Alessandra Ciattini *

 

Per alcuni viviamo in una fase storica radicalmente nuova – cosa di cui era fortemente convinto, come si vedrà, l’autorevole Zbigniew Brzezinski - che ha scavato un abisso con la fase storica precedente, caratterizzata dalla presenza consistente nei paesi occidentali dello Stato del benessere, dalla crescita economica, dalla forte presenza della grande industria anche di Stato, dall’esistenza di ben radicate organizzazioni di massa (partiti e sindacati).

Con le radicali trasformazioni che si sono realizzate sul piano economico e industriale, con l’infelice dissolvimento del cosiddetto socialismo reale e la cosiddetta fine della guerra fredda, in realtà ammorbidita da fasi di coesistenza pacifica, sarebbe emersa una nuova forma di società, nella quale i suoi apologeti scorgevano promesse di maggiore libertà, di maggiore rispetto delle specificità individuali[1], di minore conflittualità tra le diverse ‹‹culture››, che si incontrano oggi più intimamente per la magnitudine del fenomeno migratorio, per la velocità degli spostamenti e per la rapidità delle comunicazioni[2].

Negli articoli che raccolgo in questo libro e che ho scritto in occasioni diverse, in parte per un giornale on line ispirato ad Antonio Gramsci, La Città futura, ho cercato di analizzare alcune tendenze che percorrono l’attuale fase e che al contempo rappresentano sia elementi di continuità che di discontinuità rispetto al passato nel quadro di una prospettiva, che non sbriciola la storia in frammenti né si fa abbagliare dalle cosiddette novità. Prospettiva che certamente non ha la pretesa di essere nuova, se non rispetto a certe forme di relativismo estremo adottate da certi ambienti intellettuali, e che riprende l’idea della contrapposizione tra aspetti sociali di lunga durata ed aspetti che in cicli storici più brevi si consumano e scompaiono in maniera relativamente rapida.

Ho diviso il libro in tre parti: Ideologia, Religione, Femminilità, ognuno delle quali contiene diversi scritti ed ho aggiunto vari link ad articoli che ho pubblicato negli ultimi anni nella Città futura, in modo da costituire una sorta di ipertesto. Ho esordito con l’Ideologia, perché l’altro tema qui affrontato è quello della relazione tra condizioni economico-sociali e concezione del mondo, se vogliamo nella configurazione classica della relazione tra struttura e sovrastruttura, evitando ogni forma di secco riduzionismo sia economicistico che culturalistico. Ho sviluppato questo aspetto nel primo articolo del libro. Ovviamente la scelta di questo tema non è casuale, dato il clima di irrealismo, artificialmente fomentato, in cui ci troviamo a vivere e la conseguente necessità di demistificarne i suoi contenuti, se vogliamo procedere in una direzione ragionevole e sensata.

Cercherò di mostrare come la varietà di temi affrontata costituisca la superficie variegata in cui si palesano tendenze più profonde, che ho tentato di individuare e di ricostruite nello sforzo, laborioso ma appagante, di dare un certo ordine a una realtà complicata, contraddittoria e sfuggente. Infatti, una sorta assai particolare di appagamento – come affermava Moritz Schlick (1882-1936), fondatore del Circolo di Vienna ed ucciso sulle scale dell’Università di questa città da uno studente vicino al nazismo - gratifica il ricercatore nel momento in cui riesce ad individuare argomentazioni che siano in grado di giustificare e di dimostrare la validità della relazione intuita tra fenomeni assai diversi. Si tratta di uno stato di pienezza estetica che probabilmente scaturisce dalla sensazione di aver stabilito una certa forma di dominazione sul corso delle cose a tutta prima fluido, sfuggente, non catturabile. In altre parole, uno stato di soddisfazione derivante dall’aver dato un senso alle cose, che tragicamente potrebbe anche essere non quello giusto.

Da questo tentativo, che certo non conduce a esiti definitivi, e da questa ricerca di appagamento estetico emerge il titolo proposto del libro (Sul filo rosso del tempo) che dovrebbe raccogliere alcuni di questi contributi (i più significativi), divisi in capitoli per argomenti, pur essendo io consapevole che tale prospettiva sia in contrapposizione con la critica, che ancora pervade stancamente e in maniera estenuata alcuni settori intellettuali fortemente ostili alle cosiddette metanarrazioni o <<grands récits>>, secondo la nota formula lanciata decenni fa da Jean-François Lyotard. Noto fondatore del postmodernismo alla cui critica dedico il secondo articolo.

Un primo aspetto di questa prospettiva sta nel non lasciarsi intrappolare da ciò che i mezzi di comunicazione di massa spacciano come attualità, andando a far emergere quanto accade senza suscitare interesse o quanto viene volutamente accantonato, sulla base della convinzione che proprio questi aspetti per essere trascurati sono veramente importanti ed indispensabili a farci comprendere il mondo nel quale viviamo. Aggiungo che questo culto dell’attualità (per esempio, un autore è valido se attuale) è in stridente contraddizione con le feroci critiche scagliate sempre da Lyotard contro il progressismo di matrice illuministica e positivistica, le quali ci hanno condotto a svalutare e a mal comprendere il nostro passato e a recepire acriticamente quanto si presenta come nuovo, anche se è soltanto una rimasticatura di cose già dette, ma volutamente dimenticate o semplicemente ignorate.

