Daniela Belliti *
Il libro Enrico Berlinguer, La pace al primo posto. Scritti e discorsi 1972-1984, a cura di Alexander Höbel, Donzelli, è uscito nel 2023, appena un anno dopo l'inizio della guerra russo-ucraina. Sono passati già altri due anni e stiamo vivendo il periodo più buio e tragico dalla fine della Guerra fredda.
Per questo rileggere ora gli scritti e i discorsi di Enrico Berlinguer sulla pace rappresenta in primo luogo un'operazione politica, una presa di posizione alternativa al mainstream del dibattito pubblico che si è sviluppato attorno alla crisi attuale dell'ordine internazionale (o dovremmo piuttosto dire "disordine globale").
Infatti, da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, e dopo quello che è successo e sta succedendo dal 7 ottobre 2023 in poi in tutto Medio Oriente, si sono imposte nel confronto politico e mediatico una nuova riabilitazione della guerra e una parallela opera di delegittimazione della pace.
E' un processo che in maniera strisciante è iniziato in verità subito dopo la fine della Guerra fredda, quando, a partire dalla prima guerra del Golfo nel 1990, fu rilanciata l'idea della "guerra giusta" nelle sue diverse varianti della "guerra democratica", della "guerra umanitaria" e della "guerra preventiva", promosse per proteggere i valori e l'ordine internazionale liberale, di volta in volta contro il pericolo di destabilizzazione da parte del mondo arabo, la "barbarie" del terrorismo islamico, la pulizia etnica nella ex-Jugoslavia.
Davanti alle minacce subite dall'ordine democratico trionfante dopo l'Ottantanove, chi non ha mai cessato di sostenere le ragioni della pace e della nonviolenza, quella galassia del mondo pacifista che si è andata formando negli anni della Guerra fredda ed è cresciuta nella convinzione che la guerra fosse "il flagello dell'umanità" (secondo quanto recita il Preambolo dello Statuto ONU), nel migliore dei casi viene evocata come un insieme di anime belle che si limitano ad alzare qualche invettiva morale del tutto ininfluente sull'andamento delle cose del mondo, nel peggiore dei casi viene dipinta come complice del nemico di turno dell'Occidente.
Se andiamo a ricostruire la rappresentazione che è stata fatta del pacifismo in questi ultimi tre anni, non possiamo non accorgerci come essa ricalchi sinistramente il dibattito che in Italia precedette l'inizio della Prima guerra mondiale: gli stessi attacchi, la stessa repressione verbale, lo stesso discredito gettato su chi era contrario ad entrare in una guerra, la cui scia inedita di sangue ha generato tutte le sciagure della prima metà del Novecento.
A detta di questa nuova scuola di pensiero che dice di richiamarsi al "realismo politico", e che assai maldestramente cita i grandi pensatori da Machiavelli a von Clausewitz, non ci sarebbe alternativa all'uso delle armi per arrivare a quella che viene definita "pace giusta", volendo così ammantare di una qualche parvenza positiva il bellicismo e il militarismo di cui questo cinico realismo si fa portavoce.
Leggere oggi gli scritti e i discorsi di Berlinguer sulla pace ci aiuta dunque a fare igiene mentale, e ci aiuta a ricordare che la politica non è uso della violenza per abbattere il nemico, non è affermazione del diritto del più forte né prevaricazione sui più deboli, ma è dialogo, negoziato, diplomazia, compromesso - parola nobile, ingiustamente caduta in disgrazia -, costruzione di relazioni internazionali basate sul reciproco riconoscimento e rispetto.
Berlinguer ci offre, in queste pagine sempre introdotte magistramente dal curatore, lezioni di alta politica.
La prima lezione riguarda l'attenzione all'analisi sulla situazione internazionale e sulle cause dei conflitti, analisi che precede ogni presa di posizione politica. Berlinguer ci ricorda sempre che spesso le guerre esplodono come corollario di crisi del capitalismo, il quale tende a riorganizzarsi aumentando sempre l'oppressione su popoli e persone. Si tratta di un'analisi materialistica della storia, che fa tesoro delle riflessioni illuminanti di Marx, e soprattutto di Engels, su come il rapporto tra capitale e guerra rappresenti la cartina di tornasole delle modalità di riorganizzazione della società. Faremmo bene a riattivare questa importanza dell'analisi e questa specifica lettura della storia, nell'epoca del capitalismo globalizzato e finanziarizzato che, nella competizione strenua per lo sviluppo tecnologico dell'intelligenza artificiale, ha pur bisogno vitale di materie prime e terre rare: un capitalismo ancora più coloniale, estrattivistico e necessariamente militarizzato, per il controllo di terre, confini, cieli e mari, dall'Ucraina alla Groenlandia, al continente africano, fino al litorale di Gaza.
