Andrea Vento

 

Le caratteristiche attuali del subcontinente

Dall'analisi dei principali indicatori economici possiamo dedurre che nel suo complesso l'America Latina, seppur con significative differenze interne, appartiene al Sud del mondo, rappresentandone tuttavia la macroregione col livello di sviluppo economico e sociale più avanzato a livello globale.

La carta 1 che rappresenta il Pil pro capite dei paesi latinoamericani a Parità di Potere di Acquisto (in inglese PPP) indica come il Cile, l'Uruguay, l'Argentina ed il Messico abbiano, nel 2016, una quantità di ricchezza media per persona superiore ai 20.000 $ annui, rientrando nella fascia dei paesi a reddito elevato in base alla classificazione della Banca Mondiale. Le marcate differenze di sviluppo interne al subcontinente sono testimoniate dai valori critici di Guatemala e Bolivia, compresi fra 7.000 e 8.000, ma soprattutto di Honduras e Nicaragua, con valori intorno ai 5.000 $, oltre che da Haiti che, seppur non riportato nella carta, rappresenta storicamente il paese meno sviluppato dell'intero subcontinente, anche senza considerare i devastanti effetti del terremoto del 2010 e delle distruzioni causate dai cicloni tropicali che recentemente si sono abbattuti sull'isola.

Situazione analoga nel panorama mondiale si registra anche per quanto riguarda il livello di sviluppo umano, in base al quale l'America Latina spicca come l'area più sviluppata del Sud del mondo, con valori vicini a quelli delle regioni del Nord.

Carta 1: Pil Pro capite a Parità di Potere d'Acquisto degli stati latinoamericani

L'elevato valore di Panama risulta alterato dal fatto che il paese costituisce un paradiso fiscale.

Infatti, dall'analisi della carta 2 realizzata dal Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite relativa all'Indice di Sviluppo Umano (Isu), ricaviamo come l'America Latina si collochi nella fascia alta con un valore medio dell'area, nel 2016,  pari a 0,740 addirittura analogo a quello della macro regione composta dall'Europa e dall'Asia centrale (Europa e paesi ex Urss)[1]. Gli stati latinoamericani si trovano, infatti, in larga maggioranza nella fascia alta, addirittura con Cile e Argentina in condizioni di sviluppo molto alto, mentre a livello medio si attestano il Paraguay e la Bolivia e la maggior parte dei paesi dell'America Istmica (El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua). Solo Haiti, a conferma delle critiche condizioni di vita della maggior parte della sua popolazione, si colloca nella fascia bassa, a livello dei paesi dell'Africa Sub-sahariana.

Carta 2: Indice di sviluppo umano per quartili (Report 2016, basato su dati 2015, pubblicato il 21 marzo 2017 dall'Onu) 

     Molto Alto         Alto         Medio         Basso         dati non disponibili

L'istogramma della speranza di vita (grafico 1) evidenzia come in America Latina, sin dalla fine del secolo scorso, la longevità femminile sia stata superiore ai 70 anni e quella maschile in avvicinamento verso questa soglia. Il dato medio a livello macroregionale maschera anche in questo caso situazioni molto differenziate fra i vari paesi. Infatti, nel 2015, Cuba e Cile che evidenziavano le condizioni migliori, vantavano una speranza di vita femminile superiore addirittura agli 80 anni, in compagnia di Costa Rica, Uruguay e Messico, con gli altri stati che seguono a breve distanza. Nettamente staccato dagli altri paesi troviamo, anche in questo caso, Haiti che registra, di gran lunga, le peggiori condizioni con una speranza di vita femminile di 65 anni e maschile di soli 61.[2] 

Grafico 1: speranza di vita confronto 1970-1995 nelle macroregioni terrestri

Come abbiamo già avuto occasione di approfondire nell'ambito dell'analisi storica, l'America Latina, pur rappresentando un'area a sviluppo economico e umano medio-alto, evidenzia ancora oggi profonde sperequazioni interne nella distribuzione della ricchezza e del reddito, addirittura le più marcate fra le varie macroregioni terrestri. Dall'analisi del grafico 2 possiamo infatti evincere come il Latinoamerica registri un valore medio del coefficiente Gini superiore allo 0,50 che, seppur in lieve contrazione nell'ultimo decennio, rappresenta il peggiore su scala globale. Analoga situazione emerge dall'analisi del medesimo indice effettuata dall'Ocse fra i 34 paesi più sviluppati dell'Occidente che vede gli unici paesi latinoamericani presenti, il Cile ed il Messico, ai primi due posti della poco gratificante graduatoria.