Un altro aspetto è rappresentato dall’opposizione a qualsiasi forma di riduzionismo interpretativo, in primis il culturalismo con i suoi estremi postmodernisti, che continua ad essere dominante nelle scienze sociali e nella cultura di massa in Italia per la pervasiva influenza statunitense, e che riduce tutti i fenomeni sociali a ‹‹fatti culturali››. Per esempio, la lettura tradizionale della differenza sociale complessiva tra migranti e popolazioni autoctone è ridotta a una mera differenza di costumi, di religione, di abitudini quotidiane[3], oscurando il fatto che i primi sono collocati in una posizione economico-sociale subordinata (sono gli ‹‹ultimi››, come cristianamente si usa dire), che sta certamente in relazione con la loro specificità culturale, ma che non si esaurisce in essa. Essi costituiscono quell’immenso bacino di manodopera a basso costo, il cui spostamento è determinato dalle scellerate politiche delle potenze occidentali (sanzioni, guerre in varie forme, comprese quelle guerreggiate, sfruttamento inarrestabile dei loro territori, neocolonialismo etc.), la cui presenza ha contribuito ad indebolire sul piano dei diritti e del salario i lavoratori europei[4]. Non comprendendo la somiglianza tra la loro condizione di vita e quella dei nuovi arrivati, essi finiscono col vedere in questi ultimi i loro veri nemici e la causa del loro sempre più rapido decadimento, facendosi incantare da promesse politiche vane e irrealizzabili nell’attuale quadro economico-sociale. Promesse formulate da politicanti irresponsabili, se non criminali, come li definisce Noam Chomsky[5].

Qui si ripropone la vexata quaestio dell’opposizione (per usare dei termini generalmente semplificati e fraintesi anche dai cosiddetti dotti) tra struttura e sovrastruttura e si apre la discussione al complicato tema del significato della parola ‹‹ideologia››, della sua origine e delle sue caratteristiche strutturali[6].

Seguendo la riflessione di autori britannici quali Raymond Williams e Terry Eagleton, non così noti in Italia, non credo certo alla riproposizione della secca contrapposizione tra scienza, come deposito di verità immutabili, e ideologia come mera espressione di impliciti e nascosti interessi e di distorsioni colpevoli. Come si può ricavare dai discorsi degli uomini politici in auge, questa schematica opposizione è continuamente riproposta nel momento in cui essi accusano i loro rivali, a torto o a ragione e nonostante la tanto agitata fine delle ideologie, di essere ‹‹ideologici›› e rivendicano a loro stessi il ruolo di autentici conoscitori della realtà. Naturalmente grazie a questo ruolo essi non solo sarebbero in grado di far fronte ai gravi problemi che ci angustiano, ma sarebbero anche capaci di realizzare il mitico interesse comune degli italiani. Salta fuori così il populismo vituperato da taluni, che ha avuto fautori illustri nel postmarxista (o antimarxista) Ernesto Laclau (1935-2014); populismo, nelle sue forme degenerative, nutrito solo dalla crassa ignoranza e da volgari interessi elettoralistici[7]. Infatti, i politici, non solo italiani, ignorano che non si dà conoscenza del mondo senza l’impiego di schemi, quadri conoscitivi, che scaturiscono dalla vita sociale e dalla nostra esperienza interpersonale (come da secoli è stato messo in evidenza dalla filosofia della scienza)[8]; in seconda battuta, non sanno o fanno finta di non sapere che una comunità nazionale non è omogenea, essendo formata da portatori di interessi (per usare la formula neoliberista)[9] non solo diversi, ma anche fortemente contrapposti (come sottolineava non solo Marx, rifacendosi ad una lunga tradizione di studi, ma anche il meno pericoloso Durkheim). Ed è proprio tale natura conflittuale della comunità che spinge taluni a riproporre il ritorno alla religione per i suoi accenti solidaristici o il ricorso ad una religione civile, fondata sul culto dello Stato, della patria e delle istituzioni, fissati in una dimensione atemporale, ovviamente in contraddizione con la loro origine storica e il processo trasformativo da essi subito. Del resto, che si voglia nascondere tale profonda conflittualità è reso evidente dall’accento costantemente ribadito dalle massime autorità dello Stato sulla coesione sociale, sulla solidarietà, sulla necessità del coinvolgimento collettivo dinanzi alle catastrofi e alle disgrazie, intese come valori indiscutibili e imperituri.

Ma, tornando alla questione dell’ideologia e della sua origine, ritengo sia opportuno sottolineare che – come è già stato ribadito – essa non viene dopo la struttura, giacché nello stesso momento in cui gli uomini producono la loro vita lo fanno orientati da schemi conoscitivi e mentali, che se da un lato scaturiscono dalle loro condizioni di esistenza, dall’altro intervengono su queste ultime in una relazione di causalità che non è certo unilineare né meccanica. Purtroppo, lo schema che separa come due momenti distinti la vita materiale e il sorgere della coscienza con i suoi prodotti, prima considerati nell’Ideologia tedesca di Marx ed Engels come indissolubili, ha segnato la riflessione marxista, generando interpretazioni economicistiche, riducendo le forme del pensiero a riflessi, echi, immagini nebulose e riproducendo quel dualismo, che il pensiero dialettico aveva voluto superare (v. Williams 1979: 82-83).

La risposta a questa forma di riduzionismo, del resto ingiustificato data la complessità delle interpretazioni della riflessione marxista sviluppatesi nel corso del Novecento[10], è stata la riproposizione di una certa forma di olismo, che a mio parere assume caratteri mistici e spera per questa via di disfarsi del pensiero scientifico e della razionalità identificata tout court con la cosiddetta civiltà occidentale, entità misteriosa e non facilmente delimitabile[11].

