospettiva di Mosca, le aperture di Berlino erano in contrasto stridente con l’atteggiamento dei dirigenti occidentali favorevoli all’appeasement i quali chiedevano all’Unione Sovietica vincolanti promesse di aiuto militare non offrendo in cambio nulla di significativo. Quello che era partito nel mese di maggio come una discussione informale nell’ambito di un negoziato commerciale di secondaria importanza e per il quale i sovietici non dimostravano grande interesse, si trasformò alla fine in un serio dialogo che coinvolse gli ambasciatori dei due paesi e anche i ministri degli esteri, precisamente Joachim von Ribbentrop e Vyacheslav Molotov – quest’ultimo da poco sostituto di Litvinov.

Un fattore che giocò un ruolo secondario ma che comunque non andrebbe sottostimato è che, nella primavera del 1939, truppe giapponesi di stanza nella Cina settentrionale avevano invaso territori sovietici in Estremo Oriente. In agosto queste truppe sarebbero state sconfitte e ricacciate indietro, ma la minaccia giapponese poneva davanti a Mosca la prospettiva di dover combattere una guerra su due fronti a meno che non si fosse trovato il modo di eliminare la minaccia proveniente dalla Germania nazista. A Mosca veniva offerto un modo per neutralizzare questa minaccia dalle aperture di Berlino che, a loro volta, riflettevano il desiderio tedesco di evitare una guerra su due fronti.

Fu solo in agosto, tuttavia, quando i dirigenti sovietici compresero che i britannici e i francesi non erano arrivati per condurre negoziati in buona fede che la decisione venne presa e l’Unione Sovietica firmò un patto di non aggressione con la Germania nazista, precisamente il 23 agosto 1939. Questo accordo venne chiamato Patto Ribbentrop-Molotov, dai nomi dei ministri degli esteri, ma divenne noto anche con il nome di Patto Hitler-Stalin. La conclusione di un tale accordo non fu del tutto una sorpresa : un certo numero di dirigenti politici e autorità militari sia in Gran Bretagna che in Francia avevano predetto in più occasioni che la politica dell’appeasement di Chamberlain e Daladier avrebbe spinto Stalin « nelle braccia di Hitler ».

« Nelle braccia » è in realtà espressione inappropriata in questo contesto. Il patto certamente non rifletteva un sentimento di amicizia tra i firmatari. Stalin si era persino opposto a includere nel testo alcune righe convenzionali che evocavano un’ipotetica amicizia tra i due popoli. Inoltre, l’accordo non era un’alleanza, ma semplicemente un patto di non-aggressione. Come tale, era simile ad un certo numero di patti di non-aggressione che erano stati firmati in precedenza con Hitler, ad esempio dalla Polonia nel 1934. Si trattava di una promessa di non attaccarsi reciprocamente e di mantenere relazioni pacifiche, una promessa che ciascuna parte avrebbe verosimilmente mantenuto fintanto che avesse trovato conveniente farlo. Un clausola segreta venne aggiunta all’accordo relativa alla demarcazione di sfere d’influenza in Europa Orientale per ciascuno dei firmatari. La demarcazione corrispondeva all’incirca alla Linea Curzon, cosicché la « Polonia Orientale » rientrava nella sfera sovietica. Cosa questo teorico accordo volesse dire in pratica non era per nulla chiaro, ma di sicuro il patto non comportava una spartizione o un’amputazione territoriale della Polonia paragonabile al destino imposto alla Cecoslovacchia da britannici e francesi nel patto che avevano firmato con Hitler a Monaco.