Il continente americano, nel suo complesso, costituisce la macroarea a livello mondiale maggiormente interessata, come abbiamo visto sopra, da processi di integrazione regionale di varia natura ed ispirazione, tant'è che vi si registrano ben 14 fra gruppi di stati e organizzazioni sovranazionali attualmente attivi. Inoltre, in questo ambito l'America Latina sta rivestendo ruolo trainante a livello mondiale per l'implementazione del modello di integrazione sovranazionale simmetrico, vale a dire fra stati con condizioni economico-sociali simili, arricchito peraltro da esperienze di perseguimento di finalità sociali e di carattere solidaristico fra gli stati membri (soprattutto Alba e Petrocaribe).

Grafico 2: Coefficiente Gini (diseguaglianze di reddito) delle macroregioni terrestri

Gli effetti delle politiche sociali dei governi progressisti

 

Il miglioramento delle condizioni sociali è un fenomeno ormai strutturale che investe l'intero subcontinente ormai dall'inizio del nuovo millennio: la quota di persone in povertà (grafico 3) registra infatti, nell'intervallo 2000-2010, una diminuzione sia nel dato generale dell'intera macroregione, che si attesta poco sopra il 30%, sia all'interno dei singoli stati. La diffusione della povertà assume tuttavia dimensioni abbastanza eterogenee all'interno dei vari stati, oltre che nell'entità della riduzione, che risulta particolarmente spiccata in Perù, Venezuela e Cile. Rimangono tuttavia critiche le condizioni sociali in alcuni paesi, in prevalenza centro americani (Honduras e Nicaragua), nei quali, anche nel 2010, oltre metà della popolazione risulta ancora sotto la soglia di povertà, oltre ad Haiti, lo stato con la situazione più critica, con circa l'80% della popolazione che si trova in queste condizioni ed il 54% che cerca di sopravvivere con meno di un dollaro al giorno. Questo quadro sociale fa sì che il paese caraibico si collochi così al penultimo posto nella relativa classifica mondiale.

Grafico 3: la percentuale di povertà nei paesi latinoamericani dal 2000 al 2010:

Grafico 4: Coefficiente Gini paesi latinoamericani, confronto 2000 - 2010:

Più complessa risulta la lettura della dinamica della distribuzione del reddito fra le classi sociali all'interno dei paesi. Se l'intera macro regione ha evidenziato (grafico 4) una riduzione delle profonde sperequazioni socio-economiche, grazie alle politiche redistributive attuate dai governi progressisti, alcuni paesi hanno visto aumentare i già cospicui squilibri. La Colombia, l'Honduras, la Repubblica Dominicana, la Costa Rica e soprattutto, il Guatemala, paesi accumunati dalla presenza di governi di destra, neoliberisti e filo statunitensi, sono stati caratterizzati da un ulteriore aumento delle differenze reddituali.

La crisi dei governi progressisti

 

I segnali che giungono da diversi paesi, Brasile in particolare, sembrerebbero indicare che il ciclo dei governi progressisti latinoamericani inizi a segnare il passo nonostante abbia costituito una fase storico-geopolitica inedita per il subcontinente, oltre ad aver rappresentato l'area di resistenza più avanzata su scala globale al neoliberismo. I risultati ottenuti in termini di avanzamento democratico, riconoscimento dei diritti delle comunità amerindie, progresso sociale e riappropriazione di sovranità economica, sono sicuramente inconfutabili e apprezzabili. Tuttavia i limiti, soprattutto in campo economico, che hanno condizionato la maggior parte di questi paesi, hanno creato i presupposti affinché ad inizio 2015 gli elementi di criticità, espressi in termini di difficoltà economiche e malessere sociale, hanno iniziato ad assumere dimensioni preoccupanti.