In primo luogo, bisogna segnalare che la comparsa dell’olismo mostra la fallacità dell’identificazione della filosofia occidentale con un’impostazione schematicamente dualistica attribuita non del tutto correttamente al povero Cartesio, che è paradossalmente propria sia del cosiddetto scientismo di marca vetero-positivistica, sia dei suoi critici, i quali – come è stato sottolineato ben prima di me – ignorano la complessità delle movenze della nostra cultura. E non rimarcano in essa sin dall’epoca antica la forte presenza sia dello scetticismo che del tanto dibattuto pensiero dialettico[12].

Non è questa certo la sede di ripercorrere la storia dell’olismo (per questo rimando a Procacci 2012), termine coniato dallo studioso e uomo politico sudafricano Jan Smuts (1870-1950), moderatamente razzista, per indicare l’assunto, già presente nel pensiero dialettico e nella psicologia della Gestalt, secondo cui il tutto non costituisce la mera somma delle parti. Chi si è soffermato su questi temi, sia pure di sfuggita, come a me è capitato per il mio interesse per l’animismo[13], ha avuto modo di scoprire che l’affermazione del meccanicismo per spiegare i fenomeni vitali dovette confrontarsi già nel XVII secolo con il vitalismo più adeguato alle cosiddette ‹‹scienze della vita››. Il vitalismo, antecedente dell’olismo, ha vigorosamente criticato l’idea che lo sviluppo di un organismo (si pensi ad un embrione) avvenisse per giustapposizione di parti nuove (epigenesi), ribadendo che tale sviluppo si realizzasse in virtù di un principio, un disegno intelligente in esso insito e che per questo i fenomeni biologici non fossero riducibili a quelli fisico-chimici[14].

Ora, questo problema della relazione parti/tutto costituisce una questione dirimente, cui possono esser date - credo - tre soluzioni: 1) per comprendere il tutto bisogna ridurlo alle sue parti (per esempio, per delineare il funzionamento della società occorre collocarsi sul piano degli individui, adottando la prospettiva dell’individualismo metodologico); 2) le parti non sono separabili dal tutto, è in esso che acquistano il loro carattere e sono percorse dallo stesso principio intelligente (Anima mundi); 3) dal punto di vista dialettico, pur collocate nel tutto, le parti non perdono la loro specificità ed è possibile circoscriverle, individuando in maniera precisa e quindi argomentabile il loro contributo al funzionamento dell’insieme. Solo accettando questo ultimo principio si eviterebbe la ricaduta nel misticismo, che costituisce la debolezza della seconda prospettiva, la quale vede riassunto nel principio della totalità il dipanarsi del dinamismo universale, in ambito materiale e spirituale, che percorsi dallo stesso slancio verso la complessità non si oppongono più, ma si compenetrano in un abbraccio vivificante.

Da queste osservazioni non si può certo ricavare che il processo indicato dalla terza prospettiva sia semplice, in quanto passa attraverso tutta una serie di mediazioni – e quindi attraverso ben fondate argomentazioni - che rendono complesso e articolato l’impatto del determinismo (se di determinismo si può parlare). Cito al riguardo un lungo passo di una lettera di Frederick Engels a J. Bloch del 1890: <<Secondo la concezione materialistica della storia[15] la produzione e riproduzione della vita reale è nella storia il momento in ultima istanza (corsivo nel testo) determinante. Di più né io né Marx abbiamo mai affermato. Se ora qualcuno distorce quell’affermazione in modo che il momento economico risulti essere l’unico (corsivo nel testo) determinante, trasforma quel principio in una frase fatta insignificante, astratta e assurda. La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura – le forme politiche della lotta di classe e i risultati di questa – costituzioni stabilite dalla classe vittoriosa dopo una battaglia vinta, etc. – le forme giuridiche, anzi persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi prendono parte, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le visioni filosofiche e il loro successivo sviluppo in sistemi dogmatici, esercitano altresì la loro influenza sul decorso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano in modo preponderante la forma (corsivo nel testo). È un’azione reciproca di tutti questi momenti, in cui alla fine il movimento economico si impone come fattore necessario attraverso un’enorme quantità di fatti casuali cioè di cose e di eventi il cui interno nesso è così vago e così poco dimostrabile che noi possiamo fare come se non ci fosse e trascurarlo. In caso contrario, applicare la teoria a un qualsiasi periodo storico sarebbe certo più facile che risolvere una semplice equazione di primo grado››.

Qui occorre una puntuale precisazione: è necessario riproporre l’inattuale distinzione tra alta cultura e cultura popolare, che sono state messe sullo stesso piano in particolare dagli antropologi dando corpo a gravi sconquassi anche sul piano politico. Sempre tenendo conto delle complessità delle mediazioni da rispettare nel passare da un livello ad un altro della vita sociale, è quanto mai indispensabile distinguere quella cultura (ossia concezione del mondo), che orienta il nostro comportamento quotidiano e che è, come ahimè è sempre più evidente, profondamente manipolata dai possessori dei mezzi di comunicazione di massa legati alle attuali oligarchie monopolistiche e agli Stati, che fanno loro da paravento; e contrapporre ad essa la cultura depositata nella grande produzione artistica, letteraria, filosofica, cinematografica, musicale etc. Se la prima è direttamente funzionale al sistema di potere vigente (ossia al tardo capitalismo in questa esplosiva fase declinante), la seconda non può esser certo interpretata in questa stessa ottica, giacché racchiude in sé problemi che non appartengono solo alla nostra epoca, ma che sono al centro di una intricata riflessione millenaria, cui ogni fase ha attribuito una certa tonalità e un certo colore. Che nonostante tutto, questa riflessione inattuale faccia parte di noi, pur non sempre essendone consapevoli, è dimostrato dal fatto che ritroviamo i nostri laceranti conflitti familiari nelle tragedie di Shakespeare etc., che gli enigmatici scritti di Pirandello ci affascinano con le loro ambiguità e con la complessità delle relazioni con gli altri e con noi stessi; che la nostra vita, scissa tra la frustante contingenza del tirare a campare e magari l’aspirazione a qualcosa di grande, ci lasci quel molesto sapore di agro in bocca descritto dal dimenticato La vita agra di Luciano Bianciardi (naturalmente si potrebbe continuare a lungo)[16].