    

Il fatto che l’Unione Sovietica avanzasse pretese su una sfera d’influenza che superava i suoi confini viene talvolta descritto come una prova delle sue sinistre intenzioni espansioniste. Stabilire delle sfere d’influenza, sia unilateralmente che bilateralmente o multilateralmente, è stato da lungo tempo una pratica accettata sia tra le grandi che le meno grandi potenze ed è stata spesso intesa come una pratica per evitare conflitti. La Dottrina Monroe, ad esempio, che « asseriva che il Nuovo e il Vecchio Mondo dovevano avere sfere d’influenza separate » (Wikipedia), pretendeva di prevenire nuove avventure coloniali transatlantiche da parte delle potenze europee che avrebbero potuto trovarsi in conflitto con gli Stati Uniti. Allo stesso modo, quando Churchill fece visita a Mosca nel 1944 e offrì a Stalin di dividere la penisola balcanica in sfere d’influenza, lo faceva con l’intenzione di evitare conflitti tra i rispettivi paesi dopo la fine della guerra contro la Germania nazista.

Hitler poteva ora attaccare la Polonia senza correre il rischio di dover combattere una guerra contro l’Unione Sovietica ed anche contro il duo anglo-francese, ma il dittatore tedesco aveva buone ragioni per dubitare che Londra e Parigi gli avrebbero dichiarato guerra. Senza l’aiuto sovietico era chiaro che nessuna effettiva assistenza poteva venire assicurata alla Polonia, cosicchè non ci sarebbe voluto molto alla Germania per sconfiggere quel paese. (Solo i colonnelli di Varsavia potevano credere che la Polonia fosse in grado di resistere all’assalto delle potenti orde naziste.) Hitler sapeva fin troppo bene che gli architetti della politica dell’appeasement continuavano a sperare che, presto o tardi, egli avrebbe finalmente esaudito il loro maggiore desiderio e distrutto l’Unione Sovietica, cosicché ora sarebbero stati disponibili a chiudere gli occhi davanti alla sua aggressione alla Polonia. Era anche convinto che britannici e francesi, anche se avessero dichiarato guerra alla Germania, non avrebbero attaccato da ovest.

L’attacco tedesco alla Polonia venne lanciato il primo settembre del 1939. Londra e Parigi esitarono ancora alcuni giorni prima di reagire con la dichiarazione di guerra contro la Germania nazista. Non attaccarono, tuttavia, il Reich mentre il grosso delle sue forze armate stava invadendo la Polonia, come qualche generale tedesco aveva temuto. In effetti, i protagonisti dell’appeasement dichiararono guerra a Hitler solamente perché lo chiedeva l’opinione pubblica. Segretamente, speravano che la Polonia capitolasse rapidamente, in modo che « Herr Hitler » potesse finalmente rivolgere la sua attenzione all’Unione Sovietica. La guerra che combattevano era semplicemente una « guerra finta », come sarebbe stata giustamente chiamata, una farsa nella quale le loro truppe, che avrebbero virtualmente potuto marciare sulla Germania, rimanevano inattive, protette dalla Linea Maginot. È ora quasi certo che i simpatizzanti di Hitler nel campo francese e presumibilmente anche i britannici dell’appeasement avevano fatto sapere al dittatore tedesco che poteva usare tutto il suo potenziale militare per finire la Polonia senza timore di un attacco da parte delle potenze occidentali. (Ci si riferisce ai lavori di Annie Lacroix-Riz, Le choix de la défaite. Les élites françaises dans les années 1930 e De Munich a Vichy. L’assassinat de la 3e République.)