Le problematiche che hanno afflitto i governi progressisti, soprattutto sudamericani, sono riconducibili principalmente a 5 elementi, legati sia alle politiche interne che al ciclo economico/finanziario internazionale:

  • mancato superamento del modello economico estrattivista
  • mancata attuazione di riforme strutturali incisive in campo economico e fiscale
  • attuazione di sole politiche redistributive attraverso programmi sociali
  • stagnazione/recessione del Brasile
  • contrazione della domanda internazionale, soprattutto cinese.

A questi dobbiamo aggiungere ulteriori elementi di natura politica: sul fronte interno, il malcontento  popolare (proteste in Brasile dal 2013 ecc..) ha creato un allontanamento fra i movimenti popolari, sociali e indigeni e i governi progressisti, mentre in campo internazionale, stiamo assistendo ad una nuova offensiva Usa tesa a riconquistare il tradizionale "cortile di casa", allontanatosi negli ultimi 15 anni.

L'origine delle problematiche che affliggono attualmente i governi latinoamericani, a prescindere dalle sfumature politiche, è principalmente riconducibile all'incapacità di non aver efficacemente operato per modificare il modello economico che storicamente ha sempre caratterizzato l'intero subcontinente. Infatti, l'America Latina negli ultimi decenni, con l'avvento della globalizzazione e l'accentuazione della divisone internazionale del lavoro, si è sempre più connotata come fornitore di materie prime agricole, energetiche e minerarie, tanto da indurre alla coniazione di un termine apposito per indicarne le specificità produttive. Con estrattivismo si intende infatti quel modello economico basato sull'estrazione di risorse del sottosuolo e sulla sua vendita all'estero in forma grezza, senza alcun processo di trasformazione industriale. Il termine, inquadrando in modo più completo ed esaustivo le specificità di sviluppo dei paesi latinoamericani, ha subito una appropriata evoluzione in neoestrattivismo, identificando il modello basato, oltre che sull'export di risorse minerarie ed energetiche, anche la diffusione delle coltivazioni monocolturali di bioconbustibili come la canna da zucchero per il biodisel[3] e la soia, in larga misura ogm, per il bioteanolo. Oltre alla realizzazione di opere infrastrutturali necessarie al trasporto delle materie prime verso i mercati internazionali.

L'estrattivismo, secondo l'analisi dell'intellettuale uruguayano Raul Zibechi, non costituisce soltanto un modello economico, bensì un modello di società e di dissoluzione delle istituzioni legittime: "è una guerra contro i popoli che si sono trasformati in ostacoli (per le loro lotte di resistenza delle comunità. ndr) all'accumulazione/rapina dei beni comuni"[4].

I leaders politici progressisti sudamericani probabilmente dando priorità nella propria azione di governo alla risoluzione degli impellenti problemi sociali interni e al processo di integrazione regionale, si sono limitati ad attuare politiche redistribuitive del surplus commerciale attraverso interventi di natura sociale quali le varie missiones in Venezuela e Bolsa familia e Fame zero in Brasile, che hanno prodotto tangibili risultati a vantaggio dei ceti popolari.

Indubbiamente ciò è stato favorito dal trend rialzista delle quotazioni delle commoditiies agricole, minerarie ed energetiche del primo decennio del XXI secolo.

Una volta esauritasi nel 2011 la fase delle quotazioni elevate delle materie prime agricole e minerarie e nel 2014 quella del petrolio, le entrate valutarie dei paesi sudamericani hanno subito una sensibile contrazione mettendo a rischio la sostenibilità dei bilanci statali e il mantenimento delle politiche redistributive delle rendite da esse derivanti creando inevitabili ripercussioni di carattere politico. 

 

Le criticità economiche degli ultimi anni

Dal punto di vista economico il subcontinente sta attraversando una congiuntura sfavorevole iniziata nel 2014, in parte legata al riaffermarsi del modello di sviluppo estrattivista, dipendente dall'esportazione di prodotti primari e dal conseguente andamento delle loro quotazioni sui mercati finanziari. La contrazione dei valori delle commodities[5] ha spinto in recessione il Brasile, l'Argentina e il Venezuela, le principali 3 economie del Sud America, facendo registrare una battuta d'arresto all'intero subcontinente (tabella 1).

Tabella 1: variazioni percentuali del Pil 2014-15-16 e previsione 2017 delle principali 3 potenze economiche sudamericane, dell'America Latina e delle sue sub-regioni.