Sarebbe banale concludere, come ci insegnavano i nostri volenterosi maestri di scuola, che l’alta cultura tratta problemi universali, perché sarebbe troppo semplice e ingenuo. Che la storia umana sia sostanzialmente una macelleria ce lo ha insegnato Georg Wilhelm Friedrich Hegel, ma nonostante ciò la guerra, anche quella di pura e ingiustificata aggressione, è stata vista, in tempi non tanto lontani, come eroismo, ed i suoi eroi venerati religiosamente perché si sono ‹‹sacrificati››, divenendo così degni di un culto celebrato ogni anno stancamente solo perché i ‹‹popoli›› debbono essere coesi e occorre occultare i loro sempre più evidenti conflitti, interni ed esterni. A quei tempi esistevano i ministeri della guerra e non gli ipocriti ministeri della difesa, i cui scopi non sono sostanzialmente diversi, solo che si ritiene opportuno non ferire la sensibilità di chi ha ancora nella memoria i disastri della Guerra dei trenta anni del Novecento[17].

Nell’epoca in cui si è passati dalla Distruzione mutua assicurata alla Dottrina della guerra nucleare preventiva, pochi sono informati che solo due minuti (anzi dall’ottobre 2023 90 secondi) ci separano da una catastrofe (ambientale, nucleare, economica), che poi si è palesata con l’attuale pandemia e anche con la nuova guerra nel cuore dell’Europa[18]; sono tempi in cui tutti si sforzano di soddisfarsi nell’effimera vita quotidiana, magari dedicando il loro tempo libero ad una visitina ai centri commerciali, acquistando ancora un qualche oggetto del tutto inutile e che non verrà mai usato (la quarantena ha cancellato anche questo e la crisi incombente ridurrà sempre più i nostri consumi); in questo contesto, la guerra è un’altra cosa, ha tutt’alto significato[19]. Essa costituisce qualcosa di peggio del nulla, del vuoto, del gorgo nero, della gola della morte vorace, in cui secondo Er Caffettiere filosofo del Belli (1793-1863) siamo destinati a finire tutti come entità inerti, senza nemmeno saperlo. Infatti, << L’ommini de sto monno so ll’stesso / Che vvaghi de caffè nner mascinino: /Che uno prima, uno doppo, e un antro appresso, / Tutti quanti però vvanno a un distino>>. E conclude: <<E mmovennose oggnuno, o piano o forte / Senza capillo mai caleno a ffonno / Pe ccascà nne la gola de la morte>>. Non si tratta più della mortalità umana, ma della fine della vita stessa e dei suoi cicli naturali.

Purtroppo, la bellissima metafora concreta del Belli e la sua amara disillusione, che prefigura una certa ciclicità, non possono cogliere la specificità della guerra contemporanea perché essa mira all’estinzione totale della vita in tutte le sue forme, tanto che essa fa anche vacillare il principio secondo cui la finalità della vita e della specie umana è quella di riprodursi[20]. In questo senso, questo straordinario sonetto ci fa comprendere il nulla e l’insignificanza della vita umana, ineluttabilmente connessi alla nostra condizione e anche alla guerra, ma non è in grado di catturare la singolarità del nulla totale, che invece fa parte della nostra esperienza contemporanea almeno al livello dell’immaginazione. Inoltre, l’inconsapevolezza dell’essere umano, che lo mette sul piano della formica, lo rende quasi meritevole del suo destino, giacché non fa nulla per evitarlo, passando dallo stato di entità inerte a quello di individuo emancipato. Assomiglia tanto al ‹‹servo volontario›› così descritto da un classico del pensiero anarchico Discorso sulla schiavitù volontaria del giovanissimo Étienne de la Boétie (1530-1563). Tanto per rimarcare un altro tema centrale della nostra antica riflessione e certamente da richiamare in vita.

A mio parere, è in questo modo che riusciamo a connettere i problemi centrali della nostra riflessione filosofica e culturale nella loro generalità alle nostre esperienze concrete e attuali, senza negare la peculiarità di queste ultime e senza spezzare il filo che le lega saldamente a quanto hanno vissuto e sperimentato gli uomini del passato. Evitando al contempo di superare spaccature, crepacci, tentando di superarli con l’aiuto di salti acrobatici, che ci obbligherebbero ogni volta a ricominciare da capo, quando gli stessi rivoluzionari hanno dovuto fare i conti con le pesanti eredità del passato, dalle quali ci si è effettivamente liberati solo quando quanto certi principi si sono incarnati negli orientamenti quotidiani, divenendo un nuovo ‹‹senso comune››. Si potrebbe dire historia non facit saltus e più avanti vedremo in che senso.