Le difese polacche vennero travolte e rapidamente divenne ovvio che i colonnelli che governavano il paese avrebbero dovuto arrendersi. Hitler aveva ogni ragione di ritenere che cosí sarebbe successo e le sue condizioni avrebbero indubbiamente comportato grosse perdite territoriali per la Polonia, in particolare, naturalmente, nelle zone occidentali del paese, confinanti con la Germania. Nonostante ciò, una Polonia parecchio diminuita avrebbe verosimilmente continuato ad esistere, proprio come, dopo la sua resa nel giugno 1940, alla Francia era stato concesso di continuare ad esistere nella forma della Francia di Vichy. Il 17 settembre, invece, il governo polacco improvvisamente fuggì nella vicina Romania, un paese neutrale. Con questa iniziativa, il governo polacco cessava di esistere, perché secondo la legge internazionale, non solo il personale militare ma anche i membri del governo di un paese in guerra dovevano essere internati all’ingresso in un paese neutrale per tutta la durata delle ostilità. La fuga del governo era un atto irresponsabile e codardo, con nefaste conseguenze per il paese. Senza un governo, la Polonia effettivamente diventava una specie di terra di nessuno – terra nullius, per usare una terminologia giuridica – nella quale i conquistatori tedeschi potevano fare quanto a loro piaceva dato che non c’era nessuno con cui negoziare il destino del paese sconfitto.

Questa situazione diede ai sovietici il diritto di intervenire. Paesi confinanti possono occupare un’anarchica terra nullius. Inoltre, se i sovietici non fossero intervenuti, i tedeschi avrebbero indubbiamente occupato ogni metro quadrato di territorio polacco, con tutte le conseguenze che ciò avrebbe comportato. Questa è la ragione per cui lo stesso 17 settembre 1939, l’Armata Rossa entrò in Polonia ed iniziò ad occupare la regione orientale del paese, quella già citata col termine di « Polonia Orientale ». Ogni conflitto con i tedeschi venne evitato in quanto quel territorio apparteneva alla sfera d’influenza sovietica concordata nel Patto Ribbentrop-Molotov. Qua e là, le truppe tedesche che erano penetrate oltre la linea di demarcazione dovettero ritirarsi per fare posto agli uomini dell’Armata Rossa. Nelle occasioni in cui ci fu contatto tra i due eserciti, i militari tedeschi e sovietici si comportarono correttamente e osservarono il protocollo tradizionale. Questo talvolta comportava una qualche specie di cerimonia, ma non ci fu alcuna « parata della vittoria » celebrata in comune.

A causa del dileguarsi del governo di Varsavia, le truppe polacche che continuavano a resistere vennero qualificate come truppe irregolari, alla stregua di partigiani, con tutti i rischi associati a una tale attribuzione. Con l’arrivo dell’Armata Rossa gran parte delle unità dell’esercito polacco acconsentirono a venire disarmate e internate, ma in qualche occasione ci fu resistenza, ad esempio in truppe comandate da ufficiali ostili ai sovietici. Molti di questi ufficiali avevano partecipato alla Guerra Russo-Polacca del 1919-1921e presumibilmente vennero accusati delle esecuzioni di prigionieri di guerra. È ampiamente accettato che questi uomini vennero in seguito liquidati a Katyn e in altri luoghi. (Per quanto, relativamente a Katyn, sono recentemente riemersi dei dubbi. Questo punto è stato analizzato in grande dettaglio in un libro di Grover Furr, The Mystery of the Katyn Massacre.)

Molti soldati e ufficiali polacchi vennero internati dai sovietici secondo le regole del diritto internazionale. Nel 1941, dopo che l’Unione Sovietica venne coinvolta nella guerra e pertanto non più vincolata alle regole che disciplinavano la condotta dei paesi neutrali, questi uomini vennero trasferiti in Gran Bretagna (attraverso l’Iran) per riprendere la battaglia contro la Germania nazista al fianco degli alleati occidentali. Tra il 1943 e il 1945, questi uomini avrebbero dato un importante contributo alla liberazione di una parte considerevole dell’Europa occidentale (un destino molto più tragico attese i militari polacchi caduti in mano tedesca.) Chi beneficiò dall’occupazione dei territori orientali della Polonia da parte dei sovietici furono, tra gli altri, i residenti ebrei che vennero trasferiti all’interno dell’Unione Sovietica e così sfuggirono al destino che li avrebbe aspettati se fossero ancora stati nei loro shtetl quando i tedeschi arrivarono da conquistatori nel 1941. Molti di loro sopravvissero alla guerra e dopo la fine del conflitto iniziarono una nuova vita negli Stati Uniti, in Canada e, ovviamente, in Israele.