 

Dati rilevati Fmi

Dati rilevati Cepal

Dati rilevati Cepal

Previsioni Cepal

Anno

2014

2015

2016

2017

Brasile

+ 0,1

- 3,8

- 3.5

nd

Argentina

- 2,5

+ 2,5

- 1,0

nd

Venezuela

- 3,9

- 5,7

- 8,0

nd

America Latina

+ 1,0

-0,1

-1,1

+1,1

America istmica

+ 3,9

+ 4,2

+4,5[6]

+4,5

Caraibi

+ 4,3

+ 3,9

-1,7

+1,4

Sud America

+ 0,3

- 1,3

-2,4

+0,6

Fonti: Fondo Monetario Internazionale e Cepal

L’America Latina ha chiuso infatti il 2016, secondo i dati della Cepal[7], con una contrazione media del Pil pari a -1,1%. seppur con dinamiche contrastanti fra le varie regioni interne. La negativa fase latinoamericana è stata indubbiamente condizionata dal rallentamento del ciclo economico del Brasile che, iniziato nel 2012 (+ 1,8%), è sfociato in vera e propria recessione nel 2015 (-3,8%) e nel 2016 (-3,5%). Per il 2017, tuttavia, le previsioni annunciano, per il gigante sudamericano, un ritorno in campo positivo con una crescita limitata però al solo + 0,43%.

La recessione del Brasile, locomotiva latinoamericana e settima potenza economica a livello mondiale, sommata a quella di Argentina (-1% nel 2016) e, soprattutto, Venezuela (-3,9% nel 2014, - 5,7% nel 2015 e nel 2016 addirittura -8%) ha inciso soprattutto sul ciclo economico dell'America Meridionale che presenta di gran lunga le maggiori criticità fra le varie sub-regioni: dopo il -1,3% del 2015, si è addirittura scesi al -2,4% dello scorso anno.

Per l'America Latina, tuttavia, sembrerebbe che il ciclo negativo sia ormai superato, visto i dati positivi del primo trimestre 2017 rilevati dalla Cepal, e le previsioni di netta ripresa diffusi dallo stesso organismo ad aprile, che indicano un  dato generale della macroregione pari a +1,1%, con la parte Istmica in fase di crescita sostenuta (+4,5%) e la parte Meridionale in ripresa con lo 0,6%.

L'inversione di tendenza del ciclo economico è principalmente riconducibile al trend positivo che, nel corso del 2017, sta caratterizzando le quotazioni delle commodities.

Muta lo scenario geopolitico sudamericano

 

I primi segnali preoccupanti per il campo progressista latinoamericano iniziano, come detto, a manifestarsi a fine 2015 con la vittoria delle destre alle elezioni parlamentari in Venezuela e del liberista Mauricio Macri alle presidenziali in Argentina, successo che mette fine, dopo 15 anni, alla stagione del peronismo di sinistra guidato dalla famiglia Kirchner, prima con Nestor e, dopo la sua morte, con la moglie Cristina.

E', tuttavia, il "Golpe istituzionale" consumato ai danni di Dilma Rousseff in Brasile nell'estate del 2016[8] che, oltre a chiudere la lunga fase di governi del Pt (Partito dei lavoratori) iniziata nel 2002, determina lo spostamento a destra dell'asse geopolitico sudamericano, cambiandone gli equilibri preesistenti, anche all'interno delle organizzazione sovranazionali.

In particolare, è il Mercosur a subirne gli effetti più diretti con la creazione di un blocco maggioritario di paesi di destra (Brasile, Argentina e Paraguay) che avvia un processo di cambiamento della strategia commerciale, favorendo le relazioni con le potenze del Nord tramite accordi di libero commercio (Tlc) a scapito di quelle fra i paesi membri e crea una frattura interna che isola il Venezuela di Maduro, unico paese membro con governo marcatamente di sinistra. Le pressioni politiche esercitate contro il governo bolivariano, frutto di una strategia internazionale, hanno addirittura portato alla sospensione del Venezuela dal Mercosur nel dicembre del 2016 a seguito dell'azione propugnata dai tre paesi del neo costituito gruppo conservatore, decisione peraltro frutto di mediazione da parte dell'Uruguay che ne ha, almeno al momento, evitato l'espulsione. L'aspetto paradossale, oltre che inquietante della vicenda, risulta essere il fatto che dei 3 governi che hanno operato per l'espulsione del Venezuela, due (Paraguay e Brasile) sono figli di "Golpe istituzionali", rivelandone il carattere pretestuoso. Nel caso del Brasile verrebbe da commentare con un: "da che pulpito viene la predica..."  appurato che l'attacco golpista contro Dilma, accusata e poi prosciolta per corruzione, è arrivato da una classe dirigente corrotta e discreditata. Infatti dei 38 membri della commissione parlamentare che hanno votato a favore dell’impeachment, addirittura 35 erano indagati per corruzione!