Una volta ho letto sull’ingresso di un’università peruviana, situata in una gradevole e temperata cittadina, che chi è sempre felice è un imbecille; ne ho ricavato che, almeno nei messaggi pubblicitari, siamo circondati da imbecilli, i quali ci mostrano in una qualche ossessiva pubblicità che assaporare una caffè, gustare un gelato, guidare una nuova automobile producono uno stato estatico vicino all’orgasmo. Per questi manichini, le cui fattezze sono così standardizzate e irrealistiche da non apparire umane, la felicità è attuale e deve essere propagandata come tale, e naturalmente venduta nelle sue varie forme (fisiche, morali, culturali), in modo che tutti (quelli che se lo possono permettere) si sentano pervasi dal benessere, dal piacere, dall’armonia. Niente di più falso, è l’inattuale infelicità che è attuale. Ed è proprio la sua inattualità, legata a tematiche antiche, che la rende attuale certo non dal punto di vista del redditizio sistema pubblicitario, ma da quello di chi, senza farsi troppe illusioni, stante la condizione umana vorrebbe almeno ridurre questa lacerante infelicità.

Analogamente se per molti marxisti (e non solo) giustamente Marx è attuale per aver prefigurato l’espansione mondiale del capitalismo, aver compreso la sua aporeticità, che lo getta in crisi cicliche da cui cerca di risollevarsi con tutti i mezzi (imperialismo, guerra, finanziarizzazione etc,)[21], è fortemente inattuale però per la sua passione politica in contrasto con la freddezza dei nostri indisponenti tecnocrati, per la sua enfasi sulla realizzazione vitale dell’individuo all’interno della comunità in contrasto con l’unilateralità limitante e conformista dell’uomo contemporaneo, rinserrato nel suo miserabile e polveroso tran tran. In altri termini, intendo sostenere che l’attualità, come tutte le categorie, ha un suo senso e valore solo da un certo punto di vista, ossia dalla posizione etico-politica che assumiamo dinanzi al mondo esistente. Non costituisce un’etichetta appiccicata una volta per tutte e finisce con l’esser solo un mito, per illuderci che siamo aggiornati, à la page, o se volete trendy, secondo gli obbrobriosi e vuoti anglicismi, mentre siamo solo degli ignoranti convinti che una nostra casuale scoperta di qualcosa costituisca un primo autentico disvelamento, e quindi un nostro merito ineguagliabile.

Seguendo quanto dicevo prima, anche questa volta l’inattualità di Marx si trasforma in attualità, perché di queste qualità abbiamo bisogno per far sì che il filo rosso del tempo non si spezzi con la nostra inevitabile dipartita individuale, ma continui a svolgersi riallacciando temi antichi a bisogni moderni, prefigurando sempre un legame tra il possibile e l’indefinito della giovinezza con il non ineluttabile di una solitaria e triste vecchiaia, che si conchiude disperatamente in se stessa. E la nostra partecipazione allo svolgersi del filo rosso del tempo ci darà quel senso di pienezza cui probabilmente pensava Schlick e allieverà il nostro senso di solitudine, pensando al <<tripudio dei figli (reali e morali) che verranno>> [22]e che dovranno continuare questa sofferta ed appagante ricerca.

Devo dire che scarso interesse hanno rivestito per le me le vicende italiane, che mi appaiono come la spuma sporca portata dalle onde di un mare contaminato e mosse essenzialmente da movimenti profondi non visibili. Per questo mi sembrano poco rilevanti, almeno che non si colleghino a tali occulti movimenti. Pertanto, non ho inserito nessun articolo sulla situazione italiana nel libro, pur essendomi occupata a suo tempo di varie vicende del nostro paese come, per esempio, il tema dell’involuzione ideologica del PCI.[23]

Sostanzialmente ho cercato, in primis, di delineare alcune complessità della nozione di ideologia e successivamente ho analizzato vari esempi di questa modalità di pensiero, soffermandomi su alcuni motivi che sembrano utili a comprendere in che mondo viviamo, sia che siano ignorati o agitati da chi governa l’informazione.

Altro tema squisitamente ideologico, soprattutto dopo l’avvento delle cosiddette guerra umanitarie, è rappresentato dal venerato motivo dei diritti umani, affrontati in questa sede come momento di avanzamento progressivo nella lotta contro il feudalesimo, il clericalismo e l’assolutismo; avanzamento rapidamente arrestato nel momento in cui i loro fautori si sono resi conto che la loro applicazione concreta avrebbe sancito la perdita dei loro privilegi e prodotto un’uguaglianza di fondo incompatibile con il sistema capitalistico. Si è prodotto così un loro svuotamento, che ne ha favorito l’uso bieco e demagogico; di qui la necessità di riprendere la categoria di ideologia.

Un certo spazio è dedicato in vari articoli al tema ‹‹religione›› (capitolo II) e per vari motivi; in primis, perché esso costituisce, sin dagli anni universitari, il mio tema privilegiato e poi per il suo stretto nesso con la nozione di ‹‹ideologia››, cui già si è fatto riferimento. In particolare, perché studiando le forme religiose si disvelano i meccanismi tramite i quale temi concreto subiscono quel bizzarro processo di ‹‹incielamento››, altra forma di mistificazione, sia pure in qualche modo giustificata. Per essere più precisi, in vari articoli mi sono occupata della relazione tra religione e politica (argomento antico e classico) da vari punti di vista, sviluppata della Chiesa cattolica, dai movimenti evangelici alla conquista dell’America Latina, concretatasi nella vittoria in Brasile di Jair Bolsonaro. Non ho potuto includere, per esigenze di spazio, gli articoli sulla funzione politica del culto dei santi e sull’atteggiamento di Fidel Castro verso le forme religiose progressiste[24].