L’occupazione della « Polonia Orientale » venne condotta correttamente, ovvero, secondo le regole del diritto internazionale e quest’azione non costituì un attacco alla Polonia, come troppi storici (e politici) hanno sostenuto, e certamente non un attacco in collaborazione con la Germania nazista come « alleato ». L’Unione Sovietica non divenne un alleato della Germania nazista per aver concluso un patto di non-aggressione con essa e neppure ne divenne alleata sulla base della sua occupazione della « Polonia Orientale ». Hitler dovette tollerare l’occupazione da parte sovietica, ma di certo avrebbe certamente preferito che i sovietici non fossero intervenuti, cosicché avrebbe potuto impadronirsi di tutta la Polonia. In Inghilterra, Churchill espresse pubblicamente la sua approvazione per l’iniziativa presa dai sovietici il 17 settembre, proprio perché questo impediva ai nazisti di prendersi completamente la Polonia. Che questa iniziativa non costituisse un attacco, e pertanto non un atto di guerra contro la Polonia, appare chiaramente anche dal fatto che Gran Bretagna e Francia, formalmente alleati della Polonia, non dichiararono guerra all’Unione Sovietica, come diversamente avrebbero dovuto fare. Anche la Lega delle Nazioni non impose sanzioni all’Unione Sovietica, cosa che avrebbe dovuto fare se avesse considerato questa iniziativa un autentico attacco contro uno dei suoi stati membri.

Dalla prospettiva dei sovietici, l’occupazione dei territori orientali della Polonia significava il recupero di parte del suo territorio, perduto a causa del conflitto russo polacco del 1919-1920. È vero che Mosca aveva riconosciuto questa perdita nel Trattato di Pace di Riga che aveva posto fine a questa guerra nel marzo 1921, ma Mosca aveva continuato a cercare un’opportunità per recuperare la « Polonia Orientale » e nel 1939 questa opportunità si era presentata e fu colta. Si possono diapprovare i sovietici per questo, ma in questo caso sono da disapprovare anche i francesi, ad esempio, per avere recuperato l’Alsazia-Lorena alla fine della Prima Guerra Mondiale, dal momento che anche Parigi aveva riconosciuto la perdita di quel territorio nel Trattato di Pace di Francoforte che aveva messo fine alla Guerra Franco-Prussiana del 1870-1871.

Molto più importante è che l’occupazione – o la liberazione, o il ripristino, o il recupero, o in qualsiasi modo si voglia chiamarla – della « Polonia Orientale » fornì l’Unione Sovietica di un’importante risorsa, quella che nel gergo dell’architettura militare è un « glacis » che è uno spazio aperto che un attaccante deve attraversare prima di raggiungere il perimetro difensivo della città o della fortezza. Stalin sapeva che, indipendentemente dal patto, Hitler avrebbe presto o tardi attaccato l’Unione Sovietica e questo attacco avrebbe in effetti avuto luogo nel giugno del 1941. In quella data, l’esercito di Hitler avrebbe dovuto lanciare il suo attacco da un punto di partenza molto più lontano dalle importanti città dell’entroterra sovietico, rispetto a quanto avrebbe potuto fare nel 1939 se avesse occupato tutta la Polonia. Sulla base del patto, i blocchi di partenza per l’offensiva nazista del 1941 sarebbero stati spostati alcune centinaia di chilometri verso ovest e pertanto ad una distanza molto più grande dagli obiettivi strategici posti in profondità nel territorio sovietico. Nel 1941, le forze tedesche sarebbero arrivate a un tiro di schioppo da Mosca. Questo vuol dire che, senza il patto, avrebbero sicuramente preso la città, cosa che avrebbe potuto portare anche ad una capitolazione dei sovietici.