Per quanto riguarda la lettura geopolitica delle vicende descritte, mi sono sembrate estremamente eloquenti le dichiarazioni rilasciate da Frei Betto, fra i principali esponenti della Teologia della liberazione brasiliana e amico di lunga data di papa Bergoglio, che ha affermato "Prima hanno deposto Zelaya in Honduras, poi Lugo in Paraguay. E adesso Dilma in Brasile, dopo aver fatto eleggere Macri in Argentina e fatto pressioni contro Maduro in Venezuela. Il processo golpista mira a disarticolare il Mercosur, l’Alleanza bolivariana, la Celac e l’Unasur". Parole alle quali, vista la ripresa delle pressioni internazionali e delle violenze interne in Venezuela, forse rinvigorite dall'ingresso di Trump alla casa Bianca, possiamo solo aggiungere che il prossimo obiettivo, sulla strada del ritorno dell'intero "Cortile di casa" sotto l'ombrello protettivo di Washington, non può che essere il governo bolivariano, la gestione della sua immensa riserva petrolifera nazionale e gli organismi sovranazionali solidaristici che hanno al centro proprio il Venezuela. Sono, infatti, l'Alba e il Petrocaribe che, rappresentando modelli aggregativi simmetrici ed emancipatori, costituiscono il vero baluardo al ritorno ad un passato, non troppo distante, caratterizzato, per i paesi latinoamericani, da subalternità geopolitica, assoggettamento ai poteri forti internazionali e dal dominio oligarchico dei ceti privilegiati dai quali, seppur con sfumature diverse, erano riusciti faticosamente ad emanciparsi negli ultimi 15 anni.

Stato

Attuale Presidente

Inizio mandato

Orientamento politico

Argentina

Mauricio Macri

Novembre 2015

Centro Destra

Bolivia

Evo Morales

Gennaio 2006  - 2010 - 2015

Sinistra/Centro- Sinistra

Brasile

Michel Temer

31 agosto 2016

Centro Destra

Cile

Michelle Bachelet

2006 - 09 e marzo 2014

Sinistra/Centro- Sinistra

Colombia

Juan Manuel Santos

Agosto 2010 - 2014

Centro Destra

Ecuador

Lenin Moreno

Maggio 2017

Sinistra

Paraguay

Horacio Cartes

Agosto 2013

Destra

Perù

Pedro Pablo Kucznynski

Luglio 2016

Destra liberale

Uruguay

Tabarè Vazquez

Marzo 2005 -

marzo 2015

Centro Sinistra

Tabella 2: situazione politica del Messico e dei principali stati dell'America Centrale

In blu i governi che hanno cambiato orientamento politico dalla fine del 2015

Le tensioni si stanno dunque facendo sempre più opprimenti intorno al governo di Maduro, in quanto risulta evidente a Trump ed ai suoi epigoni latinoamericani, che intorno alle sue sorti si gioca il futuro non solo del Socialismo del XXI secolo ma anche quello del variegato fronte progressista mondiale che, al netto delle varie declinazioni, guarda al subcontinente come laboratorio di resistenza al neoliberismo e di nuova progettualità politico-economica e geopolitica. Scenario che non sfugge nemmeno alle classi subalterne e ai movimenti sociali, contadini e indigeni del subcontinente che non a caso hanno ripreso forza ritornando in massa in piazza contro i provvedimenti antipopolari adottati, non solo in politica economica, da Macri e Temer che hanno, seppur in un solo anno, prodotto pesanti effetti sulle loro condizioni di vita.