La seconda lezione di Berlinguer è generata dalla sua costante azione politica di costruzione di una fitta rete di relazioni internazionali con i partiti comunisti e socialisti europei ed extraeuropei, nel nome di quell'internazionalismo che era l'orizzonte necessario di tutta la sinistra mondiale, e che incredibilmente si è indebolito in questa epoca di globalizzazione e di interdipendenza, quando persino dentro il perimetro dell'Unione europea è tornata a prevalere la dimensione nazionale della politica. Come amava ricordare sempre Zygmunt Bauman, con la globalizzazione l'economia è diventate mondiale, mentre la politica è rimasta locale, impotente davanti alle nuove concentrazioni di potere economico, tecnologico e mediatico. Così, per rilegittimarsi, la politica non ha potuto fare altro che rispolverare sentimenti nazionalistici, "sovranisti" e populisti, che sono l'antitesi di una politica di giustizia e di eguaglianza. Provare a ricostruire una politica estera europea sarebbe un primo necessario passo per affrontare le grandi sfide di oggi; ma questo richiederebbe l'impegno di "leader" capaci di dialogare e condividere una visione di futuro per questa parte di mondo, improntata ai principi per cui l'Europa è nata dal secondo conflitto mondiale. L'instancabile azione di Berlinguer costituisce la prova che anche un partito di opposizione può costruire alleanze e incidere nelle scelte dei governi nazionali ed europei.
Certamente il mondo è cambiato rispetto a quegli anni.
All'Equilibrio del Terrore si è sostituito l'ordine internazionale liberale, ora in una crisi strutturale che potrebbe essere davvero irreversibile.
Alla contrapposizione est-ovest è subentrato uno scenario di fatto già multilaterale, con grandi nuovi player come la Cina, l'India, il Brasile, e altri.
Si sta affacciando un Sud globale, attraversato sì da spinte autocratiche, ma anche da movimenti dal basso che lottano per una decolonizzazione profonda non solo politica ma culturale dell'ordine mondiale.
E' in atto una lotta per l'egemonia globale che per la prima volta nella storia sta spostando il centro fuori dall'Occidente.
Eppure, anche in queste profonde differenze epocali, alcuni assi di fondo della riflessione berlingueriana riemergono per la loro straordinaria validità universale: il principio di autodeterminazione dei popoli, la battaglia contro l'installazione dei missili e per il disarmo, il nesso tra pace, giustizia e un nuovo modello sviluppo basato su un rapporto di eguaglianza e giustizia tra Nord e Sud del mondo, la necessità di ridurre lo sfruttamento delle risorse naturali, una politica per l'Europa non subalterna a nessuna potenza ma amica di tutti i paesi.
Nella Relazione al XVI Congresso del PCI del 1983 Berlinguer delinea un progetto, che potrebbe ben valere ancora come manifesto di una sinistra globale. Un progetto che si propone "l'obiettivo del superamento di ogni forma di sfruttamento e oppressione dell'uomo sull'uomo, di una classe sulle altre, di una razza sull'altra, del sesso maschile su quello femminile, di una nazione su altre nazioni, la pace tra tutti i popoli, il progressivo avvicinamento, invece del distacco, tra governanti e governati, affinché la democrazia sia piena e effettiva, e affinché la libertà divenga anche liberazione, la fine di ogni discriminazione nell'accesso al sapere e alla cultura".
Sono affermazioni che risuonano oggi nel pensiero ecologista, nei femminismi intersezionali e decoloniali, nelle reti globali antifasciste e anticoloniali che oggi sostengono la Global Sumud Flotilla per liberare il popolo palestinese dal genocidio.
Non risuonano, invece, o non ancora a sufficienza, nelle forme istituzionali della politica, dove pure dovrebbero stare, e agire, per cambiare le cose.
Per questo non c'è niente di nostalgico nel tornare oggi a Berlinguer, bensì c'è molto di bisogno di politica, di lotta collettiva, di progetti comuni.
Leggendo il libro curato da Alexander, c'è stato solo un momento in cui ho ceduto a un moto di nostalgia, ed è stato quando mi son trovata davanti all'incipit dell'intervento tenuto al Congresso del Partito Comunista messicano nel 1981:
"Care compagne, cari compagni, anzitutto vi saluto fraternamente a nome di 1.700.000 militanti del Partito Comunista italiano e degli 11 milioni di donne e uomini che votano per il nostro partito".
Per chi ha vissuto quella storia, quella straordinaria esperienza di popolo che è stata il PCI, queste parole evocano un passato che sappiamo non poter tornare, ma sono anche un richiamo per capire perché tanto patrimonio si è disperso.
Noi - qui parlo come parte di quella storia, e quindi anche come responsabile della sua e(in)voluzione - non abbiamo fatto fino in fondo i conti con ciò che è accaduto dopo, con ciò che di quel patrimonio è stato tradito, a partire dal principio della pace come paradigma di azione politica.
Questo libro e questa mostra sono dunque strumenti di lavoro, di studio, di ricerca, e sono importanti per noi, per riannodare i fili che ci hanno tenuto insieme per tanti anni, e per tutte le generazioni che vivono qui ed ora il pericolo di una terza guerra mondiale.
Per rimettere "la pace al primo posto".
* Università di Milano-Bicocca. Intervento alla presentazione del volume E. Berlinguer, La pace al primo posto. Scritti e discorsi 1972-1984, a cura di A. Höbel, Donzelli 2023, tenutasi nella giornata inaugurale dell’allestimento toscano della mostra “I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer” (Firenze, Mandela Forum, 3 settembre 2025).