Grazie al Patto Ribbentrop-Molotov, l’Unione Sovietica non solo guadagnò uno spazio utile, ma anche tempo utile, precisamente il tempo in più di cui avevano bisogno per prepararsi all’attacco tedesco che, originariamente previsto per il 1939, si era dovuto posporre al 1941. Tra il 1939 e il 1941, molte delle importanti e decisive infrastrutture, soprattutto le fabbriche di produzione di materiale bellico, vennero trasferite sull’altro versante degli Urali. Inoltre, nel 1939 e 1940, i sovietici ebbero l’opportunità di osservare e studiare la guerra che infuriava in Polonia, Europa occidentale e altri luoghi e apprendere in tal modo importanti lezioni sulle modalità della moderna, motorizzata offensiva tedesca e il suo stile « fulmineo », il Blitzkrieg. Gli strateghi sovietici impararono, ad esempio, che concentrare il grosso delle forze a scopo difensivo nei pressi del confine sarebbe stato un errore fatale, che solo una « difesa in profondità » offriva la possibilità di fermare il rullo compressore nazista. Sarebbe stato, tra l’altro, grazie alle lezioni apprese in questo modo che l’Unione Sovietica sarebbe riuscita – naturalmente con grandissime difficoltà – a sopravvivere all’assalto nazista del 1941 e alla fine a vincere la guerra contro il potente nemico.

Per poter difendere in profondità Leningrado, una città con una vitale industria di armamenti, nell’autunno del 1939 l’Unione Sovietica propose alla vicina Finlandia uno scambio di territori, un accordo che avrebbe permesso lo spostamento del confine tra i due stati lontano dalla città. La Finlandia, un alleato della Germania nazista, rifiutò, ma con la « guerra d’inverno » del 1939-1940, Mosca riuscì alla fine ad ottenere questa modifica del confine. A causa di questo conflitto, che risultò equivalente ad una aggressione, l’Unione Sovietica venne espulsa dalla Lega delle Nazioni. Nel 1941, quando i tedeschi, con l’aiuto dei finlandesi, attaccarono l’Unione Sovietica e cinsero d’assedio Leningrado per molti anni, questa revisione del confine avrebbe permesso alla città di sopravvivere a quella terribile esperienza.