Ho voluto inserire anche un articolo relativo alle origini del termine ‹‹feticismo››, perché è ancora oggi assai impiegato per indicare aspetti della nostra vita sociale (v. per es. Volli 1997), benché – come si vedrà - il suo significato originario fosse alquanto diverso. Come è noto, si tratta di un termine che fa pensare a qualcosa di magico, di malefico e di prodigioso. Pensiamo al classico feticismo della merce, al feticismo sessuale, a quello fascinoso del mondo della comunicazione, che ci propone immagini che non rimandano a nessuna realtà concretamente esistente. Il feticcio è un oggetto paradossale che, fatto dall’uomo (feticcio vuol dire facticius = artificiale), diventa oggetto di culto da parte di quest’ultimo che si dimentica di esserne il creatore, quindi superiore al prodotto stesso. Proprio per questa dimenticanza, il feticcio finisce con l’esercitare un potere assoluto sul suo creatore, che ne fa il reggitore della sua stessa vita, agevolando quindi la trasformazione dell’individuo in qualcosa di agito dallo stesso oggetto inerte, cui viene attribuita un’intenzionalità, una volontà, una sorta di agency. Tema questo che conduce alcuni a rimettere in discussione la distinzione tra esseri inanimati e animati e a porre in questione l’antropocentrismo, su cui si fonderebbe la nostra concezione dell’universo.

Ma questa mutazione delle cose in persone, reale nella società capitalistica, genera una relazione di sudditanza nei confronti del feticcio e di ciò che esso richiama, soprattutto in un mondo in cui tutto ciò con cui entriamo in contatto è immagine, figura, vale di per sé stessa e non rappresenta niente altro da sé. Diveniamo così prigionieri di un universo inconsistente, evanescente, in cui tutto è possibile ed è solo regolato dalla sfera del desiderio sfrenato, che varca tutti i limiti e le obsolete convenzioni sociali, facendoci guidare solo dal sogno.

Ho affrontato la questione della protestantizzazione dell’America Latina (V. più avanti), essendo questa regione del mondo oggetto privilegiato delle mie ricerche, analizzandone varie sfaccettature, quali l’inurbamento dei contadini, strappati alle loro credenze e pratiche ancestrali, la diffusione di varie chiese evangeliche, la politica statunitense di soppiantare il cattolicesimo che con il suo pauperismo ostacolerebbe lo sviluppo capitalistico, la ricerca sempre statunitense di conquistare un’egemonia culturale, la politica stessa della Chiesa cattolica volta a colpire la Teologia della liberazione, facendosi complice delle brutali dittature latinoamericane. Tema questo in continuità con la politica di colono-evangelizzazione (termine coniato dal teologo della liberazione Enrique Dussel) che prende avvio con la conquista e che ha prodotto uno di quei tanti olocausti, di cui si è macchiato il cosiddetto occidente[25]. u

Da queste vicende sono riemerse quelle forze conservatrici filostatunitensi, cristallizzatesi spesso in partiti confessionali di stampo pentecostale, che hanno avuto successo nel ribaltare i governi progressisti latinoamericani e che ancora oggi stanno operando per cancellare dalla terra la Rivoluzione Bolivariana e la Cuba in trasformazione. La quale, d’altra parte, non ha mai creduto fino in fondo alle aperture di Obama, presto rimangiate dall’arrogante Trump[26] e non modificate dal suo successore.

Cuba, tanto più odiata, per il suo ruolo internazionale, che aveva rischiato di fomentare rivoluzioni in America Latina, fallite anche per mancato sostegno dell’Unione Sovietica e per le loro deboli basi, e che ha appoggiato con più successo la decolonizzazione in Africa, lentamente esauritasi con l’affermarsi del secolo americano[27].

Il collegamento tra i diversi momenti religiosi della storia religiosa latinoamericana ci consente di mostrare che quel fantomatico filo rosso, di cui si è parlato, ha una sua potenza esplicativa. Infatti, riconnette il problema dell’egemonia culturale appartenente all’epoca della colonizzazione a quello dello scontro tra Chiesa cattolica, mirante alla riconquista del popolo del subcontinente con il suo papa argentino, e gli Stati Uniti, che operano per impiantare i loro valori, dando così maggiore solidità al loro dominio.

Inoltre, se ci indugiamo sulle modalità utilizzate per evangelizzare, in un senso o nell’altro, la regione, forse ci scandalizzeremo meno di fronte a comportamenti certamente esecrabili, ma di cui siamo stati colpevoli noi stessi, o almeno la civiltà cui apparteniamo. Mi riferisco alla pratica dell’estirpazione dell’idolatria introdotta dalla Chiesa cattolica all’epoca della colonizzazione ed inconsapevolmente seguita dai musulmani oltranzisti, anch’essi ciechi nella loro ansia distruttiva[28].

Tale profondità storica ci aiuterebbe, per esempio, a contestualizzare meglio l’olocausto ebraico, attribuito sbrigativamente dai mezzi di comunicazione di massa al fascismo e nazismo, trascurando l’atteggiamento secolare di ripudio degli ebrei da parte della cristianità, la quale, nello specifico la Chiesa cattolica, solo con il documento Nostra Aetate del 1965, ha riconosciuto che ad essi come popolo non può essere addossata la responsabilità della morte del Cristo.

