Josè Inga*

  

Le radici storiche della resistenza dei popoli andini

La fase espansionista europea, più di 500 anni fa, fu condotta in Sud America da persone spregiudicate e sanguinarie assetate di bramosia di conquista, di ricchezze e di potere.

Quando leggiamo la storia delle grandi rivoluzioni compiute successivamente in Europa, ciò è stato grazie alle idee di rivendicazione e difesa delle loro terre e della loro identità che la sete di giustizia, la resistenza di un popolo soggiogato e la scomparsa della nostra millenaria stirpe che si sono diffuse grazie al nostro grande Tupac Amaru II: “tornerò e saremo milioni”[1]. Questi movimenti nelle Ande hanno portato gli Europei a un alto grado di risveglio e a compiere quelle grandi rivoluzioni che conosciamo oggi.

Questi "figli del Diavolo" hanno commesso un genocidio ai danni del nostro popolo, imponendo la loro cultura, il loro tipo di struttura sociale, economica, religiosa, politica, ecc. basata sulla tirannia, la polvere da sparo e il fucile, davanti a un popolo disarmato. Hanno distrutto la quinta civiltà più grande del mondo, la “Cultura Inca”, priva di difesa, sottomettendoli e condannandoli alla scomparsa se non si fossero conformati alle regole imposte dal regime spagnolo. Hanno assassinato milioni di nostri fratelli e sorelle, hanno messo loro i cognomi dei loro carnefici, li hanno torturati, violentato le loro giovani donne (vergini), sacrificato i loro bambini, li hanno venduti agli Europei come animali chiamandoli “cholos”, cani, li hanno imbarcati nelle caravelle allo scopo di placare il mare furioso gettandoli fra le onde perché i loro corpi fossero divorati da pesci e squali, ecc., ecc.. Hanno approfittato della crisi dell’Impero Inca per prendere tutto l’oro, l’argento, tanti altri gioielli e ricchezze come vasi cerimoniali, huacos pre-incaici, ecc., che oggi potete vedere nelle 13 chiese della Spagna che indegnamente li mostrano come trofei di guerra a turisti ignari e privi di conoscenza.

 

La sollevazione attuale dei popoli originari contro il governo golpista di Dina Boluarte

In ricordo di Tupac Amaru, Micaela Bastidas, Bartolina Sisa, Tupac Katari ecc., si sono sempre battuti per la rivendicazione, la difesa dei popoli indigeni e delle comunità contadine, difensori della cosmovisione andina e della conservazione delle loro culture viventi, dei loro costumi e della loro identità. Oggi, dopo una falsa repubblica di stampo post-coloniale instaurata 200 anni fa, confermiamo i nostri voti di fedeltà alla nostra ascendenza e all’identità millenaria che cerca l’equilibrio tra uomo e natura, anche nel presente secolo, e continuiamo a lottare in difesa della nostra sovranità e nel profondo rifiuto di un post-colonialismo selvaggio che ci frustra impiantando un’ideologia di sinistra e di destra in un sistema politico-istituzionale che non ci rappresenta in quanto diverso e distante dal nostro.

Questa falsa repubblica di libertà e democrazia con 12 costituzioni, con presidenti traditori, venditori della patria, burattini, ecc. da qualsiasi parte essi provenivano hanno  governato consolidando il sistema post-coloniale estrattivo, si sono arresi senza combattere in difesa della nostra vera sovranità e a sostegno dei poteri forti, con rare eccezioni di alcuni governanti che proposero cambiamenti strutturali, ma morirono in questo loro tentativo.

Il popolo si è sempre sollevato in difesa della sovranità e della propria identità e non  ha mai rinunciato ai propri ideali, non si è mai inginocchiato davanti ai traditori, ha sempre lottato per le proprie rivendicazioni. Il popolo avrebbe potuto credere nei presidenti e nelle loro promesse, avrebbe potuto sostenere presunti leader che avrebbero operato grandi trasformazioni per il paese, ma che nel loro tentativo hanno ceduto al sistema. Per questo il popolo sarà sempre vigile e fedele alle sue convinzioni.

Il Perù è una porta aperta per l’estrazione e la ferrea imposizione di un modello capitalistico indiscriminato, dove le multinazionali accumulano grandi capitali alleandosi con Francesi, Inglesi, Cinesi, Canadesi, ecc., ma sempre comandate dagli Usa, poiché in Perù hanno indebolito i poteri dello stato, in particolare la magistratura, le forze armate e  il PNP (Policia Nacional del Perù). E stabilendo questi modelli post-colonialisti tramite l’imposizione della costituzione del 1993, introdotta dal dittatore Alberto Fujimori dopo un colpo di stato, ha provocato: violazione delle garanzie costituzionali, indebolito l’ordine democratico, politicizzato le istituzioni a proprio vantaggio, venduto le società nazionali a quelle transnazionali e creato così una democrazia instabile, manipolabile e debole, dove solo un gruppo di lacchè, prestanome, apolidi e borghesi detengono il potere, e ha fatto precipitare il paese in una crisi totale, dove regnano criminalità e corruzione a danno sempre della grande maggioranza.