Un argomento simile può venire usato per quanto riguarda i paesi baltici : Lituania, Lettonia ed Estonia. Questi territori erano appartenuti alla Russia zarista e, come il resto dell’impero, nel 1917, erano maturi per la rivoluzione. Lenin e i rivoluzionari bolscevichi godevano di un considerevole sostegno popolare nei paesi baltici, esemplificato dai celebri fucilieri lettoni. La guerra civile, tuttavia, tra rossi rivoluzionari e controrivoluzionari bianchi, che infuriò anche qui, venne vinta da questi ultimi, non tanto per l’appoggio popolare, ma per l’intervento armato di potenze straniere, precisamente la Royal Navy britannica, truppe irregolari tedesche, cui gli alleati occidentali avevano concesso di rimanere a questo scopo nei paesi baltici anche dopo la capitolazione del Reich del novembre 1918, e forze armate dell’appena costituita Polonia. Se avessero vinto i baltici rossi, le loro patrie si sarebbero indiscutibilmente unite alla Russia sovietica e alla fine sarebbero diventate repubbliche dell’Unione Sovietica. Tuttavia, con la vittoria dei bianchi, che avevano giocato la carta del nazionalismo, emersero tre piccoli stati indipendenti – democratici nel senso borghese e liberale del termine, filo-occidentali e perció antirussi, capitalisti e perciò anti-socialisti e, di conseguenza, estremamente anti-sovietici. Invischiati nella loro guerra civile, a Mosca i dirigenti rivoluzionari non ebbero altra scelta che riconoscere il fait accomplì baltico con una serie di trattati di pace, ma diedero rifugio ai baltici rossi sopravvissuti e insieme attesero l’opportunità di rovesciare l’esito del conflitto. Per la fine degli anni Trenta, i paesi baltici si erano trasformati da democrazie liberali a regimi autoritari quasi fascisti che reprimevano i loro movimenti sindacali e flirtavano apertamente con la Germania nazista. Churchill li descrisse come i paesi « più antibolscevici » d’Europa. Non era pertanto senza motivo che Mosca temeva che potessero consentire di venire usati dai nazisti come trampolino di lancio per la prevista crociata anti-sovietica di Hitler e che i sovietici cercassero di eliminare quella minaccia facendo in modo che quella regione venisse riconosciuta nel Patto Ribbentrop-Molotov come parte della sfera d’influenza sovietica. Nella primavera del 1940, avendo recuperato la « Polonia Orientale » e spinto il confine finlandese lontano da Leningrado, Mosca si mosse per rimuovere la regione baltica come l’ultimo, ma importante, anello debole della catena difensiva dell’Unione Sovietica contro un’aggressione tedesca che diventava sempre più verosimile dato che i nazisti avevano ormai occupato la Scandinavia, la Jugoslavia, i Paesi Bassi e, nel giugno 1940, la Francia. A causa del Patto, Berlino non poteva impedire a Mosca di perseguire i propri interessi nei paesi baltici e questo avvenne con mezzi del tutto rozzi. I dirigenti filo-fascisti baltici vennero costretti a consentire l’occupazione delle posizioni strategiche dei loro paesi da parte delle truppe sovietiche e poi a tenere le elezioni che vennero vinte, come non ci si poteva non attendere, dai partiti « anti-fascisti ». Una volta al potere, questi ultimi trasformarono i loro paesi in repubbliche socialiste aderenti all’Unione Sovietica. Venne raggiunto, in questo modo, l’obiettivo dei rivoluzionari baltici rossi del 1917. Molto più importante, ai nostri fini, comunque, è il fatto che la loro integrazione nell’Unione Sovietica prevenì l’uso dei paesi baltici da parte dei nazisti come un trampolino di lancio – pericolosamente vicino a Leningrado – per l’Operazione Barbarossa nel 1941.

Non furono i sovietici, ma i tedeschi a prendere l’iniziativa che alla fine produsse il patto. Lo fecero perché si aspettavano di ottenerne un vantaggio, un vantaggio temporaneo ma ugualmente molto importante, precisamente la neutralità dell’Unione Sovietica mentre la Wehrmacht attaccava prima la Polonia e poi l’Europa occidentale. Alla Germania nazista derivò anche un ulteriore beneficio dall’accordo commerciale associato al patto. Il Reich soffriva di una cronica penuria di ogni tipo di materie prime e questa situazione minacciava di diventare catastrofica quando, come ci si attendeva, un dichiarazione di guerra britannica avrebbe portato ad un blocco navale della Germania ad opera della Royal Navy. Questo problema veniva neutralizzato dalla consegna di prodotti quali il petrolio da parte dei sovietici, come previsto nel trattato commerciale associato al patto. Non è chiaro quanto cruciali siano state in realtà queste forniture sovietiche, in particolare le consegne di petrolio : non molto importanti secondo certi storici, estremamente importanti per altri. Cio’ nonostante, la Germania nazista continuò a contare in larga misura sul petrolio importato – in gran parte attraverso i porti spagnoli – dagli Stati Uniti, almeno fino a quando lo Zio Sam non entrò in guerra nel dicembre 1941. Nell’estate del 1941, decine di migliaia di aerei, mezzi corazzati, camion ed altre macchine coinvolte nell’invasione nazista dell’Unione Sovietica erano ancora in larga parte dipendenti dal carburante fornito dai grandi gruppi petroliferi statunitensi.