D’altra parte, in tali riflessioni, se si sviluppa un legame tra Religione, fondamentalismi e violenza (v. più avanti) la tesi che si cerca di argomentare non individua mai nella religione la causa scatenante dell’aggressività e dell’intolleranza, le quali scaturiscono invece dal un complicato gioco di fattori o condizioni, individuabili empiricamente, cui certo la religione, soprattutto se monoteistica, dà una forte ed intransigente giustificazione ideologica.

La terza parte del libro tocca un tema fortemente propagandato, ossia la questione femminile, unica battaglia che nel mondo di oggi riceve ovunque un sostegno istituzionale, quasi fosse l’unica lotta degna di questo nome, in particolare oggi in funzione antislamica e antitalebana. Consapevole che l’emancipazione femminile rappresenta una questione importantissima, che riguarda circa la metà del genere umano, ho cercato di delineare le cause naturali e culturali dell’inferiorità della donna, che ha costellato larga parte della vita umana. Secondo questa prospettiva, ispirata a Freud e Lévi-Strauss, ho cercato di individuarne le cause nelle stesse forme dell’organizzazione sociale, che hanno caratterizzato la vita politica e sociale per millenni per subire successivamente una profonda trasformazione con l’avvento del capitalismo, del macchinismo, con l’impiego fuori delle mura domestiche della manodopera femminile[29]. Se non si prendono in considerazione questi elementi, non si capirà nulla di questo fenomeno né della scarsa affermazione dell’emancipazione femminile in ampie regioni del pianeta.

I caratteri delle cosiddette ‹‹società primitive››, in cui l’inferiorità femminile è stata generata soprattutto per il ruolo della donna nella riproduzione della specie (v. più avanti), sono anche analizzati in uno scritto dedicato alle limitazioni che incontra la donna nel rivestire ruoli religiosi primari (V. più avanti Inclusione della donna nel ruolo più prestigioso del sistema Ocha / Ifá o sua esclusione? Una questione aperta). Ho menzionato le ‹‹società primitive››, ma la questione dell’accesso della donna alle cariche religiose riguarda da vicino molte civiltà, basti pensare, per esempio, alla Chiesa cattolica o all’Islam. In questi casi la faccenda si fa assai più complicata, perché la donna, in quanto madre potenziale, non può dedicare tutta se stessa all’istituzione ecclesiastica; ed inoltre, nel caso della Chiesa cattolica, è tutta la sfera sessuale che viene tabuizzata imponendo il celibato ai religiosi (questione tornata in questi tempi alla ribalta per i numerosi casi di pedofilia), i quali, vittime della repressione sessuale, trovano una via di fuga nella sublimazione, nella perversione e/o in un tormentoso senso di colpa che spinge alla completa subordinazione alle autorità ecclesiastiche (Ciattini 2005). Di quest’ultima ha bisogno la Chiesa per mantenere la sia struttura gerarchica e autoritaria, che le parole occasionali e benevole di qualche papa non scalfiscono.

Anche in questo caso ripropongo i due motivi centrali di questo libro: la continuità storica (in questo caso della condizione della donna), pur con i suoi significativi cambiamenti dovuti anche all’impiego sistematico degli anticoncezionali, e la stretta, ma mediata relazione tra dimensione ideologico-rappresentativa e dimensione economico-sociale, la quale costituisce il filtro attraverso cui gli esseri umani stabiliscono storicamente il loro rapporto con la natura. Inoltre, in questi scritti dedicati alla femminilità ho cercato di riproporre una visione antiriduzionistica del ruolo femminile, ricordando che esso è stato tale non per mere motivazioni culturali, pur importanti, giacché ha una sua base nella stessa conformazione dei sessi e nel diverso contributo che danno alla riproduzione, in una parola quindi nella natura (V. più avanti L’origine dell’inferiorità della donna nella dialettica natura/cultura).

Come si vede, un antico fenomeno, come quello delle limitazioni rituali della donna, si mostra persistente, anche se ormai messo apertamente in discussione e oggi divenuto portatore di aspri conflitti, da cui certamente si genereranno cambiamenti ma che inevitabilmente si porteranno dietro molti aspetti della tradizione religiosa. Inoltre, la questione femminile con il correlato femminismo si è trasmutata in un formidabile tema ideologico divisivo, su cui vale la pene riflettere con gli strumenti qui sviluppati.

Nell’articolo, intitolato Santería e salvezza. Un approccio olistico al benessere e alle relazioni interpersonali, ho esaminato la vicenda di una ballerina cubana, la quale ha inconsapevolmente deciso di separarsi dalla sua adorata attività, addossandone la ‹‹responsabilità›› al suo nume tutelare; tale decisione mette in risalto il ruolo psicologico della credenza e della pratica religiosa esotica, che nella società contemporanea diventa lo strumento attraverso il quale si cerca di risolvere i propri conflitti interiori in una prospettiva incentrata sul raggiungimento dell’armonia sia tra le parti del proprio sé che nei rapporti con gli altri. Pur permanendo il rito divinatorio nel contesto attuale, esso acquisisce nuove sfumature che in parte lo desacralizzano.

In questo senso, Sul filo rosso del tempo non intende riproporre l’idea dell’eterno ritorno – formulata da Mircea Eliade –; alla descrizione del camino della storia umana si attaglia assai meglio l’immagine della spirale, riproposta recentemente da Luciano Canfora (2018), ma certo non del tutto nuova[30]; figura retorica che ha il vantaggio di riuscire a coniugare il già menzionato filo rosso della stabilità alla variabilità, alla mutevolezza dei fenomeni storico-sociali, mantenendo insieme dialetticamente la dimensione della ripetizione e quella del distacco.