Le posizioni politiche oggi sono passate in secondo piano e i peruviani hanno appena aperto gli occhi; devono comprendere che c’è un solo modo per stabilizzare il paese, secondo i seguenti principi:

1) Ritorno immediato allo stato di diritto, nel rispetto della debole democrazia, nel rispetto del voto popolare, nel rispetto illimitato dei diritti umani, della libertà e del reinserimento del nostro presidente legittimamente eletto, Pedro Castillo, destituito e incarcerato il 7 dicembre 2022

2) Difesa della nostra vera sovranità basata sulla nostra identità e sulla reale cultura antica dei popoli originari.

3) Destituire la classe politica elefantiaca e "dinosauriana", trincerata al potere da secoli. Condanne dure e grandi riforme.

4) Trasformazione del paese secondo un progetto pilota patriottico che ristabilisca l’ordine interno del paese nella sua economia e nell’intero sistema statale, dando congruo e degno spazio alla rappresentatività delle comunità contadine e dei popoli nativi nel processo decisionale del paese.

 

* Membro della comunità peruviana toscana. Intervento tenuto il 7 luglio a Pontasserchio (Pi) in occasione del seminario "America Latina movimenti dal basso e nuova fase progressista" organizzato dal Comitato popolare sangiulianesi per i popoli oppressi. Testo a cura del Gruppo Insegnanti dei Geografia Autorganizzati.

Per focalizzare la situazione del Perù: "Perù epicentro dell'instabilità politica latinoamericana" https://www.marxismo-oggi.it/saggi-e-contributi/saggi/562-peru-epicentro-dell-instabilita-politica-latinoamericana.

[1] José Gabriel Condorcanqui Nogera, passato alla storia come Túpac Amaru II. Discendente della famiglia reale Inca, José Gabriel Condorcanqui, curaca di Surimana, Tungasuca e Pampamarca, adottò il nome di Túpac Amaru II e guidò la più grande rivoluzione indigena dell’era coloniale, per protestare contro i maltrattamenti che gli indios ricevevano dai corregidores (funzionari reali anche rappresentavano la corona spagnola). La ribellione scoppiò il 4 novembre 1780 nella città di Tungasuca – vicino a Cusco – e mise in moto l’intero vicereame meridionale del Perù fino alla regione di Charcas. La rivoluzione investì 24 province dell’America Latina, avendo un impatto anche sul resto dei domini spagnoli. Nel gennaio 1781, gli spagnoli con rinforzi da Lima affrontarono Túpac Amaru, che aveva deciso di attaccare Cusco. Tuttavia, questo non poté spezzare il potere delle forze realiste e subì due battute d’arresto nelle battaglie di Checacupe e Combapata, per le quali fu costretto a ritirarsi. Tupac Amaru venne arrestato per mano di Areche e, sotto atroci torture, venne ucciso. 

Il 18 maggio 1781, nella Plaza de Armas di Cusco, Túpac Amaru II fu smembrato con l’ascia, dopo un tentativo fallito di smembrarlo usando la forza di quattro cavalli.

Morì a 43 anni. Emblematico è l’aneddoto secondo cui, dopo essere stato legato a dei cavalli e trascinato, Túpac Amaru II urlò ai presenti «Tornerò e sarò milioni!», prima di essere decapitato. Infatti lo spirito combattivo rimase tra i suoi sostenitori, che, guidati da suo cugino Diego Cristóbal Túpac Amaru, proseguirono fino all’inizio del 1782.  

Lo straziante omicidio del rivoluzionario Inca e la feroce repressione della ribellione, che portò alla morte circa 120.000 indigeni andini, alimentò infatti la ribellione contro la dominazione spagnola, costringendola a concentrare le sue forze nel Perù meridionale, in modo che questa zona diventasse l’ultimo baluardo del potere spagnolo in Sud America. Inoltre, le colonie furono soppresse e fu creata la Corte reale di Cusco, come Túpac Amaru aveva richiesto.  La ribellione di Túpac Amaru, secondo lo storico Carlos Daniel Valcárcel, costituì «il più importante movimento anticolonialista, vendicatore e precursore della giustizia sociale e dell’indipendenza politica che il Perù abbia mai avuto. Il suo valore aumenta se lo ricordiamo come un evento antecedente alla Rivoluzione francese promosso da tanti altri movimenti, avvenuta quando la rivoluzione separatista americana era ancora in pieno conflitto». Ancora oggi molti partiti e movimenti politici indigenisti di sinistra in America hanno dedicato il loro nome al leader indigeno, a causa del suo carattere patriottico, sovrano e ribelle.

Aggiungi commento


Codice di sicurezza
Aggiorna

Toogle Right

Condividi

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.