Mentre non è sicuro quanto sia stato importante per la Germania nazista il petrolio fornito dai sovietici, è certo che il patto richiedeva reciprocità alla parte tedesca con la fornitura ai sovietici di prodotti industriali finiti, compreso equipaggiamento militare di ultima concezione, che sarebbe stato usato dall’Armata Rossa per migliorare le sue difese contro un attacco militare che si attendeva presto o tardi. Questa era la causa di maggiore preoccupazione per Hitler, che era pertanto ansioso di lanciare la sua crociata anti-sovietica il più presto possibile. Ad un certo punto decise di farlo anche se, dopo la caduta della Francia, la Gran Bretagna non poteva certo dirsi fuori gioco. Di conseguenza, nel 1941, il dittatore tedesco avrebbe dovuto combattere quel tipo di guerra su due fronti che aveva sperato di evitare nel 1939 grazie al suo patto con Mosca e avrebbe dovuto affrontare un nemico che era molto più forte di quanto lo fosse stato nel 1939.

Stalin firmò un patto con Hitler perché gli architetti dell’appeasement di Londra e Berlino rifiutarono ogni proposta sovietica di costituire un fronte comune contro Hitler. E i fautori dell’appeasement rifiutarono queste proposte perché speravano che Hitler marciasse verso oriente e distruggesse l’Unione Sovietica, un’impresa che cercarono di facilitare offrendogli come « trampolino di lancio » il territorio della Cecoslovacchia. È virtualmente certo che, senza il patto, Hitler avrebbe attaccato l’Unione Sovietica nel 1939. A causa del patto, tuttavia, Hitler dovette attendere due anni ancora prima di essere finalmente in grado di lanciare la sua crociata anti-sovietica. Ciò fornì l’Unione Sovietica del tempo e dello spazio supplementare che le permise di migliorare le sue difese abbastanza da sopravvivere all’assalto quando alla fine Hitler mandò i suoi cani da guerra nell’est nel 1941. L’Armata Rossa subì perdite terribili, ma alla fine riuscì a bloccare l’uragano nazista. Senza il successo sovietico, un successo descritto dallo storico Geoffrey Roberts come « la più grande impresa d’armi nella storia mondiale, » la Germania avrebbe molto verosimilmente vinto la guerra, perché avrebbe acquisito il controllo dei campi petroliferi del Caucaso, le fertili terre dell’Ucraina e molte alte ricchezze dell’immenso territorio sovietico. Un trionfo di queste dimensioni avrebbe trasformato la Germania nazista in un’espugnabile superpotenza, in grado di condurre guerre di lunga durata contro chiunque, compresa l’alleanza anglo-americana. Una vittoria sull’Unione Sovietica avrebbe consegnato alla Germania nazista un’egemonia sull’intera Europa. Ora, sul continente, la seconda lingua non sarebbe stato l’inglese, ma il tedesco, e a Parigi le persone alla moda avrebbero passeggiato su e giù per i Campi Elisi coi pantaloni tirolesi.

Senza il Patto, allora, la liberazione dell’Europa, compresa l’Europa occidentale da parte di americani, britannici, canadesi, ecc., non ci sarebbe stata. La Polonia non esisterebbe. I polacchi sarebbero stati degli Untermenschen (sottouomini), servi della gleba di coloni « ariani » in un Ostland germanizzato che sarebbe andato dal Baltico ai Carpati o persino agli Urali. E un governo polacco non avrebbe mai ordinato la distruzione dei monumenti in onore dell’Armata Rossa, come è avvenuto di recente, non solo perché non ci sarebbe stata nessuna Polonia nè, di conseguenza, alcun governo polacco, ma perché l’Armata Rossa non avrebbe mai liberato la Polonia e quei monumenti non sarebbero mai stati eretti.

La nozione che il Patto Hitler-Stalin abbia provocato la Seconda Guerra Mondiale non è solo un mito, ma una menzogna totale. È vero il contrario : il patto fu la precondizione del risultato positivo dell’apocalisse che venne scatenato negli anni 1939-1945, ossia della sconfitta della Germania nazista.

(traduz. Silvio Calzavarini)

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