 

* Introduzione a Sul filo rosso del tempo. Riflessioni su alcune ideologie contemporanee, Multimage, Firenze 2024.

[1] Che attualmente, dopo le restrizioni alle libertà personali dovute all’attuale pandemia, acuitesi con gli attacchi contro chi ha espresso critiche al governo perché totalmente subordinato agli Usa e alla Nato nell’attuale scontro in Ucraina, si concreta quasi esclusivamente sulla questione della libertà sessuale, unica forma di libertà di cui effettivamente si parla molto. V. https://www.lacittafutura.it/cultura/l-ingannevole-abbaglio-della-liberta-sessuale

[2] V. https://www.lacittafutura.it/cultura/neoliberismo-e-postmodernismo-alleati-tra-loro-ma-nostri-nemici-parte-i parte I e II.

[3] V. https://www.lacittafutura.it/cultura/il-rispetto-delle-differenze-culturali-relativismo-o-antirelativismo

[4] Sulle cause della migrazione V. https://www.lacittafutura.it/cultura/la-complessita-del-fenomeno-migratorio-e-le-sue-determinanti

[5] V. https://www.lacittafutura.it/esteri/telesur-intervista-noam-chomsky.

[6] V. https://www.lacittafutura.it/cultura/cultura-o-ideologia

[7] V. https://www.lacittafutura.it/editoriali/ma-il-popolo-ha-sempre-ragione Tali temi sono sviluppati anche in https://www.lacittafutura.it/interni/chi-sono-i-sovranisti-costituzionalisti-e-cosa-vogliono-veramente e https://www.lacittafutura.it/editoriali/sovranismo-e-keynesismo.

[8] Sono vittime arroganti del più volgare empirismo, che ignora la complessità del “dato”.

[9] Stakeholders.

[10] Inoltre, tale complessità è messa in evidenza anche dalla pubblicazione secondo nuovi criteri delle opere di Engels e di Marx, costituite in gran parte di annotazioni sempre oggetto di riflessione (v. Fineschi 2008).

[11] La quale talvolta include addirittura il Giappone per ovvie ragioni politico-economiche.

[12] V. https://www.lacittafutura.it/cultura/pur-di-non-parlare-di-capitalismo-animismo-ecologismo-monismo-parte-i e II.

[13] Nozione proposta dall’antropologo vittoriano Edward Burnett Tylor (1871) per indicare la prima forma di religione e la struttura soggiacente a questa istituzione universale.

[14] Chi volesse essere pedante potrebbe aggiungere che le radici di tale impostazione stanno nel neoplatonismo e nei suoi sostenitori rinascimentali.

[15] Osservo che è sconcertante che negli ambienti accademici si continui a parlare di Marx e di Engels come se non ci fossero oggi elementi nuovi da prendere in considerazione, ossia come si ricava dalla nuova edizione ancora non completa delle loro opere.

[16] Il protagonista maremmano de La vita agra si reca a Milano perché vuol far saltare in aria <<quel torracchione di vetro e di cemento>> della Montecatini, responsabile della tragedia mineraria di Ribolla dove morirono 43 operi. Nella città lombarda egli conduce una vita oscura, sopravvivendo con la sua amante, grazie a traduzioni, consulenze, lontano dalla sua famiglia. Dal romanzo fu tratto un film con un improbabile Tognazzi.

[17] Ovviamente dal mio punto di vista la sola “guerra giusta” è quella di difesa, come la Resistenza antifascista o la Resistenza palestinese.

[18] Preceduta nel 1999 dalla guerra con cui si è definitivamente smembrata la Jugoslavia. Inoltre, continua sotto i nostri occhi il genocidio di Gaza, rivelandoci che gli spietati omicidi di massa sono una costante del processo storico.

[19] Sulla guerra V. https://www.lacittafutura.it/cultura/riflessioni-antropologiche-sulla-violenza-e-sulla-guerra.

[20] Per alcuni siamo nell’ère du vide o du rien.

[21] Nel 2003 Le Nouvel Observateur ha pubblicato un corposo numero dal titolo Karl Marx Le penseur du trosième millènaire? Da parte sua, negli anni ’90 il Wall Street Journal ha apprezzato le critiche di Marx al capitalismo e la sua capacità di comprenderne le crisi.

[22] Verso di una poesia inedita di mio padre, Alberto Mario Ciattini.

[23] V. https://www.lacittafutura.it/cultura/d-alema-e-l-involuzione-del-pci

[24] V. https://www.lacittafutura.it/esteri/romero-beato-martire-della-guerra-fredda-o-costruttore-di-pacehttps://www.lacittafutura.it/cultura/teresa-di-calcutta-santa-e-madre , https://www.lacittafutura.it/esteri/fidel-e-la-religione.

[25] V. https://www.lacittafutura.it/unigramsci/la-colono-evangelizzazione-dell-america-latina-e-i-suoi-risultati

[26] V. https://www.lacittafutura.it/esteri/cuba-dopo-la-visita-di-barack-obama-2, https://www.lacittafutura.it/esteri/interrogativi-sulla-transizione-cubana-prima-parte-di-due e II parte.

[27] V. https://www.lacittafutura.it/esteri/cuba-protagonista-del-processo-di-decolonizzazione-in-africa-prima-parte e II.

[28] V. https://www.lacittafutura.it/esteri/estirpatori-di-oggi-estirpatori-di-ieri-parte-i e II.

 

[30] V. https://www.lacittafutura.it/cultura/la-spirale-della-storia-per-luciano-canfor

 

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