La stagione dei governi progressisti latinoamericani è sicuramente in fase declinante e la recente elezione di Lenin Moreno alla presidenza dell'Ecuador in qualità di successore politico di Correa, non deve indurre in false prospettive, poiché è opportuno essere consapevoli che la partita decisiva si gioca su scenari di ben altra rilevanza rispetto al piccolo paese andino. In primis, in Venezuela e in Brasile nel quale la stagione di Temer sembra già avviata alla conclusione e le nuove elezioni presidenziali all'orizzonte, con il Frente Brasil Popular che si sta riorganizzando dal basso aggregando tutta la galassia di oltre 80 movimenti e partiti che hanno approvato il Programma popolare d'emergenza e spera in un nuovo corso di Lula.

Tabella 3: situazione politica del Messico e dei principali stati dell'America Centrale

Stato

Attuale Presidente

Inizio mandato

Orientamento politico

Costa Rica

Luis Guillermo Solis

Maggio 2014

Centro

Cuba

Raúl Castro

Luglio 2006

febbraio 2008

Sinistra

Rep. Dominicana

Danilo Medina

Agosto 2012

Centro

El Salvador

Salvador Sánchez Cerén

Giugno 2014

Sinistra

Guatemala

Jimmy Morales

Gennaio 2016

Destra

Haiti

Jovenel Moise

Gennaio 2017

Centro/Destra

Honduras

Juan Orlando Hernandez

Gennaio 2014

Destra

Nicaragua

Daniel José Ortega

1985-90 e 2007 - 2011 - 2016

Sinistra

Panamá

Juan Carlos Varela

 Luglio 2014

Centro Destra/Destra

Messico

Enrique Peña Nieto

Dicembre 2012

Centro (PRI)

 

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_indice_di_sviluppo_umano

[2] Fonte dei dati dei singoli paesi: Calendario Atlante De Agostini 2016

[3] Esemplare in tal senso è l'accordo sottoscritto da Lula e Bush jr nel marzo del 2007 per la produzione di bioetanolo per il mercato statunitense. Il Brasile che e' il maggior produttore mondiale di canna da zucchero e detiene il maggior know-how nella trasformazione industriale ha dovuto ampliare la produzione di canna per soddisfare la nuova domanda, accentuando la deforestazione e sottraendo superficie agraria alle coltivazioni di sussistenza.

[4] Tratto da "La nuova corsa all'oro. Società estrattiviste e rapina" di Raul Zibechi - Mutus liber editore - settembre 2016

[5] Con il termine Commodity ci si riferisce alle materie prime, ovvero a quella particolare categoria di beni che viene scambiata sul mercato senza differenze qualitative. Principalmente sono prodotti minerai, energetici e agricoli. La loro quotazione è determinata nelle borse merci e sono oggetto di attività speculative che ne influenzano l'andamento dei prezzi.

[6] Per il 2016 e 2017 i dati della Cepal sono riferiti al gruppo CARD comprendente i paesi dell'America Istmica e la Repubblica Dominicana. I valori risultano superiori a quelli della sona parte istmica in quanto lo stato caraibico sta attraversando una fase di crescita sostenuta con +7% nel 2014, + 6,4% nel 2015 e una previsione per il 2017 del 6,2%.

[7] La Commissione economica per l'America Latina e i Caraibi  è una delle cinque commissioni economiche regionali che riportano al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite. Fu fondata dalle Nazioni Unite nel 1948

[8]  Nel luglio 2016 a circa 3 mesi di distanza dalla deposizione per via istituzionale, a seguito della rottura della coalizione di governo da parte del centrista PMDB (Partito del Movimento Democratico Brasiliano) il cui leader Temer ha assunto la carica di Presidente sostituendo Dilma, il Pubblico Ministero Federale ha archiviato il fascicolo della denuncia contro l'ex presidente, facendo cadere il castello di carte (sulla cosiddetta pedalata fiscale) su cui era stato costruito il procedimento di impeachement.

La vicenda del golpe istituzionale contro Dilma Rousseff ha  messo dunque  in risalto sia l’infondatezza delle accuse alla base del procedimento di impeachement, sia le destabilizzanti manovre architettate dalle oligarchie economiche, da alcuni settori delle Forze Armate e dalle destre liberiste e fasciste, con il fondamentale supporto del potere mediatico che ha svolto ruolo di cassa di risonanza per la strategia golpista in atto che ha portato al governo le destre grazie al cambio di alleanze del PMDB.

 

 

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